Una recensione di Lunaria
Trama: Helen Lyle, per la sua tesi di laurea, decide di indagare su una leggenda urbana locale: quella di Candyman, un'entità che si dice appaia quando la si chiama allo specchio, ripetendo il suo nome cinque volte.
Candyman appare con un uncino, e sventra chi ha avuto l'ardire di evocarlo. Dopo una serie di omicidi che colpiscono persone a lei vicine, Helen subirà le conseguenze della sua curiosità, perché anche lei lo ha chiamato, per gioco..
Commento critico: diciamo la verità: prima di "Candyman", ben pochi non-afroamericani avrebbero considerato terrorizzanti quei prodotti della Blaxploitation come Blacula, Abby o Black Devil Doll from Hell... causa anche il "ridicolo involontario" cui spesso cadevano questi film.
Ma Candyman... Candyman è tutt'altra cosa.
Un condensato delle paure più ataviche e un sunto degli argomenti che "si tirano in ballo" parlando di razzismo.
(http://intervistemetal.blogspot.com/2020/07/razzismo-1-la-segregazione-razziale-e.html)
Intendiamoci bene: non che non esista un razzismo contro i bianchi (in una scena, Helen viene proprio picchiata da una gang di afroamericani) o degli asiatici contro altri asiatici (basterebbe citare il Myanmar...) o degli africani contro altri africani (Ruanda), ma quello che ha "le sue origini più antiche, più religiose, più ammantate di (pseudo)scienza che ne ha dato una giustificazione" è proprio quello di matrice bianca-colonialista che ha causato l'esodo forzato di milioni di africani, razziati e trasportati nelle Americhe, condannandoli al lavoro nelle piantagioni.
E così "Candyman" si candida ad essere il primo horror di analisi antropologica e sociologica a temi come la schiavitù e il suprematismo bianco (Daniel è un figlio di schiavi ucciso dai padroni bianchi e alla sua barbara esecuzione partecipano anche donne con crocifissi in mano e bambini)
l'amore inter-razziale (Daniel ha avuto come unica colpa l'aver amato, ricambiato, una donna bianca, che con orrore ha scoperto che il suo amato è stato linciato), i ghetti di periferia.
E così, "Candyman" è entrato a ragione nell'immaginario collettivo, tanto da meritarsi un posto accanto ad altri cattivi dalla psicologia complessa come Freddy Krueger e Pinhead.
Dal punto di vista tecnico, il film è realizzato con un occhio di riguardo per tutta la parte meramente scenografica: le riprese aeree che sembrano accentuare la sensazione di "altezzosa presa di distanza" dai bassifondi del ghetto, i murales colorati che infestano tutte le pareti del palazzo, nelle cui viscere è stato edificato un "altare" dedicato a Candyman... a cui vengono offerte carte di caramelle...ripiene di lamette!, e la musica toccante di Philip Glass, che rappresenta senza ombra di dubbio una delle colonne sonore più celebri nel cinema dell'orrore.
C'è pochissimo splatter (ma lo sventramento finale fa il suo effetto...) e molti particolari che giocano sul "non-detto", basandosi sulle intense espressioni degli attori ma anche sul
ronzio persistente dell'ape, che annuncia la presenza di Candyman,
e animale dal complesso simbolismo: il miele e la cera servivano a conservare i cadaveri, in Antico Egitto; la cera veniva usata nelle pratiche di imbalsamazione oltre che per plasmare figurine magiche e amuleti.
Suggestivo il finale, che verrà citato anche da "Urban Legend", con Helen che diventa ella stessa una "leggenda urbana" con tanto di murales!
Candyman ha avuto diversi seguiti, ma l'unico che mi è piaciuto è il secondo ("Candyman 2: Farewell to the Flesh" di Bill Condon, 1995) che presentava un approfondimento della vita mortale di Candyman (davvero agghiacciante tutta la scena del linciaggio e del miele spalmato sulla pelle di Daniel nonché della sua anima imprigionata nello specchio) oltre che una maggiore vena splatter, anche perché in questo sequel Daniel compare molto di più, rispetto al primo episodio.
Quindi il mio consiglio è di vedere soprattutto i primi due episodi, che restano da annoverare tra gli horror più importanti e più significativi degli anni Novanta, e horror che servono per pensare e riflettere sul razzismo, i pregiudizi e la spirale di violenza (e lo dico anche ripensando alla sparatoria di matrice razzista-fascista che è successa qualche tempo fa nel nostro Paese...) .
