New Age (breve estratto)

Tratto da


Il teosofo Geoffrey Hodson è riconosciuto come il più grande chiaroveggente degli ultimi tempi. Questo volume illustra l'universo invisibile al quale Hodson ebbe accesso: il mondo degli elementali e dei Deva, le invisibili energie su cui si regge tutta la natura. Le illustrazioni, opera di un artista sensitivo e veggente, ci mostrano gli elementali, i Deva, le Forme-Energia della Natura, come essi si rivestono di etericità per farsi percepire dagli uomini che posseggono il dono della veggenza.

Tutti coloro che hanno il dono della chiaroveggenza hanno notato che la realtà astrale che viene percepita con gli occhi dello Spirito non si basa sulla geometria che conosciamo. 

Inspiegabilmente, vengono percepite vibrazioni energetiche le quali assumono forme che ci ricordano qualcosa della nostra realtà, ma in modo impreciso e incomprensibile, come se una parte del nostro cervello rifiutasse di riconoscerle, di sistemarle nel mondo delle nostre cose di tutti i giorni. Tutto appare in un modo che nessun pittore può riprodurre: tutte le figure sono iridescenti, formate da uno spettacolare insieme di punti luminosi e tenui, che ricordano i colori cangianti dei cristalli liquidi, ma che sprigionano nuvole di altri colori senza nome, i quali si muovono pazzamente attorno al centro dell'immagine. A volte i colori si accendono di una vibrazione particolare, e allora si avverte, dentro di noi, un urgere di sentimenti sconosciuti, così violento da provocare dolore. A volte questa luminosità provoca una cecità temporanea. Il dono della chiaroveggenza apre inesplorati abissi nella nostra coscienza, abissi che è pericoloso sondare se non si è sul Sentiero del Cuore.

Riflettendo Se stesso nello Spazio eterno, pre-cosmico, virginale, l'Uno si dice chiami alla vita una diade, positivo-negativa, maschile-femminile, un potenziale padre e una potenziale madre.

La divina Ideazione universale si concentra in pensiero creativo. L'idea unica, onnicomprensiva, attraversa le fasi della dualità, della triplicità e dell'espressione settemplice giungendo alla quasi infinita diversità potenzialmente presente nel pensiero primordiale.

Le Schiere Angeliche possono essere viste come Intelligenze creatrici attive e costruttori della forma di tutta la creazione oggettiva. Sono manifestazioni dell'Uno, del Tre, dei Sette e di tutto quanto da essi prodotto. Dall'Alba al Tramonto del Giorno della Creazione sono incessantemente in azione come direttori, rettori, disegnatori, artisti, produttori e costruttori, sempre subordinati e sempre espressioni dell'Unica Volontà, dell'Unica Sostanza e dell'Unico Pensiero. 

Come si vedrà nelle illustrazioni, la forma angelica è basata sullo stesso archetipo o idea divina dell'uomo. Tuttavia i contorni sono meno chiaramente definiti, i corpi meno reali: suggerirebbero delle forze fluenti che non delle forme solide.

Nota di Lunaria: questo è presente anche nell'idea cristiana di angelo tuttavia nella bibbia gli angeli NON hanno forme femminili, bensì maschili (e senza ali) e riguardo la leggenda dei Nephilim, gli angeli hanno persino desideri sessuali verso le donne! Comunque oggigiorno sono frequenti anche illustrazioni di angeli femmine. 

Tipica immagine New Age sugli angeli:

Ad ogni modo nell'antico testamento l'idea di angelo NON è quella che hanno i cristiani, ma è decisamente più inquietante. 

Gli angeli stessi differiscono nell'aspetto a seconda dell'Ordine al quale appartengono, delle funzioni che svolgono e del livello evolutivo al quale si trovano.

