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Franz Kafka (1883-1924): la famiglia dove nacque Franz era dominata dall'autoritaria personalità del padre. Gravemente ammalato di tubercolosi, Franz dovette trascorrere parecchi anni nei sanatori. Due volte, per complesse ragioni spirituali e psicologiche, rinunciò al matrimonio. Egli deve la sua fama ai romanzi pubblicati dopo la sua morte.
I tre capolavori di Kafka "America", "Il Processo", "Il Castello" formano una trilogia della solitudine: riflettono l'esperienza dell'isolamento umano e il pathos dell'esclusione.
L'uomo, che ritrova sempre un senso di colpa, è costretto a fronteggiare il processo della vita in un universo il cui schema e la cui coerenza gli restano incomprensibili; il dio dell'universo kafkiano è terribile come il dio dell'Antico Testamento, Jahvé, e per quanto i personaggi dello scrittore si ribellino a ciò che costituisce la "legge", non c'è per loro libertà o catarsi. Sono soltanto vittime sconvolte che non possono trovare una via per uscire dall'inutilità della vita che sono obbligati a condurre.
L'esistenza dell'uomo passa attraverso una serie di crisi dove la nascosta presenza della "legge", che agisce attraverso agenti impersonali (il governo, la polizia, l'ufficio, il castello) si dimostra più forte di ogni opposizione.
Gran parte della letteratura di Kakfa è ispirata al Talmud e alla letteratura popolare ebraica, ma i suoi motivi richiamano anche Kierkegaard, Pascal, Karl Barth, Dostoevskij, Nietzsche e Strindberg.
L'uso di "astratti" paesaggi di sogno, i cui fenomeni misteriosamente collegati sembrano sospesi in un vuoto inintelligibile, indica la vicinanza di Kafka agli scrittori espressionisti e surrealisti.
Perfino l'umorismo laconico di vari suoi racconti è fondato sulla fede in ciò che lo stesso Kafka chiamava "l'indistruttibile". Di fronte ad alcune scene grottesche e ossessive, dove l'uomo si trova preso nella morsa di un meccanismo cui non può sfuggire, si pensa a Poe, a Melville.
L'opera di Kafka senza dubbio riflette alcuni aspetti caratteristici di ciò che gli Esistenzialisti chiamano "condizione umana".
Immaginosi e mitici, i racconti sembrano una trascrizione simbolica dell'esistenza vissuta dall'uomo contemporaneo, troppo spesso immerso in una realtà che delude le sue richieste, che trascende i suoi criteri di misura e di valutazione, che dispone di lui suo malgrado lasciandolo senza certezze, esposto a tutti gli imprevedibili e gratuiti colpi della sorte.
Si chiami questa realtà con i nomi che più gli aggradano; la si intenda, con i critici marxisti, come civiltà in crisi; oppure, con gli Esistenzialisti, come la struttura ambigua ed inquietante del vivere; oppure ancora con la critica psicanalitica, come la condizione nevrotica di una coscienza non in equilibrio con se stessa e con le forze che la minacciano, tale realtà è negativa per l'uomo che cerca invano in essa la propria pace o i modi di una plausibile realizzazione.
In un mondo che risulta così crudele, solo nell'intimità e nella solitudine perdurano il significato, la dignità del vivere.
L'itinerario spirituale di Kafka è appunto questo inoltrarsi verso l'intimità e la solitudine, verso l'arte e la conoscenza come strumenti per rappresentare, con radicale coraggio, l'odissea dell'uomo contemporaneo in un mondo che lo schiaccia.
Seguendo le pagine di Kafka si avverte presto che lo scrittore racconta eventi "strani" costruiti con materiali della realtà quotidiana nei quali però il fatto o l'oggetto che l'uso rende, in genere, familiare, appare al di là di velature misteriose. L'atmosfera abituale dell'esperienza ha subito un processo di rarefazione e di filtrazione. Il mondo perde i suoi significati tradizionali e si colora di un senso recondito dove traluce con forza irresistibile il destino.
Già in "America" - il romanzo kafkiano più vivace, avventuroso e complesso - i fatti e gli eventi, oltre il loro peso di realtà ne hanno un altro che resta immanente ad essi fino a costituirne simboli di una condizione umana avvilita, oppressa da potenze dispotiche.
Ne "Il Processo" e ne "Il Castello" la simbolizzazione progredisce: la materialità dell'essere e la vicenda degli uomini perdono ogni rapporto naturale.
La policromia del mondo si offusca e s'incupisce, fino ad assumere, in molte pagine di "Il Processo" e specialmente di "Il Castello", una tinta unica, ossessiva, dove tutto ciò che avviene si fa indicazione di un destino, riferimento a una vicenda metafisica: partecipazione significativa, anche se spesso indecifrabile, a un ciclo di eventi diverso e più alto. L'essere, si direbbe, smarrisce ogni innocenza, ogni quieto disporsi in un ordine evidente e confortate, per divenire segno di una recondita condanna. Dalla pienezza di un vivere in cui l'uomo si dispiega e si riversa attivamente nel mondo, cercando d'adattarlo ai suoi propositi, i personaggi kafkiani sono costretti a ripiegarsi nella loro interiorità, dove scoprono angosciosamente che il destino non parla il loro linguaggio, ma è una potenza straniera, con enigmatico e minaccioso volto di sfinge.
