Tredicino (fiaba lombarda)

Tratta da

"Gh'era ona vòlta ona pòvera dòna" (c'era una volta una povera donna). Suo marito era morto e l'aveva lasciata con tredici figli; la donna lavorava da mattina a sera ma non riusciva a sfamare tutti i suoi figli e un giorno li chiamò e disse: "figli, io ho fatto quello che potevo, ma ora sono vecchia e non posso mantenervi tutti. E poi, a questa età, dovreste essere voi a mantenere me." "Che cosa dobbiamo fare?", chiesero i bambini. "Ecco, questa è una bisaccia per ciascuno. Dentro c'è un po' di pane, tutto quello che avevo. Partite, e andate a cercar fortuna." "Andiamo, mamma. E torneremo ricchi." Tutti e tredici, si gettarono la bisaccia in spalla, e in fila indiana si misero in viaggio.

Cammina, cammina, arrivarono al palazzo del re. Era buio, avevano fame e sonno. Bussarono e chiesero qualcosa di mangiare, ma il re, nel vedere quella fila di bambini, si preoccupò. "Non posso sfamarvi tutti per niente. Se volete mangiate, dovete meritarvelo." "Cosa dobbiamo fare?", chiesero i bambini. "Nel bosco vicino c'è un lupo che fa strage di bestie e di cristiani. Io ho bisogno di gente senza paura. Se qualcuno di voi ha coraggio, domani ruberà la coperta del lupo e me la porterà. In cambio darò da mangiare a tutti." 

I ragazzi si stavano dando per vinti, ma il più giovane, il più piccolo e magro, ma furbo come una volpe, Tredicino, si offrì come volontario. "Maestà, io ho coraggio. Andrò dal lupo e gli ruberò la coperta. Però voglio qualcosa. Uno spillo. Lungo un braccio."

Il re glielo concesse. E Tredicino, con uno spillo alto quasi quanto lui, si inoltrò nel bosco e giunse alla capanna del lupo, si arrampicò sul tetto e piano piano si calò giù per la cappa del camino, fin nella stanza da letto.

Il lupo tornò a casa di sera e andò a dormire.

Tredicino uscì dalla cappa del camino e cominciò a punzecchiargli le zampe, la schiena e la coda. Pur sfuggire a quelle punture, il lupo si dimenava e rigirava nel letto e la coperta scivolò e cadde per terra; Tredicino, svelto come un lampo, l'afferrò e scappò via per la cappa del camino. Il lupo possedeva un pappagallo parlante, che sapeva rispondere a qualsiasi domanda e contava le ore. Quando il lupo si svegliò, chiese al pappagallo le ore. "Che ore sono?" "Sono le cinque, e Tredicino te l'ha fatta." "Tredicino? E chi sarebbe?" "Tredicino è un ragazzino piccolo, ma furbissimo. E stanotte ti ha rubato la coperta." "Ah, canaglia! Se lo prendo, me lo mangio!"

Intanto Tredicino era tornato al palazzo del re con la coperta.

"Eccomi, Maestà. Ho eseguito gli ordini. Ed ora voi date da mangiare a me e ai miei fratelli."

Il re era molto soddisfatto. Quel soldo di cacio, così furbo, poteva essergli molto utile.

"Avrai da mangiare, certo. Ma, se ti piace restare qui alla reggia, devi compiere un'altra impresa. Una coperta non è gran che, in cambio di buon cibo per tredici bocche."

"Che cosa devo fare?"

"Il lupo possiede un'altra coperta, molto più bella, con tanti campanelli. La voglio."

"L'avrete, Maestà. Datemi un po' di bambagia e del refe, e mi metterò subito all'opera."

"Bambagia e refe? A che cosa ti servono?"

"è un mio segreto."

I servi portarono bambagia e refe, e Tredicino riprese la via del bosco. Salì sul tetto, scivolò giù per la cappa del camino, e si nascose sotto il letto. Al tramonto il lupo tornò, stanco morto, e poco dopo dormiva come un sasso. Allora Tredicino uscì dal suo nascondiglio, legò col refe e la bambagia tutti i campanelli in modo che non tintinnassero e pian piano, arrotolata la coperta, scappò via per la stessa strada da cui era venuto.