 Folletti, elfi e gnomi appaiono nei paesi dell'Occidente come sono stati descritti nel folklore. In taluni paesi dell'Oriente, dell'America centrale e meridionale hanno forme più arcaiche e grottesche. Ondine e Nereidi associate all'elemento dell'acqua, somigliano a splendide figure femminili svestite, di altezza variabile da qualche cm a un metro, si vedono Ondine che giocano tra gli spruzzi della cascate, che riposano sul fondo di profondi specchi d'acqua o fluttuano velocemente sulla superficie di fiumi e laghi. Fate e Silfidi, associate all'elemento aria, appaiono generalmente come nei racconti delle fate: splendide fanciulle dalle ali vivacemente colorate. Le Salamandre, associate all'elemento fuoco, appaiono come fatte di fiamma.

Le forme angeliche sono fatte di luce o piuttosto di materia sottile luminosa poiché ogni atomo del loro corpo ed anche dei mondi in cui dimorano è una splendente particella di luce. La forma che adottano assomiglia molto da vicino alla nostra e infatti è costruita sullo stesso modello del corpo fisico dell'uomo. Fate a angeli appaiono generalmente come splendidi esseri eterei simili all'uomo. I volti, tuttavia, hanno un'espressione non-umana poiché portano un'impronta di energia dinamica, di vivacità e coscienza unite a una bellezza superba.

Sui gradini inferiori della scala della gerarchia angelica si trovano gli spiriti di natura dei quattro elementi sottili della terra, dell'acqua, dell'aria e del fuoco. La campagna inglese ove furono fatti questi studi è riccamente popolata da una quasi infinita varietà di abitatori di questi quattro regni di Natura: gnomi, folletti, elfi. 

Nota di Lunaria: Gli appassionati di New Age spesso (anzi, quasi sempre) immaginano questa "Grande Madre" come "la Madonna", e non esitano a metterla accanto ad altre Dee (e/o a considerarla la stessa, in versioni differenti). Questo errore è portato avanti anche da diverse wiccan. Per la teologia cristiana, Maria NON è una Dea (e neppure una semidea). Difatti il cristianesimo è una religione androcentrica proprio per questo, perché non include la Femminilità nel loro Dio. C'è da dire però che oggigiorno qualche teologo progressista ha tentato di fare una teologia del Dio Madre o dell'Ipostasi Femminile dello Spirito Santo\Maria.


"Il Volto dell'Irreale" (Horror, 1962)


Trama: Edgard, redattore sportivo, e sua moglie Margie decidono di trascorrere due settimane in un villaggio della Scozia, dove hanno affittato un villino. Ed è nello scenario lugubre e triste della campagna autunnale, che si svolgono gli straordinari fatti che l'autore vi narra in questo racconto con il suo stile rapido e incisivo. Una donna viva e una donna morta, simili nell'aspetto e nell'età; un uomo vivo ed un uomo che attende la morte come una liberazione, sono gli attori di questa vicenda che si svolge ai margini dell'irrealtà, dove il vero protagonista è un pozzo: un pozzo maledetto che, da 22 anni, serba, nelle profondità del suo ventre, un orribile segreto...


Gli stralci più belli:

"è vero che avete affittato quell'appartamento di McKenzie? Quello al pianterreno?"

"Sì, perché? Cosa c'è di strano in questo?" 

"Il vecchio vi ha imbrogliato. Nessuno che ne conoscesse un po' la storia avrebbe mai accettato di andare a viverci. Specie dei giovani come voi; porta male. Ascoltate un consiglio di chi non ha nulla da guadagnare a darvelo: andatevene di lì. (...) Non passate una sola notte nell'appartamento che avete preso. (...) è il pozzo che spaventa tutti. è maledetto. Si odono voci, di notte, e qualcosa appare, a chi voglia bere di quell'acqua tanto invitante. Non so di cosa si tratti perché io non mi sono mai avventurato in quel giardino. Ma deve essere terribile. Vi sono stati dei morti e gente che è fuggita terrorizzata."

"Era lì, in giardino. La sola camicia da notte, di nylon trasparente, la copriva allo sguardo di chi si fosse affacciato al cancello. Ed era immobile, quasi una statua. Nemmeno il respiro le faceva gonfiare il seno meraviglioso che l'aria fresca aveva indurito nei capezzoli. E la testa era china, rivolta verso l'oscurità del pozzo."

"Pensa che mi pareva di essermi alzata, durante la notte, per recarmi al pozzo. Mi sono affacciata e ho visto un'immagine femminile avvolta in un abito bianco, o una vestaglia, non so: mi parlava, mi diceva che dovevo fuggire, perché mi avresti uccisa. La sua voce era quella di un'eco, come se qualcun altro parlasse nel pozzo, e io non lo udissi, e solo le parole rimbalzanti sulle fredde pareti umide venissero a me. Era qualcosa di orribile, ma non riuscivo a distaccarmi. Volevo chiedere perché mi avresti uccisa ma non riuscivo a muovere le labbra, e un senso di gelo mi penetrava nelle ossa; il respiro sembrava mi si dovesse fermare."


Macabri proverbi lombardi

Info tratte da

"Te se dré a cascià föra a stria?", "stai mandando via la strega?"

Nella prima metà del '900, quando c'era qualcosa che non andava, si pensava ci fosse lo zampino di qualche strega. Per scoprire chi fosse il responsabile, si usava battere con un battipanni i materassi. Se qualcuno, che si trovava a passare di lì in quel momento, diceva di smetterla di battere, veniva ritenuto il responsabile della disgrazia capitata o del malocchio che si era abbattuto sulla famiglia. Si diceva infatti "è lei la strega che mi ha stregato!"

"A mòrti l'è sül tèciu: la gua°rda né ul giuan, né il vegiu" (Nota di Lunaria: il pallino vicino alla "A" l'ho messo per indicare che trattasi di un'A chiusa) "La morte è sul tetto: guarda né il giovane né il vecchio" cioè la morte colpisce senza seguire un ordine cronologico.

"Chi tòca, ta°ca", chi tocca, attacca: quando la sfortuna ti tocca, ti si attacca addosso e non ti lascia più.

"Méi strascià i visti chi i lansö", meglio consumare i vestiti che le lenzuola: meglio essere sani che ammalati.



"Il Giardino di Mezzanotte"

Quando due persone desiderano ardentemente la stessa cosa, il desiderio può materializzarsi ed esse vivranno la medesima esperienza insieme, al di là del tempo, dello spazio, dell'età.

Durante un noioso soggiono forzato in casa degli zii, Tom soffre in modo intollerabile della mancanza di un giardino e di un compagno di giochi.

Ma nell'ora magica battuta da un vecchio orologio, le tredici di notte, al posto di uno squallido cortile ecco comparire a Tom un giardino fantastico eppure reale, pieno di alberi, aiuole e profumi. Vi sono anche persone vestite all'antica, tra cui Hatty, bambina vittoriana.

Sono fantasmi? Perché Hatty continua a crescere fino a farsi donna, mentre Tom, pur volendola seguire, rimane bambino?

C'è in questo libro tutta l'emozione dei desideri, la gioia della realizzazione dei propri sogni, il dolore della loro perdita. Ma qualcuno continuerà a condividere per sempre con Tom la realtà del Giardino di Mezzanotte...



Il Pessimismo Pirandelliano

Commento tratto da

Le storie d'amore di Pirandello sono paradossali: storie d'amore ma senza sentimento, e il titolo della sua prima raccolta di novelle è proprio "Amori senza amore"

Pirandello riprende il tema della narrativa "rosa" ottocentesca, cioè l'amore ostacolato per disparità di stato sociale: per Pirandello, il contrasto tra le disparità economiche e i sentimenti si risolve in un annullamento del sentimento stesso.

L'amore esiste solo nei sogni e nelle illusioni e nel momento stesso in cui sembra di averlo raggiunto, scompare.

L'amore è sempre altrove, come dimostra il racconto pirandelliano "Il lume dell'altra casa", dove una moglie abbandona il marito, fugge con l'amante e poi si ritrova a spiare il marito dalla finestra: la felicità, la soddisfazione, sono sempre altrove.

Il destino tragico dei personaggi pirandelliani è la dimostrazione del carattere oppressivo dei rapporti umani e delle convenzioni; nel mondo letterario di Pirandello, tutti sono soli, non c'è forma di condivisione.

Guardata nella sua essenza, l'esistenza è solo male.

