La Leggenda della Stella Alpina
I montanari di Cervino raccontano questa leggenda riguardante la Stella Alpina.
Una giovane della valle aveva sposato un montanaro che, come tutti quelli del paese, conosceva e amava con tutta l'anima la montagna. Saliva spesso verso i ghiacciai, per cogliere profumatissimi genepì, la pianta fortemente aromatica che serve per fabbricare il famoso liquore, e vi andava anche per dare la caccia alle marmotte. I due sposi vivevano modestamente dei loro guadagni e poiché si volevano bene, erano felici come due principi.
Un giorno, il giovane sposo partì, come aveva fatto tante volte, ma non fece più ritorno.
Invano la moglie lo attese per tre giorni: nessuno lo aveva visto sulle montagne e nessuno sapeva dare notizie.
Allora la povera sposa prese sulle spalle il sacco anche lei e salì verso il ghiacciaio per vedere di rintracciarlo. Scorse tutte le cime, esaminò le valli, cercò in tutti i crepacci e finalmente lo rinvenne. Ma lo trovò morto, tra due lastroni di ghiaccio.
Affranta dal dolore, la povera sposa sedette sulla sporgenza della roccia e non pensò più a ritornare verso casa. Si mise a piangere e a lamentarsi tutta notte. All'alba, quando si imbiancò il cielo, i suoi capelli e le sue ciglia erano coperte di un velo di brina, come una peluria d'argento.
"Signore", disse la sposa rivolgendo gli occhi al cielo, "io non ho il coraggio di staccarmi da mio marito, lasciatemi qui sulla balza di questa rupe perché io possa vederlo sempre nel suo letto eterno di ghiaccio."
Iddio ebbe pietà della sposa innamorata e la convertì nel fiore più bello delle Alpi: la Stella Alpina.
"Negotium perambulans" di Benson (Horror)
"(...) E sul quarto pannello, una scena che mi turbava più di tutte. Tale pannello (mio zio scese dal suo pulpito per ricostruirne le fattezze consumate nel tempo) rappresentava il portico coperto del cimitero di Polearn, e di fatto la somiglianza, quando indicata, risultava evidente. All'entrata si trovava la figura del prete in tonaca che teneva sollevata una croce, con la quale affrontava una terribile creatura, simile ad un enorme lumacone, che si innalzava di fronte a lui. Esso, secondo l'interpretazione di mio zio, era una presenza maligna, come quello di cui aveva parlato a noi ragazzi, dal potere spaventoso e pressoché infinito, che poteva essere combattuta solo con saldezza di fede e purezza di cuore. Sotto si leggeva la scritta "Negotium perambulans in tenebris" dal 92° salmo. C'era anche la traduzione "la pestilenza che cammina nel buio" che rende appena il testo latino. Era più mortale all'anima di qualsiasi pestilenza che possa uccidere il corpo: era la Cosa, la Creatura, l'Essere che si agitava nell'Oscurità del cosmo, un ministro della collera di Dio che punisce gli ingiusti..."
"Mi voltai e vidi quello che lui vedeva. L'Essere era entrato, e ora strisciava veloce sul pavimento verso di lui, come una specie di enorme bruco. Emetteva una debole fosforescenza e se anche il crepuscolo di fuori aveva lasciato spazio alle tenebre della notte, io potevo distinguere chiaramente la spaventosa luce della sua presenza. Da esso veniva anche un odore di cancrena, di putrefazione, come da melma a lungo rimasta sott'acqua. Sembrava privo di testa, ma sul davanti aveva un orifizio di pelle raggrinzita che si apriva e si chiudeva, perdendo bava alle estremità. Non aveva peli, esibiva conformazione e struttura di un lumacone. Mentre avanzava, la parte anteriore del suo corpo si sollevò dal suolo come un serpente che sta per colpire, e si appicciccò a lui... (...) Trascorsero pochi secondi, poi tutto fu compiuto. Le urla di quell'uomo sfortunato si spensero in gemiti e mormorii quando l'Essere cadde sopra di lui: fece un paio di respiri affannosi e poi più nulla. Per qualche interminabile momento si udirono gorgoglianti rumori di risucchio, quindi l'Essere strisciò fuori proprio come era entrato. Accesi il lume che lui aveva tentato di far funzionare; e allora lo vidi là, disteso sul pavimento, ridotto ad una scorza di pelle ammonticchiata confusamente sulle sue ossa sporgenti."
Alla ricerca della Cappella della Peste! (2)
Sono andata così in fissa con quella zona (https://intervistemetal.blogspot.com/2023/10/alla-ricerca-della-cappella-della-peste.html), che ho continuato a ravanare sui libri alla ricerca di indizi (😂) La cosa paradossale è che a nessun cattolico fregherà niente, mentre io invece ci ho perso mesi di ricerca e sono pure andata avanti e indietro da Legnano a San Giorgio a piedi (!) sui tacchi (!!) e al freddo polare di gennaio (!!!) 😖 Al solito, nessun cattolico del "difendiamo la nostre radici cristiane" (😂) ha voglia di accompagnarmi in macchina (😂)
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Sono andata nella biblioteca di San Giorgio su Legnano (peraltro, andandoci a piedi, al freddo di gennaio, andata e ritorno 😖) per vedere se trovavo informazioni storiche sulla cappella demolita, anticamente nota come "Madonna di Baldœr".
L'anno scorso ero riuscita a localizzare la zona del Campaccio, andandoci di persona e riuscendo anche a trovare il luogo dove sorgeva la cappella; ebbene, sui pochi libri che riportano una storia di San Giorgio su Legnano, sono riuscita a trovarne due che menzionano la cappellina, risalendo anche al significato del nome in dialetto.
