Un Anno col Fantasma


Ambientato nell'Inghilterra del 1910, epoca fatale per le storie di fantasmi, il romanzo racconta la vicenda di una ragazzina solitaria che, desiderosa di un compagno di giochi, evoca con una pratica magica il cugino morto annegato. Da allora George diviene un instancabile compagno di scorribande diurne e notturne, ma anche un amico esigente che pretende sempre più assiduità e presenza fino a rappresentare per Florence un vero incubo, fonte quasi di malattia mentale. La stessa fascinazione, ancora più pericolosa, emanerà da un George cresciuto che, come il protagonista malvagio della ballata del "Cavaliere d'oltremare" cercherà di portare l'amata alla morte. 

Un cavaliere venne d'oltremare,

dall'Oceano arrivò al mio castello,

disse che al Nord sarei stata sua sposa,

il suo più prezioso gioiello.

"Va' da tuo padre e prendigli l'oro

va' da tua madre e prendi gli averi,

e poi rubane due già sellati

dei suoi ben trenta e tre destrieri"

Lei corse dal padre a prendergli l'oro

e di sua madre prese gli averi,

poi fuggirono insieme verso le stalle

dai suoi veloci trentatré destrieri.

Lei salì sul cavallo colore del giglio,

lui montò svelto su quello pezzato, 

per tre ore la riva del fiume correndo

verso il mare, così a perdifiato.

E lui a un tratto: "Smonta, dài, smonta,

piccola Polly, dai, vieni giù,

che in questo mare affogai sei fanciulle

e la settima vittima devi essere tu.

Però togliti prima la veste,

la tua veste così vellutata,

perché penso che è troppo preziosa

per marcire nell'acqua salata."

Lei rispose: "Su, falcia quel cardo

che fiorisce appuntito sul ciglio:

non vorrei mi strappasse i cappelli

o mi ferisse la pelle di giglio."

Lui prese la falce per fendere il cardo

che fioriva sul ciglio; chinato,

lei lo afferra alla vita sottile,

che giù nel gorgo perisca affogato.

"Laggiù affonda, laggiù uomo vile,

uomo perfido, gran sciagurato

che hai ucciso già sei fanciulle:

ma la settima ti ha ripagato!"

Poi montò sul suo bianco destriero,

a briglia sciolta correva correva

finché giunse al palazzo del padre,

che ancora l'alba non si scorgeva.

Il pappagallo dall'alto balcone

udì i suoi passi e le chiese accorato:

"Ti ha forse sviato un sinistro ribaldo

che così a lungo lontano hai indugiato?"

"Su, non ciarlare, mio bel pappagallo,

e il mio segreto non disvelare,

ti darò in cambio una gabbia dorata

e candido avorio su cui riposare."

Il padre svegliato lassù nella torre

udì il pappagallo e si sporse a guardare:

"Che cos'avrai mai, mio bel pappagallo,

che prima del giorno ti metti a parlare?"

"Un gatto è salito in cima alla gabbia

la vita soave voleva strapparmi.

La mia padroncina ho chiamato a gran voce

perché qui corresse a salvarmi".



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