Eugenio Montale

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"L'incomunicabilità", concetto che divenne celebre nella letteratura e persino nel cinema del Novecento è stato inventato da Eugenio Montale: nella sua poesia "Non chiederci la parola" scrisse che per penetrare il mistero della vita poteva al massimo dire qualche sillaba "storta e secca", dire "solo ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".

Eugenio Montale non è un poeta facile che si è abbandonato al flusso dei sentimenti.

Al contrario, riteneva che la poesia fosse possibile solo come "il germoglio di un fatto di cultura". Per cultura Montale non intendeva una serie di nozioni: nei suoi versi non troviamo richiami a personaggi ed eventi del passato.

Il poeta è un uomo "che sa", un uomo che fa passare le proprie emozioni attraverso il filtro di una sensibilità affinata da studi profondi e dalla meditazione.

Questo spiega perché Montale in un quarantennio abbia fatto uscire solo tre volumi: "Ossi di seppia" (1925), "Le occasioni" (1939),  "La bufera e altro" (1957).

Le poesie di Montale parlano di condizione umana in sé considerata, non avvenimenti storici; l'essenziale, per Montale, è il dramma continuo, fatale, dell'esistenza, cioè il male di vivere.

Spesso il male di vivere ho incontrato\era il rivo strozzato che gorgoglia,\era l'incartocciarsi della foglia riarsa,\era il cavallo stramazzato.\Bene non seppi, fuori del prodigio\che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza\del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Montale identifica il male nel rivo strozzato, nella foglia riarsa, nel cavallo stramazzato cioè in tre immagini che colgono la vita nel momento culminante di un dramma. Di fronte a queste immagini non c'è che un solo bene: la divina Indifferenza, che si manifesta nella statua addormentata, nella nuvola ferma in cielo, nel falco il cui occhio osserva con supremo distacco tutto ciò che accade sulla Terra. Ma il cuore dell'uomo non può avere la felice indifferenza simboleggiata dal falco. L'uomo è fatto di passioni che il tempo distrugge: ecco il tema doloroso della "Casa dei doganieri"

Tu non ricordi la casa dei doganieri\sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:\desolata t'attende dalla sera\in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri\e vi sostò irrequieto.\Libeccio sferza da anni le vecchie mura\e il suono del tuo riso non è più lieto:\la bussola va impazzita all'avventura\e il calcolo dei dadi più non torna.\Tu non ricordi; altro tempo frastorna\la tua memoria; un filo s'addipana.\Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana\la casa e in cima al tetto la banderuola\affumicata gira senza pietà.\Ne tengo un capo; ma tu resti sola\né qui respiri nell'oscurità.\Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende\rara la luce della petroliera!\Il varco è qui? (Ripullula il frangente\ancora sulla balza che scoscende...)\Tu non ricordi la casa di questa\mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

Un uomo torna nella casa dove un giorno le mura corrose dal libeccio hanno "ascoltato" il riso di una donna e cerca di ricreare la felice atmosfera di un tempo. Ma la creatura che ama è lontana e non si lascia afferrare dal filo della memoria. Per ritrovare la felicità perduta bisogna essere in due, altrimenti "il calcolo dei dadi più non torna" ed è inutile cercare un varco materiale per raggiungere così che appartiene al cuore. Chiusa ogni possibilità di incontro rimane la condanna alla solitudine. 

è l'amara accettazione della realtà, quel non sapere "chi va e chi resta", come se "la casa dei doganieri" cioè la vita, fosse un luogo dove l'uomo e la donna sono destinati a "trovarsi" solo per brevi istanti e poi, superata l'occasione contingente, a perdersi per sempre...

"Non saprei spiegare come la poesia nasce in me: so solamente che ogni mia poesia è preceduta da una lunga e oscura gestazione, nella quale però non è contenuto nulla di prevedibile: né l'argomento né il titolo né l'ampiezza dello sviluppo. In certi casi ho l'impressione che due o tre poesie diverse, precipitando, si siano fuse insieme. Finito il periodo dell'incubazione scrivo con molta rapidità e con pochi ritocchi."

Così Montale parlava di se stesso, e il segreto della sua poesia consiste proprio nella sua lunga e oscura gestazione. Dietro ogni parola si avverte che il poeta ricerca una verità che superi le occasioni contingenti della vita.