Qui una raccolta dei fotogrammi più belli...
Da "Farewell to the Flesh"
Per approfondire il tema del razzismo e del suprematismo bianco:
Già che ci sono, riporto anche l 'analisi di Frantz Fanon
Frantz Fanon esercitò una grande suggestione sul movimento giovanile del '68: simboleggiava un profeta della violenza contro gli oppressi, battistrada di una cultura "altra" rispetto a quella bianca-capitalistica, sostenitore del rifiuto totale dell'Occidente.
Fanon nasce nel 1925 a Fort de France, nell'isola di Martinica, colonia francese delle Piccole Antille.
Al liceo ha come insegnante Aimé Césaire, il famoso poeta surrealista del gruppo "Présence Africaine", che diventa un punto di riferimento per la sua formazione.
Nel '46, a Lione, Fanon studia medicina e partecipa a diverse iniziative, come la redazione di un giornale ciclostilato in cui si batte per la solidarietà e l'unità di tutti i popoli di colore posti sotto il dominio francese.
Conosce Sartre e diversi leader dei movimenti di liberazione e di indipendenza africana. Muore di leucemia nel 1961.
I primi scritti di Fanon: il razzismo come negazione dell'uomo
Gli scritti più noti di Fanon sono "Le syndrome nord-africain", in cui viene esaminato il rapporto razzista che si crea tra il medico europeo e il paziente nord-africano; "I dannati della terra" e "Il negro e l'altro", che affrontano il rapporto razziale tra il nero e il bianco che ben si può definire come "negazione dell'uomo".
Il "Negro e l'altro" si regge su uno schema dialettico, su cui vengono poste le basi del problema razziale e le prospettive della lotta per superarlo. Tale schema rimanda allo studio di Hegel della "Fenomenologia dello Spirito", mediato dall'influenza di Sartre.
Il libro affronta anche il tema del razzismo e dei rapporti psicologici che si creano tra discriminati e discriminatori, basato sulla negazione dell'uomo, e l'argomentazione sui rapporti psicologici tra nero e bianco.
"La coscienza di sé è in se stessa e per se stessa quando e perché ella è in se stessa e per se stessa per un'altra coscienza di sé; vale a dire che esiste in quanto essere riconosciuto"
Questo passo di Hegel proposto da Fanon nel punultimo capitolo del "Il nero e l'altro" illumina tutto il testo rivelando lo schema dialettico su cui si regge.
L'analisi di Fanon parte da un modello astratto del rapporto intersoggettivo umano: originariamente la coscienza di sé del singolo coglie l'esistenza dell'altro come ostacolo; da questo incontro-contrapposizione scaturisce il movimento verso l'altro; esso è il desiderio, "prima tappa della vita che conduce alla dignità dello spirito (Hegel)".
La coscienza di sé, muovendosi verso l'altro, accetta di rischiare se stessa nel rapporto intersoggettivo, accetta la dialettica dell'esistenza; la reciprocità nei rapporti umani è la conquista, l'obiettivo e il risultato della dialettica e della lotta.
(il linguaggio che viene usato da Fanon tiene presente Sarte ed Hegel)
Ma il modello non corrisponde alla realtà dei fatti umani perché questi sono dominati dalla mistificazione che trasforma i rapporti tra uomini in rapporti alienati fra "razze". Questa mistificazione ha una storia: il nero, oppresso, sfruttato, schiavo, è stato un giorno "riconosciuto" dall'altro (il padrone) senza lotta, quando l'altro ha unilateralmente affermato l'uguaglianza e la dignità di ogni uomo. Il tal modo il rapporto padrone-schiavo non ha generato la sua sintesi dialettica ma una maggiore mistificazione per cui mentre formalmente non esiste più il padrone né lo schiavo, di fatto nulla è cambiato. "Il nero", scrive Fanon, "è passato da un modo di vivere all'altro, non da una vita a un'altra".
Più esplicitamente, è avvenuto che la società dei bianchi-padroni ha dato libertà formale ai neri-schiavi affermando l'uguaglianza astratta di tutti gli uomini, ma ciò è avvenuto su un piano mistificato, senza lotta. Non vi è stato quindi un riconoscimento reale, la schiavitù è restata ma è stata nascosta dalle parole.