***

"Di sera, un geranio"

S'è liberato nel sonno, non sa come; forse come quando s'affonda nell'acqua, che si ha la sensazione che poi il corpo riverrà su da sé, e su invece riviene solamente la sensazione, ombra galleggiante del corpo rimasto giù.

Dormiva, e non è più nel suo corpo; non può dire che si sia svegliato; e in che ora ora sia veramente, non sa; è come sospeso a galla nell'aria della sua camera chiusa.

Alienato dai sensi, ne serba più che gli avvertimenti il ricordo, com'erano; non ancora lontani ma già staccati: là l'udito, dov'è un rumore anche minimo nella notte; qua la vista, dov'è appena un barlume; e le pareti, il soffitto (come di qua pare polveroso) e giù il pavimento col tappeto, e quell'uscio, e lo smemorato spavento di quel letto col piumino verde e le coperte giallognole, sotto le quali s'indovina un corpo che giace inerte; la testa calva, affondata sui guanciali scomposti; gli occhi chiusi e la bocca aperta tra i peli rossicci dei baffi e della barba, grossi peli, quasi metallici; un foro secco, nero; e un pelo delle sopracciglia così lungo, che se non lo tiene a posto, gli scende sull'occhio.

Lui, quello! Uno che non è più. Uno a cui quel corpo pesava già tanto. E che fatica anche il respiro! Tutta la vita, ristretta in questa camera; e sentirsi a mano a mano mancar tutto, e tenersi 

in vita fissando un oggetto, questo o quello, con la paura d'addormentarsi. Difatti poi, nel sonno...

Come gli suonano strane, in quella camera, le ultime parole della vita: "Ma lei è di parere che, nello stato in cui sono ridotto, sia da tentare un'operazione così rischiosa?"

"Al punto in cui siamo, il rischio veramente..."

"Non è il rischio. Dico se c'è qualche speranza."

"Ah, poca."

"E allora..."

La lampada rosea, sospesa in mezzo alla camera, è rimasta accesa invano.

Ma dopo tutto, ora s'è liberato, e prova per quel suo corpo là, più che antipatia, rancore.

Veramente non vide mai la ragione che gli altri dovessero riconoscere quell'immagine come la cosa più sua.

Non era vero. Non è vero.

Lui non era quel suo corpo; c'era anzi così poco; era nella vita lui, nelle cose che pensava, che s'agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza più vedere se stesso. 

Case strade cielo. 

Tutto il mondo.

Già, ma ora, senza più il corpo, è questa pena ora, è questo sgomento del suo disgregarsi e diffondersi in ogni cosa, a cui, per tenersi torna a aderire ma, aderendovi, la paura di nuovo, non d'addormentarsi, ma del suo svanire nella cosa che resta là per sé, senza più lui: oggetto: orologio sul comodino, quadretto alla parete, lampada rosea sospesa in mezzo alla camera.

Lui è ora quelle cose; non più com'erano, quando avevano ancora un senso per lui; quelle cose che per se stesse non hanno alcun senso e che ora dunque non sono più niente per lui.

E questo è morire.

Il muro della villa. Ma come, n'è già fuori? La luna vi batte sopra, e giù è il giardino.

La vasca, grezza, è attaccata al muro di cinta. Il muro è tutto vestito di verde dalle roselline rampicanti.

L'acqua, nella vasca, piomba a stille. Ora è uno sbruffo di bolle. 

Ora è un filo di vetro, limpido, esile, immobile.

Come chiara quest'acqua nel cadere! Nella vasca diventa subito verde, appena caduta. E così esile il filo, così rade a volte le stille che a guardia nella vasca il denso volume d'acqua già caduta è come un'eternità di oceano.

A galla, tante foglione bianche e verdi, appena ingiallite. E a fior d'acqua, la bocca del tubo di ferro dello scarico, che si berrebbe in silenzio il soverchio dell'acqua, se non fosse per queste foglioline che, attratte, vi fan ressa attorno. Il risucchio della bocca che s'ingorga è come un rimbrotto rauco a queste sciocche frettolose frettolose a cui par che tardi di sparire ingojate, come se non fosse bello nuotar lievi e così bianche sul cupo verde vitreo dell'acqua. 