Documenti essenziali per capire Kafka sono le "Lettere a Milena" e i suoi Diari (1910-1923). Il romanzo d'amore con Milena è la storia di un tentativo fallito: la relazione venne interrotta da lui perché Milena non voleva lasciare il marito.
La consolazione per Kafka venne da Dora, conosciuta nel 1923 in una colonia marina. Kafka, resistendo alle obiezioni della famiglia, andò a Berlino a convivere con Dora, ma durò solo 10 mesi: la malattia costrinse Kafka a ritornare a Praga, per poi trasferirsi nel sanatorio di Kierking: poi morì, assistito da Dora e dal dottore.
Coloro che vedono in Kafka il rappresentante della disperazione giudaica e nella sua opera la storia cupa di una nevrosi, il racconto di un complesso di colpa e di inferiorità o l'esplosione di un delirio immaginativo complicato da un sofisticare interminabile, rimangono in superficie perché riconducono i temi di Kafka a moventi "razziali", psicologici o biografici inadeguati ad illuminare il valore e l'universalità. Va più addentro nel mondo di Kakfa chi interpreta i suoi libri in chiave mistica e messianica. Esistono, certo, documenti di una speranza religiosa di Kafka e in un certo senso è esatto dire che la ricerca del Significato e della Legge attraversa tutta la vita e l'opera dello scrittore.
Kafka ha scritto di sé nei Diari: "Non sono la pigrizia, la cattiva volontà, la goffaggine... che mi fanno fallire o non fallire in tutto: vita familiare, amicizia, matrimonio, professione, letteratura, ma è l'assenza del suolo, dell'aria, della legge. Crearmi queste cose, ecco il mio compito... il compito più originale."
Ma l'interpretazione allegorica e teologica che secondo alcuni sarebbe la "chiave" dell'opera, non convince.
Kafka ha percorso e descritto un inferno che era in lui e che sta, almeno in parte, nell'uomo moderno.
Non si può dire che il suo viaggio agli inferi - compiuto senza alcun Virgilio - sia un'esperienza compiaciuta di sé, fino al masochismo.
Kafka amava la vita ma questa gli risultava spietata verso gli uomini; ed egli ha descritto con lucidità un mondo che, in ultima analisi, gli appariva senza luce.
Tale testimonianza non è un documento o un messaggio di rinuncia: essa è un lungo e terribile grido (che arriva a noi come da misteriose lontananze) di dolore, la rappresentazione tragica di una condizione umana senza prospettive autonome né conforti espliciti di fede.
BREVE INTRODUZIONE ALLA METAMORFOSI DI KAFKA
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"Il processo", "America", "Il castello" tre romanzi punti di riferimento per la letteratura del Novecento, sarebbero stati pubblicati dopo la morte di Kafka; "La metamorfosi", invece, faceva parte di quei racconti che Kafka pubblicò in vita.
"Era un solitario, un uomo di cultura, con il terrore della vita... vedeva il mondo pieno di demoni invisibili, che distruggevano e laceravano l'uomo indifeso. Era troppo lucido, troppo saggio per vivere, troppo debole per lottare...", disse di lui la scrittrice Milena Jesenskà.
Come il suo autore, anche Gregorio Samsa, il protagonista del racconto, si trova improvvisamente escluso dal mondo e chiuso non solo nella sua stanza ma anche nel suo stesso corpo, che nella notte, senza alcuna spiegazione, si è tramutato in quello di uno scarafaggio. Ma Gregorio ha ancora voce e sentimenti umani, e la condizione di Gregorio-scarafaggio si deteriora con il trascorrere del tempo, specie dopo la ferita che l'odio e il ribrezzo del padre gli hanno aperto nel corpo. Ai suoi familiari è sembrato naturale che per destino e disgrazia ci si possa tramutare in animali, la metamorfosi è possibile, come la malattia. Ma il protrarsi di questa condizione finisce per creare nella famiglia imbarazzo, peso, insofferenza e indifferenza, il più micidiale dei sentimenti. Non c'è più posto per Gregorio, cosa aspetta a scomparire, portandosi dietro la sua imbarazzante diversità? E Gregorio si lascia morire di consunzione: muore con amore, come una vittima sacrificale per riportare il flusso naturale della vita a coloro che ama. Finisce l'inverno, torna la primavera; sotterrato Gregorio, la famiglia va in gita in campagna: è finalmente libera, può tornare alla normalità, alla quiete del vivere quotidiano. Almeno per il momento. Con la sua morte Gregorio ha salvato la continuità dell'esistenza.
Con i suoi scritti, Kafka ha esorcizzato il terrore per l'assurdità della vita: ma, come per Gregorio, la loro luce ci avrebbe raggiunto soltanto dopo la morte del loro autore.
Nota di Lunaria: "La metamorfosi" ce lo fecero leggere al liceo, quando avevamo 14 o 15 anni. Ricordo che una mia compagna di scuola ne rimase molto impressionata; quello che le faceva orrore di questo racconto era il fatto che la famiglia di Gregor Samsa non provava il minimo affetto per lui, ma anzi, lo consideravano rivoltante, un qualcosa di cui disfarsi al più presto.
L'incipit del racconto:
"Gregorio Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi."