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Le origini della festa nota come "Processione dei Serpari" (Cocullo, L'Aquila) sono precristiane e richiamano, secondo quanto scrive Plinio il Vecchio nella sua "Naturalis Historia" la capacità degli abitanti di questa regione, i Marsi ("Maneggiatori di serpenti") di trattare i serpenti velenosi senza conseguenze letali.
Con l'arrivo del cristianesimo, il rito venne cattolicizzato e "riferito a San Domenico".
La leggenda narra che san Domenico, di passaggio a Cocullo intorno all'Anno Mille, fosse stato attirato dalle grida di una folla intenta a seguire una lupa che aveva rapito un bambino. Il santo chiamò la bestia e le ordinò di lasciare la preda; la lupa obbedì, tra la meraviglia dei presenti. Gli abitanti chiesero al santo di lasciare qualcosa di suo per essere protetti dai serpenti e il santo donò un dente e un ferro di mula, conservati ancora nella chiesa del paese; il dente, conservato in un reliquiario, veniva baciato o appoggiato sopra la parte del corpo da guarire, mentre il ferro da mula era usato per gli animali, per preservarli dai pericoli della natura aspra dei monti circostanti.
Ancora oggi, quando si hanno dei problemi con i serpenti, si ricorre a San Domenico (considerato protettore dal mal di denti, dalle febbri e dalle tempeste) e a Cocullo la statua di San Domenico viene adornata con "ghirlande di serpenti vivi" mentre i fedeli vi appuntano offerte in denaro; la statua viene portata in processione per il paese, preceduta dai Serpari, cioè abili cacciatori di serpi, adorni di rettili che catturano dopo il disgelo, quando il tepore della primavera riscalda la terra, "ed è tempo di andar per serpi"; si racconta che derivano la loro arte, in eredità, da un'antica stirpe originata dal figlio di Circe; (https://intervistemetal.blogspot.com/2020/09/la-dea-angizia-e-il-serpente.html)(https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/nu-wa-e-il-serpente.html)
storicamente, però il Serparo deriva dal "Ciarallo", un personaggio tardo medievale che usava tecniche particolari per catturare e maneggiare serpenti e nel contempo curava.
Gabriele d'Annunzio descrive un Serparo nella sua tragedia "La fiaccola sotto il moggio".
I serpenti catturati sono innocui: cervoni, saettoni, bisce del collare, biacchi, che vengono custoditi in contenitori di legno e poi liberati alla fine della festa. Più saranno numerose, migliore sarà il raccolto.
Per ricordare un altro miracolo del santo, che trasformò un rettile velenoso in pane fragrante, le donne del paese seguono il corteo con ceste piene di pane a forma di serpente; le fanciulle reggono canestri pieni di dolci, i ciambellati.
Quando entrano in chiesa, i fedeli suonano la corda di una campanella tenuta tra i denti, per preservarsi dal mal di denti. Il canto di partenza viene eseguito camminando a ritroso, secondo l'usanza del suddito che non deve distogliere il volto dal Signore. La scopatura del santuario e i calcinacci che vengono staccati dalle pareti, se triturati e mescolati insieme, e poi sparsi sui campi, scacciano gli insetti nocivi.
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A Barrea, nei secoli precedenti, quando si dovevano fronteggiare le cavallette, veniva mandato nelle campagne un banditore comunale che a nome del sindaco, intimava alle cavallette, per ben quattro volte, di abbandonare la zona, altrimenti sarebbero state castigate; più tardi il banditore venne sostituito da un bando scritto che veniva esposto legato ad una frasca.
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Per sincerarsi dell'amore del fidanzato, le giovani una volta ricorrevano alla "vetriola": andavano a cogliere una foglia da una pianta, la vetriola, e se la imprimevano sul braccio pronunciando queste parole "Amor se mi vuol bene fammi una rosa, se no fammi una piaga dolorosa" La foglia lasciava un segno rosso (la "rosa") o una piaga.
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Prima di uno sposalizio, si trasportava in processione il corredo in casa dello sposo e si chiamavano le comari per l'apprezzamento della dote. I parenti e gli amici portavano in regalo la "coscina", una grande cesta ripiena di beni sulla quale troneggiava un agnello con un'arancia in bocca.
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Quando una persona moriva, si aprivano le finestre per fare uscire l'anima; si lavava il cadavere con vino e lo si rivestiva degli abiti più belli. Le campane suonavano due volte se era morta una donna, tre volte per un uomo; quando moriva un bambino suonava la campana più piccola e questo uso era detto "ad allegrezza"
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In Abruzzo è molto sentito il culto a san Panfilo, vescovo e protettore di Sulmona. La leggenda popolare racconta che quando era bambino non era in ottimi rapporti con il padre, che era rimasto pagano. Un giorno, il padre ordinò a Panfilo di salire sopra un carro e di scendere da Pacile fino alla valle del fiume Gizio: voleva che si sfracellasse al suolo. Invece, aiutato dagli angeli, gli zoccoli dei buoi e le ruote del carro affondarono nella roccia, scendendo lentamente. Sui fianchi del monte ancora oggi si scorgono le orme dei buoi e le scanalature prodottesi al passaggio del carro.
IMMAGINI DI SERPENTI NELLE VARIE CULTURE
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