Ma se sono cadute! Se sono così lievi! E se ci sei tu, bocca di morte, che fai la misura!

Sparire.

Sorpresa che si fa di mano in mano più grande, infinita: l'illusione dei sensi, già sparsi, che a poco a poco si svuota di cose che pareva ci fossero e che invece non c'erano; suoni, colori, non c'erano; tutto freddo, tutto muto; era niente; e la morte, questo niente della vita com'era. 

Quel verde… Ah come, all'alba, lungo una proda, volle esser erba anche lui, una volta, guardando i cespugli e respirando la fragranza di tutto quel verde così fresco e nuovo!

Groviglio di bianche radici vive abbarbicate a succhiar l'umore della terra nera.

Ah come la vita è di terra, e non vuol cielo, se non per dare respiro alla terra!

Ma ora lui è come la fragranza di un'erba che si va sciogliendo in questo respiro, vapore ancora sensibile che si dirada e svanisce, ma senza finire, senz'aver più nulla vicino; sì, forse un dolore; ma se può far tanto ancora di pensarlo, è già lontano, senza più tempo, nella tristezza infinita di una così vana eternità.

Una cosa, consistere ancora in una cosa, che sia pur quasi niente, una pietra. O anche un fiore che duri poco: ecco, questo geranio…

Oh guarda giù, nel giardino, quel geranio rosso. Come s'accende! Perché?

Di sera, qualche volta, nei giardini s'accende così, improvvisamente, qualche fiore; e nessuno sa spiegarsene la ragione.


"Figlia delle Tenebre" (Lucrezia Borgia)


Nella splendida Italia del Rinascimento gli amori, le passioni, i delitti di una donna costretta ad essere una pedina del potere. Delitto e tradimento sono sempre stati abbinati al nome dei Borgia a causa delle scandalose voci riportate dagli storici dell'epoca. L'infamia ha contaminato anche le persone che furono loro vicine: l'ammirazione di Machiavelli per Cesare Borgia resta ancora come una macchia nella sua reputazione e Giulia Farnese, moglie del papa Alessandro Borgia, fu soprannominata, dispregiativamente, "la sposa di Cristo" dai suoi contemporanei. Lucrezia, vittima volontaria della sua ambiziosa e incestuosa famiglia, è stata ricordata come una debosciata Salomè. "Figlia delle Tenebre" è la storia degli anni dell'attesa e di quelli del trionfo per i Borgia, quando nulla pareva per loro irraggiungibile e né le prediche di Savonarola, né le armi del re di Francia potevano contenerli. Ma è soprattutto la storia di Lucrezia e di Cesare, tragici eredi dell'ambizione paterna. L'Autrice ricostruisce con grande vivacità il mondo brillante e ambiguo dell'Italia del Rinascimento e riesce ad esplorare i caratteri dei personaggi al di là della leggenda... in modo particolare quello di Lucrezia, succube di una passione senza speranza, che incapace di correggere il cammino di morte intrapreso dal fratello, si adegua a giocare il ruolo che lui le ha imposto. Alla fine Lucrezia Borgia appare al lettore non più solo come l'amante diabolica avvolta in un alone fosco di leggenda, ma come una donna piena di sentimento e di contraddizioni, costretta a subire un destino che la vuole sì vittima di se stessa, ma soprattutto oggetto indifeso (1) delle continue manovre di una scellerata famiglia per accaparrarsi il potere.