è così che la legge afferma l'uguaglianza degli uomini, ma l'evidenza ne afferma la diversità. Lo schiavo non esiste più, ma il razzismo e il colonialismo esistono. Essi negano l'uomo. Infatti "[...] l'uomo è un sì che vibra alle armonie cosmiche... il nero non è un uomo... il nero è un uomo nero... sradicato, confuso, condannato a vedere dissolversi una dopo l'altra le verità da lui elaborate.... in virtù di una serie di aberrazioni affettive si è stabilito dentro a un universo e da questo universo circoscritto bisognerà pure farlo uscire..."
Il nero dunque non è un uomo [...] viene al mondo cercando un senso alle cose, vuole essere un uomo in mezzo agli altri uomini, [...] ma si scopre oggetto. L'altro lo fissa e lo oggettivizza, e l'altro è il bianco. Lo sguardo del bianco dunque lo "pietrifica".
[...] tutta la sua storia, vista dall'altro gli è stata gettata addosso: antropofagia, arretratezza mentale, feticismo, tare razziali...l'altro gli crea un carcere, in cui il nero è costretto a rimanere rinchiuso. Egli è inferiore.
[...] L'altro non è un "uomo", è il bianco, ed egli si nega come uomo mentre nega l'altrui umanità; l'altro è un razzista, ed è "il razzista che crea l'inferiorità", "è il razzista che crea l'inferiorizzato"
[...] Al nero resta una possibilità di scelta: l'accettazione della prigione del bianco o un'altra strada più difficile da percorrere: la lotta per la liberazione dell'umanità:
"Non ho che una via: sorvolare questo assurdo dramma che gli altri mi hanno fabbricato intorno, scartare questi due termini ugualmente inaccettabili, negritudine ed integrazione nella società bianca, e tendere all'universale attraverso un particolare umano" (Fanon)
Questa è la strada di Fanon. Per realizzarla, il nero dovrà uccidere il bianco che è dentro di lui, e quindi uccidere anche il bianco come altro che lo disumanizza e si disumanizza, uccidere il razzismo.
Per il nero, la cui alienazione e nevrosi sono causate dalla cultura dell'altro, da cui ha attinto l'ansia di diventare bianco, scartata l'illusione momentanea della "négritude" e rifiutata la possibilità di cercarsi uno spazio nel mondo precostituito del bianco resta infatti una sola via giusta: "è l'ambiente, la società che sono responsabili della tua mistificazione" (*)
Mistificazione razziale e azione liberatrice sono i passaggi della dialettica della liberazione;
Fanon non fu tenero con i suoi compatrioti, i neri delle Antille che si sentivano "più bianchi degli africani" e dopo l'accentuarsi dell'oppressione razzista si riscopre nero e vuole sentirsi solidale con l'Africa; ma allora "egli sente la disperazione. Ossessionato dall'impurità, oppresso dall'errore, segnato dalla colpevolezza, egli vive il dramma di non essere né nero né bianco."
Per Fanon, la mistificazione non morde dove l'oppressione è senza veli, ridotta all'osso della sua inumanità: "In Africa, la discriminazione era reale. Laggiù il nero, l'africano, l'indigeno, lo sporco erano reietti, disprezzati, maledetti. Laggiù vi era amputazione, vi era negazione di umanità [...] In America, il nero lotta ed è combattuto, lì sul campo di battaglia limitato ai 4 angoli da ventine di neri impiccati per i testicoli [...]."
Fanon tiene anche presente la diversità del compito dell'intelletuale nero rispetto a quello delle masse nere oppresse. Il primo è alienato culturalmente, per le seconde l'alienazione è fisica e totale. Il nero oppresso e sfruttato "non potrà che concepire la propria esistenza sotto la specie di una battaglia condotta contro lo sfruttamento, la miseria e la fame."
"Il problema nero non si risolve attraverso i neri che vivono tra i bianchi ma bensì attraverso i neri sfruttati, schiavizzati, disprezzati da una società capitalista, colonialista, incidentalmente bianca."
Nota di Lunaria: tutto questo ragionamento è valido anche parlando di androcentrismo e misoginia, laddove la donna si faccia reificare ed ingabbiare dallo sguardo del maschio patriarcale.