Tuttavia, io ho un'altra ipotesi sull'origine del nome.
Info tratte da
Nel 1967 per presentare la gara di corsa campestre che si svolge a San Giorgio su Legnano al Campaccio, compare una pubblicazione con una mappa dove è visibile il tracciato della gara in un punto del quale figura l'indicazione "Madonna delle Baldorie" (Madonna di Baldeur o Baldœr) seguita dalla via "Ragazzi del '99".
Si può pensare che in quel punto o intorno ci fosse stata una baldoria o meglio, come testimoniava un gestore di un locale (rimasto anonimo), visto che quella zona era incolta, con prati e siepi, veniva usata come nascondiglio per incontri amorosi.
Nota di Lunaria: la mia ipotesi è un'altra, in realtà. Trattandosi di un luogo dove seppellivano i morti di peste, il riferimento alla "baldoria" va vista come una sorta di Danza Macabra (le raffigurazioni delle Danze Macabre rappresentano scheletri in festa insieme ai vivi)
oppure in ricordo di qualche baldoria organizzata o dagli ammalati di peste o dai guariti, similmente a quanto avveniva per i malati di lebbra: nei lebbrosari e anche al di fuori dei lebbrosari, non era infrequente che queste persone già condannate e morte per la società che li aveva esclusi si dedicassero a gozzoviglie, persino assaltando le città. Per ulteriori approfondimenti vedi questo libro.
Perciò, io non nego che negli anni '60 e anche un po' prima, in quel posto la gente ci andasse per fare sesso (era così anche nelle vicinanze del lazzaretto di Gorla Minore, prima degli anni '80 decisamente isolato in mezzo alle sterpaglie, e lo so perché questa testimonianza l'ha raccontata mia nonna, era un posto frequentato da amanti e innamorati per fare sesso),
ma quello che ipotizzo è che il nome "delle baldorie" abbia origini più antiche e forse persino macabre. Dopotutto, era una zona che veniva usata come una fossa comune... la cappellina NON è stata eretta nel '900, ma proprio al tempo della peste.
Testimonianza di Ersilia Rossi (nata nel 1930), alle pagine 435 e 436 tratta da
[...] Nella corte [in via Madonnina]
abitavano anche il Lenna, il cocchiere del podestà e il Colombo Paolo, per tutti Paulin Pinoi o Pinain (diminutivo di Giuseppe), un capofamiglia gioviale e spiritoso, proprietario di due buoi e di un cavallo con il quale, dopo averlo attaccato al carretto, si dirigeva quotidianamente in campagna, nella zona dove sorgeva una cappellina detta della Madonna di Baldœr, eretta al tempo della peste e lì con un contratto d'affitto, si dedicava a coltivare un terreno.
N.B: la storica Madonnina di via Mameli (che aveva subito un atto vandalico), detta "Madona dul Murell" (realizzata da Morelli Felice) è tornata al suo posto proprio pochi giorni fa! Quando la vidi la prima volta, la nicchia era vuota
Aggiungo anche questa curiosità sui cippi funebri, che probabilmente non troverete scritta da nessuna parte sul web
del resto solo io posso interessarmi ad una cosa del genere 😁
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ALTRO APPROFONDIMENTO tratto da
A ricordo della Cappelletta delle "Baldorie", poesia di Domenico Bianchi (pubblicata sul Periodico di S.Giorgio su Legnano, numero 1, marzo 2008)
Era chiamata "La Madonna di Baldoeuri"
e la si incontrava andando nei campi a lavorare,
distanti dal paese, presso la "Baggina".
Ricordava i poveri morti di tanti anni or sono
lì sepolti dal milleseicento per la peste
e niente altro invero si sa,
ma questo poco sapere è sufficiente.
Io ben la ricordo perché da bambino piccolo
andavo spesso col nonno materno ed il cagnolino
alla cascina, già di nostra proprietà,
nelle ore fresche del mattino.
Tutti si fermavano a riposarsi all'ombra
e a raccogliere mughetti recitando
un Requiem o un'Ave Maria.
Era proprio bello; vuoi scommetterci?
Ora non c'è più, è stata abbattuta
dalla civiltà che avanza senza alcuna ragione
non importandogli chi là si recava
per recitare un rosario con devozione.
Io sono quasi sicuro che la rifaranno
per accontentare la tanta gente ch'è ancora pia
e con questa certezza termino e... così sia!
Il testo in dialetto
"Madòna di Baldoeuri", l'era ciamà
e la s'incontrava nell'andà in la vigna
a laorà la tèra insème ai nòster pà,
distant dal paes, tacà a la "Bagina".
La recordava i mòrt de tant'anni fa
sepelì sòta lì dal milesescent,
per la pèst, e nient'alter inver se sà;
ma sto pòc savè l'è pù che suficient!
Mi la recòrdi perché da piscinin
andavi col me nòno in la cascina,
già de proprietà, cont'el me cagnolin
a fa du pàss al fresch a la matina!
Tucc se fermaven per reposàss on po'
a l'ombria e a catà di bèi mughètt
disend on Requiem o un'Ave Maria!
L'era propri gran bel, tè voeuret scomèt?
Mò la ghè pù! la tra giò la civiltà
che l'avanza incoeu senza guardà reson
e pòc ghe càla de chi ch'andava là
a recita on Rosàri con devozion!
Mi som asquas sicur che la rifaràn
per contentà la gent che l'é anmò pia
e con sta certezza sàri e così sia!