(1) Nota di Lunaria: la vera Lucrezia Borgia era una donna molto stimata, dalla corte di papa Alessandro VI, per la sua grazia, eloquenza e cultura. A 17 anni parlava il latino così bene che le cronache testimoniano che "ella ringraziò in latino con tanta eleganza e gentilezza che se fosse stata un Tullio Cicerone non avrebbe potuto dire più argutamente e con maggiore grazia"


"Perché non posso amarvi tutti e due?", domandò lei, lottando per impedire al pianto di soffocarle la voce. "Perché parli come se lo odiassi? Pensavo... pensavo che sarei stata così felice quando tu e Juan sareste ritornati e adesso vuoi rovinare tutto. Sei crudele, Cesare." Lui le mise una mano sotto il mento e le alzò il viso bagnato di lacrime. "Niente rimane com'era una volta", disse. "Non è possibile senza sacrificare qualcosa o qualcuno. La scelta è tua. Se vuoi dedicarti anima e corpo a questo Sforza, ebbene sia. Ma, in tal caso, sarai sua, Lucrezia. Cesserai di essere una Borgia e diventerai la regina di una corte noiosa, di provincia, lontano da Roma. Naturalmente, se è questa la vita che desideri..." "E ti perderei?" Il cuore di Cesare sanguinò per il tremito compassionevole che lui sentì nella voce di Lucrezia, ma annuì recisamente. Lucrezia si alzò e andò alla finestra. Il sole splendeva sulle lontane colline boscose, disegnava un motivo screziato d'oro su un mare di tetti coperti di tegole, illuminava le torri e penetrava in lunghe lame scintillanti nelle strade piene d'ombra.




"Lucy e i Vampiri" di Ursel Scheffler

Lucy e sua madre Fanny hanno ricevuto una ben strana eredità: un cupo castello pieno di segreti dove, dopo la mezzanotte, succedono cose quasi incredibili.

E la più incredibile è che madre e figlia si trasformano in due simpaticissimi vampiri, come esige, del resto, la tradizione di famiglia.

Ma i misteri non finiscono qui, perché le due castellane dovranno anche scoprire che fine hanno fatto i gioielli di Lord Ness, e risolvere (con l'aiuto dei lettori) tutti gli indovinelli che proteggono il tesoro.





Le Streghe e i Fichi (Fiaba del Folklore Lombardo)


"Gh'era ona vòlta on vegg che 'l gh'aveva tri fioeu", C'era una volta un vecchio che aveva tre figli.

Erano gente povera, che faceva fatica a sbarcare il lunario mettendo insieme il pranzo con la cena.

Un giorno il vecchio chiamò il figlio maggiore.

"I fichi dell'orto sono maturi. Cogli i più belli, mettili in un cestino e portali al re. Chissà che non ti faccia un bel regalo, magari qualche moneta d'oro che metta fine alle nostre miserie."

Il ragazzo andò nell'orto, scelse i fichi più grossi e maturi, e col cestino infilato in un bastone si mise in cammino.

La strada passava accanto alla casa di quattro streghe, quattro vecchie curiose che trascorrevano le giornate alla finestra a spiare i viandanti. Non appena videro il ragazzo da lontano, gli chiesero in coro "Che cosa c'è in quel cestino?"

"Nagòtt per vialter!", "Niente per voi", disse il ragazzo.

E continuò per la sua strada.

Le streghe erano furibonde. Sbatterono le imposte e gridarono in coro: "Ti te di' nagòtt, e te gh'avaré nagòtt!" "Niente hai detto, e niente avrai!"

Per niente preoccupato dalla minaccia, il ragazzo continuò a camminare, e giunto al palazzo del re chiese di essere ricevuto per offrire un dono. Il re, incuriosito, lo ricevette subito.

"Che cosa mi porti?"

"I fichi più dolci e più grossi del regno, Maestà."

Ma quando aprì il cestino, era completamente vuoto!

Il re, credendosi gabbato, si infuriò e ordinò di dare bastonate all'impostore, che tornò a casa a mani vuote e pieno di lividi.

"Cosa ti è successo?", chiese il padre.

E lui raccontò tutto, ma non l'incontro con le streghe. 

Il padre si arrabbiò, per la figuraccia fatta col re. Poi si calmò.

Chiamò il secondogenito e gli ordinò:

"Riempi un cestino di fichi ben maturi e portali al re. E speriamo che tu sia più fortunato di tuo fratello."

Il ragazzo partì, e si trovò anche lui a passare sotto la finestra delle streghe.

"Che cosa c'è in quel cestino?"

"Nagòtt per vialter!"

Le streghe si infuriarono e risposero come avevano fatto al fratello.

