"La Chimera": recensione


Recensione di Lunaria: Gran bel romanzo, questo "La Chimera", ambientato in un Seicento (in Piemonte) meravigliosamente ricostruito (delle volte mentre lo leggevo mi venivano in mente le tipiche atmosfere manzoniane, sia per le ambientazioni rurali sia per lo stile narrativo di Vassalli).  è la commovente storia di Antonia, ragazza orfana, poi adottata, che verrà bruciata sul rogo, a seguito delle calunnie e delle maldicenze di donne invidiose e di uomini meschini. Antonia è "la diversa", il capro espiatorio ideale per riversare fobie e malcelate invidie: è una bella donna, che decide di vivere l'amore e la sessualità senza nascondersi, innamorandosi di un uomo "Camminante", cioè vagabondo, già visto con sospetto dai contadini e considerato incarnazione del Diavolo, che ha sedotto Antonia. Verrà torturata, da uomini che continuamente l'accusano di crimini che non ha commesso e che pretendono che lei confessi. Magistrale la sua risposta, quando, dopo che per l'ennesima volta ha subito la tortura, Antonia rinnega "il dio degli inquisitori" e afferma che preferirebbe adorare il Diavolo, visto che a torturala sono proprio loro, con il loro dio...

Dalla Prefazione

"Antonia la strega però, brucia la sua vita come altri personaggi di Vassalli, come il bambino dell'Oro del Mondo e come il poeta maledetto Dino Campana in La Notte della Cometa. Campana ha il demone della poesia; Antonia ha il diavolo in corpo, un diavolo che chi le sta attorno crede di poter vedere, toccare, scacciare; e Vassalli, come e più dei suoi personaggi, si lascia possedere dalla Storia (o da una storia), dal Romanzo (o da un romanzo) per lanciare la suprema sfida d onnipotenza. Come la sua vita e questo suo libro sono tutti immersi in un paesaggio acquitrinoso, invisibile, cancellato da miasmi e nebbie, dove quasi per miracolo in poche giornate limpide i colori diventano colori, l'orizzonte una linea, e si vede il profilo delle montagne, allo stesso modo grazie alla scrittura un periodo, un personaggio, un ambiente riemergono dalle nebbie della storia. Per subito scomparirvi. Fra tutti gli infiniti momenti di cui è composto il tempo, o fra tutti gli infiniti romanzi, il narratore ne illumina uno solo, per caso o per necessità."

Pagina 47

"Appena a casa ti togli quel grembiule da esposta", diceva a Antonia la signora Francesca, mentre attraversavano il guado dell'Agogna: che è un piccolo fiume dalle acque gelate e oggi non più limpide, ma ancora limpidissime all'epoca della nostra storia; con lunghe alghe verdi che si muovevano sul fondo ghiaioso, ed ombre viola di pesci che dileguavano non appena si sentivano risuonare gli zoccoli dei cavalli tra i sassi del guado. (...) Oltre i boschi della valletta dell'Agogna, "ombrosa d'alberi fitti", come ebbe a scrivere, in latino, un poeta della bassa, il Merula, la campagna che oggi appare piatta come un tavolo da bigliardo era allora ondulata e colorata con tinte a tratti vivacissime, dal giallo accecante del ravizzone al blu celeste del lino, passando per tutte le varietà di verde (...) mentre già i primi iris si specchiavano nelle pozzanghere e le delicate infiorescenze dei salici sembravano rabbrividire, sopra i fossi, non appena una brezza leggera arrivava a sfiorarle. Lungo la strada, a ogni incrocio, c'erano edicole votive dedicate alla Madonna, a Sant'Anna, a San Martino, a San Rocco, al Sacro Cuore di Gesù; sul bivio di Gionzana, una cappella con annesso un piccolo porticato serviva, in caso di necessità, a offrire riparo al viaggiatore che fosse stato sorpreso in quei paraggi dalla notte o da un acquazzone improvviso (...) Attraversarono un boschetto di betulle e di querce e quando ne uscirono Antonia si accorse che il paesaggio era cambiato, da terrestre che era stato fino a quel momento, d'un tratto s'era fatto acquatico. Era il paesaggio della risaia: una laguna abbagliante nel riverbero del sole, suddivisa in una serie innumerevoli di scomparti a forma di quadrato, di triangolo, di trapezio, di rombo, un mosaico di specchi che però presentava, qua e là, delle zone opache: dove l'acqua si fermava e imputridiva diventando palude."

Pagina 72

"A nord di Zardino - le disse Teresina - in un luogo chiamato la Fonte di Badia c'erano le Madri: donne crudeli, capricciose, terribili, sopra il cui altare e alle cui immagini chiunque passava di lì doveva sacrificare qualcosa di ciò che aveva indosso, o che portava con sé, per placarne la collera... Anche il gorgo della Crosa, un ruscello d'acqua sorgiva che scorreva tutt'attorno al paese venendo da levante, e faceva girare la ruota del mulino, era un luogo fatato, pericolosissimo. Lì, sul fondo, c'era in agguato la Melusia: una donna coi capelli lunghi e verdi e con le gambe fatte come due code di pesce, che attirava i bambini e le bambine e quando si affacciavano sull'acqua per specchiarsi, e se riusciva ad acchiapparli, li teneva sotto finché morivano affogati. Quanti bambini s'era già presa, la Melusia! E poi - disse Teresina - c'erano i dossi. Quelle due collinette appena fuori del paese, verso il Sesia: il dosso di sinistra, dove il sole tramontava, era infestato da certi orribili serpenti con creste rosse e visi umani, che parlavano; quello di destra, dove c'era un enorme albero di castagno, serviva invece da ritrovo per le streghe: vi si sentivano, di notte, suoni di liuti e di viole e rumori e voci come di gente che si desse buon tempo, sicché nessuno degli abitanti del villaggio s'azzardava più a raccogliere le legna dell'albero, e i frutti - che pure erano abbondantissimi - d'autunno se li mangiavano i porci."

Musica consigliata: La Pietra Lunare (che ho pure intervistato 😃)


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