Ma Fanon ha studiato anche il problema razziale sotto il profilo del linguaggio rifacendosi alla borghesia delle Antille che non usa il creolo "salvo che nei rapporti con i domestici". Ciò avviene poiché il possesso della lingua francese è ritenuto garanzia di status, di rispettabilità. L'antilliano desidera parlare il francese perché il sistema coloniale bianco ha generato in lui un complesso di inferiorità, e a questo complesso fa riscontro il complesso di superiorità del bianco verificabile sempre al livello del linguaggio; il linguaggio del bianco definisce il posto del nero.
(parlando della condizione maschio-femmina, il linguaggio è androcentrico: è scontato riferirsi a dio come "dio padre", "cristo redentore" e non "dea madre"; quanto al cristo redentore, non esiste neanche un'alternativa al femminile. Inoltre, è tipico dei misogini ricordare alle donne che "non hanno mai fatto la storia", quando Gaspara Stampa scriveva tanto quanto Tasso e l'Ariosto, e l'invenzione del romanzo gotico va a Ann Radcliffe e non a Poe, che è successivo...
nonostante si possano citare dozzine di scrittrici e pittrici, che hanno fatto arte tanto quanto i maschi, nella percezione comune resta sempre l'idea che "la cultura l'hanno fatta i maschi"; dall'esistenza dei Mozart, dei Dante, dei Manzoni, i misogini traggono "la prova della loro superiorità", anche se ovviamente, non hanno altrettanto talento, ma si sentono accomunati a costoro solo per il fatto che possiedono gli stessi attributi genitali. Che poi a Mozart si possa affiancare una Francesca Caccini, a Dante una Christine de Pizan, a Manzoni una Ann Radcliffe è qualcosa che i misogini non vogliono proprio ficcarsi in testa)
Fanon analizza anche i rapporti tra i sessi, studiando il fenomeno delle donne di colore che aspirano alla "lattificazione attraverso l'amore del bianco" e degli uomini neri che attraverso la donna bianca tentano di provare la propria "umanità-bianchità".
Il nero vive all'interno di un mondo simbolico bianco. [...] Essendo il colore della pelle una costante irriducibile, il dramma si riproduce in continuazione e i complessi del nero vengono "trasferiti" continuamente nei rapporti intersoggettivi, per cui "se la struttura psichica si rivela fragile, si assiste al crollo dell'Io. Il nero cessa di comportarsi come individuo azionale.
Lo scopo della sua azione sarà l'altro [sotto forma del bianco] perché solo l'altro può valorizzarlo"
Ciò dimostra come esista una complessa schiavitù del nero causata dall'imposizione culturale tipica del dominio coloniale.
Anche lo stereotipo che attribuisce al nero una straordinaria potenza sessuale è causato dal fatto che il nero, nella psiche bianca, si identifica con la sessualità, il biologico: vi è un'identificazione nero-pene. Ma nell'inconscio del bianco il nero non è solo "sesso", è anche "male"; il nero come l'ebreo svolgono la funzione di capro espiatorio dell'aggressività sociale. Nell'inconscio collettivo dell'"Homo occidentalis", il nero simboleggia il male, il peccato, il negativo
(*) Che, ad un livello estremo, prevede, come unica soluzione, la misantropia e l'auto-isolamento.
Il fondamento umanistico percorre la ricerca di Fanon; a "L'essere e il nulla" Fanon è direttamente debitore di varie analisi, anche se le trasferisce in un contesto diverso. Senza dubbio, l'incontro tra il nero e l'altro rimanda all'analisi sartriana dell'esistenza degli Altri. Sartre aveva sviluppato in questo contesto delle osservazioni sul linguaggio inteso come "essere per l'altro"; sullo sguardo dell'altro che "coglie il sè oggettivo" escluso alla portata del soggetto; sul corpo, contingenza determinata da vari fattori, tra i quali l'etnia. Tutti questi temi ritornano in Fanon e vengono applicati all'indagine dell'esperienza vissuta dal nero.
Si possono trovare anche altri recuperi dell'analisi sartriana, come la nozione di tempo e di amore, anche se Fanon predilige il problema dell'azione e della libertà, una delle questioni principali del pensiero sartriano.