Quando il ragazzo presentò il cestino al re, lo trovò vuoto.

E siccome il re si infuriò ancora di più, raddoppiò il numero di bastonate.

Il ragazzo tornò a casa e il padre chiamò il terzo figli.

"I tuoi fratelli non hanno combinato niente; tocca a te rimediare. Se per caso fallisci, non tornare più a casa."

Il ragazzo riempì il cestino con i fichi più belli e si mise in cammino.

Strada facendo si chiedeva che cosa avessero fatto di male i fratelli. Perché il re, in cambio di fichi, distribuiva bastonate?

Stava ancora riflettendo quando si trovò davanti alla casa delle streghe che come al solito stavano affacciate alla finestra.

"Che cosa c'è in quel cestino?", chiesero.

"I più bei fichi del nostro orto. Li porto al re."

"Non li faresti assaggiare anche a noi, povere vecchie?"

"Volentieri, servitevi pure!"

Le streghe si presero solo un fico per ciascuna e ringraziarono.

Il ragazzo arrivò e giunse a palazzo reale, e scoprì il cestino al cospetto del re.

Il re gradì molto e dette delle monete d'oro al ragazzo che tornò a casa sua.

Quando ripassò sotto la casa delle streghe, si sentì chiamare. "Sei stato gentile con noi, perciò vogliamo ricompensarti: ognuna di noi ti farà un regalo che potrà esserti utile un giorno se ti troverai nei guai."

La prima strega gli offrì una pagnotta che per quanto se ne mangiasse, non diminuiva di un grammo; la seconda gli offrì un pezzo di formaggio che più se ne gustava, più cresceva, la terza un fiasco di vino che non si vuotava mai e l'ultima gli regalò uno zufolo che faceva ballare chiunque, anche chi non ne avesse voglia.

Con questi doni, il giovane decise di andare in giro per il mondo, prima di tornare a casa. Camminò per montagne e pianure, per prati e boschi e infine giunse in una grande città; stava per entrare, quando le guardie gli saltarono addosso e le trascinarono in prigione: in quella città, infatti, gli stranieri erano imprigionati.

Una volta chiuso in gabbio, il giovane si trovò in compagnia di molti altri detenuti e pensò che disperarsi non sarebbe servito a niente; perciò invitò i compagni a mangiare con lui.

Quando suonò lo zufolo, tutti iniziarono a ballare, anche il carceriere.

Quando il giovane smise di suonare, tutto tornò alla normalità. Così il carceriere corse ad avvisare il re del prodigio.

Il re di quella città non era malvagio, ma aveva perso il senno quando la sua unica figlia si era ammalata di malinconia che la stava consumando a poco a poco e che nessun medico era riuscito a curare.

Tutti i medici si erano trovati concordi: se la fanciulla non riusciva a ridere, quella malinconia l'avrebbe portata alla tomba.

Quando seppe quello che era accaduto in prigione, il re pensò subito a sua figlia.

"Che il ragazzo con lo zufolo sia liberato e condotto in mia presenza!", disse il re.

Quando il ragazzo fu al cospetto del re, gli ordinò di suonare.

E quando il ragazzo iniziò a suonare, tutti ballarono e la principessa, che se ne stava sdraiata a letto a sbadigliare, vide l'intera corte preda di questa frenesia e iniziò a ridere. E più rideva, più le sue guance tornarono rosee e gli occhi brillanti.

Quando il giovane smise di suonare, il re volle dargli in sposa la figlia. Ai festeggiamenti, il ragazzo invitò il padre e i fratelli e anche le streghe che in cambio di pochi fichi gli avevano procurato la felicità.



Ultima Fermata: Transilvania! (Superbuh!)

Zach, figlio di genitori divorziati, si trova a fare il pendolare quando va dalla mamma o dal papà, e per racimolare soldi, invece di andarci in taxi (con i soldi che la madre gli consegna) prende il metrò.  Tuttavia, si perde in una galleria della metropolitana, e conosce il vampiro Valentine che lo affascina. 

Quando Zach coinvolge i suoi amici...