La mattina, all'alba, il lupo si svegliò, e chiese al pappagallo:

"Che ore sono?"

"Sono le quattro e Tredicino te l'ha fatta ancora una volta."

"Che cosa?"

"Ti ha rubato la coperta con i campanelli."

Il lupo si arrabbiò.

"Furfante! La mia coperta più bella... giuro che se lo acchiappo me lo mangio in un boccone!"

Tredicino, intanto, era tornato al palazzo reale.

"Maestà, ecco la coperta con i campanelli. Siete soddisfatto, adesso?"

"Sarò completamente soddisfatto, quando mi avrai portato un'ultima cosa che desidero molto."

"Che cosa desiderate, Maestà?"

"Il pappagallo. Lui conosce sempre l'ora giusta, ed invece gli orologi di palazzo no: chi va avanti, chi va indietro, chi si ferma. Sì, voglio il pappagallo del lupo."

Questa volta Tredicino era nei guai.

"E come faccio? I campanelli potevo legarli; ma non posso legare la lingua del pappagallo... il lupo mi scoprirà e addio Tredicino. Volete proprio la mia morte, Maestà."

"Sei destinato a morire ugualmente, Tredicino. O obbedisci ai miei ordini o finisci impiccato."

"Allora non ho scelta."

"Direi proprio di no. Ma siccome sono generoso, per riuscire nella tua impresa, chiedi pure e sarai accontentato."

"Grazie. Datemi un canestro di dolci, il pappagallo è ghiottissimo, e forse riuscirò a chiudergli la bocca con quelli."

Le cose andarono proprio così.

Dopo che il pappagallo si rimpinzò di dolci, Tredicino lo afferrò, lo chiuse in un sacco e lo portò a corte.

Povero Tredicino! Credeva di essersi assicurato vitto e alloggio per sempre e invece il re non era ancora soddisfatto.

"Tredicino, in cambio voglio..."

"Che cosa?"

"Il lupo in persona."

"Maestà, abbiate pietà di me!"

"O il lupo o l'impiccagione, Tredicino."

Questa volta Tredicino era disperato. Come esaudire la richiesta?

Sarebbe morto nell'impresa.

Per tutta la notte, Tredicino pianse e si disperò.

Ma fece un sogno, che gli diede l'idea per catturare il lupo.

Si fece dare un carretto, delle assi e una manciata di chiodi, poi si avviò verso la casa del lupo. 

Quando fu arrivato, si mise a gridare: "Tredicino è morto!"

Il lupo si svegliò di soprassalto.  

"Tredicino è morto davvero? Questa sì che è una bella notizia! 

E quando ci saranno i funerali?"

"Appena avrò fatto la cassa: il materiale ce l'ho, ma mi manca un aiutante e il lavoro è lungo."

"Un aiutante? Vengo io!", gridò il lupo.

Tredicino cominciò a segare le assi, piantar chiodi e il lupo gli porgeva sega e martello, raccoglieva trucioli da terra.

"Sbrigati, prima finisci, meglio è!"

Dopo un poco, la cassa era pronta. Tredicino disse al lupo: "Non so se le misure sono giuste. Se l'avessi fatta troppo lunga o stretta? Per favore, vuoi stenderti un momento nella cassa? Tredicino è appena più piccolo di te. Così controllo se tutto va bene."

Il lupo, senza sospettare niente, si stese nella cassa. Tredicino, veloce come il lampo, chiuse il coperchio e lo inchiodò con quattro martellate ben assestate.

Il lupo cominciò a lamentarsi e Tredicino gli disse: "Vuoi sapere una cosa? Sono Tredicino in carne ed ossa e ti ho fatto prigioniero!"

Poi caricò la cassa sul carretto e la portò al re.

Il re fece riempire un sacco con monete d'oro e d'argento e lo consegnò a Tredicino.

"Ora sei ricco. Se vuoi restare a palazzo, resta pure. I coraggiosi come te sono sempre graditi."

Ma Tredicino non ne volle sapere. In quella reggia e con quel re non ci voleva restare neanche un'ora in più. Insieme ai suoi fratelli tornò a casa.

La vecchia madre li aspettava con ansi e non si può immaginare la sua gioia nel vederli tornare sani e salvi e pure ricchi.

E da quel giorno, a casa di Tredicino, non mancarono né pane né polenta.


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