In "L'essere e il nulla" Sartre aveva analizzato l'azione come fenomeno intenzionale, che nasce in corrispondenza di una mancanza; l'azione non è altro che l'essere dell'uomo, e in questa equazione di essere e d'agire si colloca la libertà e il "progetto" umano. L'uomo, per Sartre, è libero, anzi è condannato ad essere libero, ad essere causa del suo futuro. Ma questa libertà comporta la sua responsabilità: "L'uomo, essendo condannato ad essere libero, porta il peso del mondo tutto intero sulle sue spalle: egli è responsabile del mondo e di se stesso in quanto modo d'essere" (Nota di Lunaria: questa, in fondo, è ancora una prospettiva androcentrica; soprattutto perché l'uomo ha sempre sentito l'esigenza di definire la donna e di reificarla in un dato ruolo\indole\aspettativa; sembra che in quest'ottica "l'uomo maschio sia responsabile del mondo e di se stesso, nonché del definire la donna"; l'unica responsabilità della donna è quella di aderire al ruolo pre-confezionato per lei dall'uomo e incarnarlo appieno)
Questi concetti d'azione, libertà e responsabilità dell'uomo, sono sia la base dell'impegno politico di Sartre sia quella dell'interesse di Fanon per il pensiero sartriano.
La trattazione del problema razziale porta Fanon su un terreno del tutto diverso rispetto a quello di Sartre. Per Fanon il rapporto con l'altro non è un qualsiasi rapporto intersoggettivo, ma un rapporto razzista: "il bianco non è soltanto l'altro, ma il padrone reale o immaginario"
Sia Fanon sia Sartre individuano il "perché" della discriminazione non nelle caratteristiche del discriminato ma nello stesso discriminatore: per Sartre è l'antisemita che crea l'ebreo; per Fanon è il razzista che crea l'inferiorizzato (e per Thomas Szasz è lo psichiatra che crea il pazzo; è l'inquisitore che crea la strega e l'eretico. Nota di Lunaria)
Ma Fanon fa notare che tra il nero e l'ebreo, il nero sta peggio perché pur esistendo l'antisemitismo, l'ebreo passa inosservato, essendo bianco, può essere ignorato nella sua "ebreità"; il nero invece non può sottrarsi al colore della sua pelle.
Inoltre ci sono anche identificazioni incosce: per Fanon, l'ebreo è identificato col denaro, il nero con il sesso.
(Nota di Lunaria: anche oggigiorno; vedi epiteti palesemente sessisti e sessualizzanti come "big bamboo" che vengono dati agli africani; o l'idea, tanto cara ai nazifascisti, che "vogliano portarci via le nostre donne". Comunque c'è da dire che i più denigrati in assoluto non sono gli africani, ma gli aborigeni, su cui pende di continuo l'accusa di essere "uomini di Neanderthal" perché esteticamente hanno fronte prominente, occhi infossati, grandi nasi e corporeità piuttosto massiccia, anche nelle donne)
Fanon definisce il rapporto bianco-nero come un'imposizione, come la vicenda di una cultura che ne schiaccia un'altra: l'imposizione della cultura bianca alla cultura malgascia, per esempio, non è stata un'aggiunta né un'acculturazione, è stata invece una cancellazione della cultura malgascia, una destrutturazione. (Nota di Lunaria: ciò è sicuramente vero, ma si tenga però presente che le culture tradizionali africane non avevano e ancora non hanno la concezione della "parità tra uomo e donna", oltre alle pratiche cruente delle mutilazioni, non solo genitali, che venivano imposte su bambini, bambine, ragazzini, ragazzine, uomini e donne, a scopo estetico, magico-superstizioso o di controllo della sessualità femminile. è indubbio che la parità uomo e donna è stata creata nel solo Occidente e che è stata "esportata" dai bianchi, qualche volta, stranamente, persino dai cristiani; è il caso della missionaria Annalena Tonelli che venne uccisa alcuni anni fa perché aiutava le donne ad evitare l'infibulazione. Annalena Tonelli apparteneva ad una religione sessista, ma nel suo agire contro l'infibulazione si ravvisa una visione dei genitali femminili che appartiene più al femminismo che non al cristianesimo; si potrebbe citare anche il caso dell'India: la pratica orribile del bruciare le donne vedove - spesso ragazzine - sulla pira funebre del marito è stata proibita proprio dagli inglesi, che ne rimasero inorriditi)