Piccoli Brividi: L' Anello Maledetto

Quando la professoressa di Beth trova un anello con un'inquietante gemma nera incastonata sulla montatura, iniziano a succedere incidenti a scuola. E guardando meglio la gemma, Beth si rende conto con orrore che vi è una faccia malvagia che la guarda e che vive dentro la gemma. E cosa ancora più inquietante, l'anello non riesce a sfilarsi dal dito.

Quando la professoressa impazzisce, mentre viene arrestata l'anello si sfila e viene trovato proprio da Beth. Che non resiste all'impulso di indossarlo... e così lo spirito malefico che vive nella gemma si impossessa anche di Beth spingendola a fare cose orribili...




Piccoli Brividi: Il Villaggio del Brivido


Andrew e Tyler sono due fratelli amanti dei film dell'orrore di R.B. Farraday e quando il padre li informa che il loro regista preferito ha aperto un campeggio estivo chiamato "Il Villaggio del Brivido", ispirato ai film dell'orrore, non vedono l'ora di andarci. Quello che non possono immaginare è che in quel campeggio succedono cose mostruose... 



"I Promessi Sposi": le mie pagine preferite!

"Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggiero della luna, che vi si specchiava da mezzo il cielo. S'udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglio più lontano dell'acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di que' due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti, e si rituffavano [...] Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari"

"Nella strada fuor dell'abitato, si soffermava ogni tanto; stava in orecchi, per vedere se sentiva quella benedetta voce dell'Adda; ma invano. Altre voci non sentiva, che un mugolio di cani, che veniva da qualche cascina isolata, vagando per l'aria, lamentevole insieme e minaccioso. [...] Cammina, cammina: arrivò dove la campagna coltivata moriva in una sodaglia sparsa di felci e di scope. [...] Ciò non ostante andò avanti; e siccome nella sua mente cominciavano a suscitarsi certe immagini, certe apparizioni, lasciatevi in serbo dalle novelle sentite raccontar da bambino, così, per discacciarle, o per acquietarle, recitava, camminando, dell'orazioni per i morti. [...] Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose; l'annoiava l'ombra delle cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scrosciar delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo orecchio un non so che d'odioso. [...] A un certo punto, quell'uggia, quell'orrore indefinito con cui l'animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse. [...] Arrivò in pochi momenti all'estremità del piano, sull'orlo d'una riva profonda; e guardando in giù tra le macchie che tutta la rivestivano, vide l'acqua luccicare e correre."

"Il sole non era ancor tutto apparso all'orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov'era aspettato. è Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell'Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendii, e nella valle. Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. [...] Lo spettacolo de' lavoratori sparsi ne' campi, aveva qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme; altri spingevan la vanga come a stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla."





Su Manzoni vedi anche

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"Il Diavolo in Corpo" di Radiguet

 

Raymond Radiguet scrisse questo breve romanzo, in parte autobiografico, a soli 18 anni. Pubblicato due anni dopo, riscosse un successo straordinario, soprattutto in virtù delle descrizioni scabrose in esso contenute.

La storia d'amore tra un adolescente e una giovane donna sposata che si incontrano segretamente, grazie all'assenza del marito partito per il fronte, diviene il luogo in cui confluiscono le inquietudini, lo smarrimento e la rivolta morale dei giovani cresciuti durante la Prima Guerra Mondiale.

Da Cocteau fu definito un classico della letteratura.

"Ripetimi che mi lascerai", le dicevo, ansimando e stringendola tra le braccia fino a spezzarla. Sottomessa, come non potrebbe esserlo nemmeno una schiava, ma solo una medium, lei ripeteva, per farmi piacere, frasi di cui non capiva nulla. Quella notte degli alberghi fu decisiva, ma di questo, dopo tante altre stravaganze, non mi resi conto. Tuttavia, se io credevo che una vita intera può trascinarsi in quel modo, Marthe, in un cantuccio del vagone di ritorno, sfiancata, costernata, battendo i denti, capì tutto. Forse si rese anche conto che alla fine di quella corsa durata un anno, in una vettura guidata follemente, non poteva esserci altra via d'uscita che la morte."