In definitiva la poesia di Montale è la sofferta biografia di un uomo che ha sempre distinto l'eterno dal transitorio, e quindi appartiene alla cronaca dei giorni che passano e precipitano nella "fossa senza echi del tempo". Montale è un grande poeta perché ha trovato una forma tutta sua per esprimere il dramma eterno dell'esistenza.

Questa forma è data da un modo particolare di trattare il verso e dall'uso di talune parole che a una prima lettura stridono, quasi che il poeta le avesse messe lì per rompere la dolce melodia del discorso poetico.  La musica della poesia di Montale ci fa pensare a volte al mare che si frange sugli scogli dando vita a un canto insieme continuo e rotto da mille echi diversi.

Altre poesie:

"I limoni"

[...] Meglio se le gazzarre degli uccelli\si spengono inghiottite dall'azzurro:\più chiaro si ascolta il susurro\dei rami amici nell'aria che quasi non si muove\e i sensi di quest'odore\che non sa staccarsi da terra\e piove in petto una dolcezza inquieta.\Qui delle divertite passioni\per miracolo tace la guerra,\qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza\ed è l'odore dei limoni. [...] Lo sguardo fruga d'intorno,\la mente indaga accorda disunisce\nel profumo che dilaga\quando il giorno più languisce.\Sono i silenzi in cui si vede\in ogni ombra umana che si allontana\qualche disturbata Divinità.\[...] La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta\il tedio dell'inverno sulle case,\la luce si fa avara - amara l'anima.

"Falsetto"

Esterina, i vent'anni ti minacciano,\grigiorosea nube\che a poco a poco in sé ti chiude.\[...] Salgono i venti autunni,\t'avviluppano andate primavere;\ecco per te rintocca\un presagio nell'elisie sfere. [...]

"Meriggiare pallido e assorto"

Meriggiare pallido e assorto\presso un rovente muro d'orto,\ascoltare tra i pruni e gli sterpi\schiocchi di merli, frusci di serpi.\Nelle crepe del suolo o su la veccia\spiar le file di rosse formiche\ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano\a sommo di minuscole biche.\Osservare tra frondi il palpitare\lontano di scaglie di mare\mentre si levano tremuli scricchi\di cicale dai calvi picchi.\E andando nel sole che abbaglia\sentire con triste meraviglia\com'è tutta la vita e il suo travaglio\in questo seguitare una muraglia\che in cima cocci aguzzi di bottiglia.

"Dora Markus"

Fu dove il ponte di legno\mette a Porto Corsini sul mare alto\e rari uomini, quasi immoti, affondano\o salpano le reti. Con un segno\della mano additavi all'altra sponda\invisibile la tua patria vera.\Poi seguimmo il canale fino alla darsena\della città, lucida di fuliggine,\nella bassura dove s'affondava\una primavera inerte, senza memoria.\(...)\Ravenna è lontana, distilla\veleno una fede feroce.\Che vuole da te? Non si cede\voce, leggenda o destino...\Ma è tardi, sempre più tardi.

La speranza di pure rivederti\m'abbandonava;\e mi chiesi se questo che mi chiude\ogni senso di te,\schermo d'immagini,\ha i segni della morte o dal passato\è in esso, ma distorto e fatto labile,\un tuo barbaglio;\(a Modena, tra i portici,\un servo gallonato trascinava\due sciacalli al guinzaglio)

"Non recidere"

Non recidere, forbice, quel volto,\solo nella memoria che si sfolla,\non far del grande suo viso in ascolto\la mia nebbia di sempre.\Un freddo cala... Duro il colpo svetta.\E l'acacia ferita da sé scrolla\il guscio di cicala\nella prima belletta di Novembre.

"Notizie dall'Amiata"

[...] Le stelle hanno trapunti troppo sottili,\l'occhio del campanile è fermo sulle due ore,\i rampicanti anch'essi sono un'ascesa\di tenebre ed il loro profumo duole amaro\(...) Il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento\il vento che tarda, la morte, la morte che vive (...) 

"Voce giunta con le folaghe"

Poiché la via percorsa, se mi volgo, è più lunga\del sentiero da capre che mi porta\dove ci scioglieremo come cera,\ed i giunchi fioriti non leniscono il cuore\ma le vermene, il sangue dei cimiteri,\eccoti fuor dal buio\(...)\L'ombra che mi accompagna\alla tua tomba, vigile,\e posa sopra un'erma ed ha uno scarto\altero della fronte che le schiara\gli occhi ardenti\(...)\L'ombra non ha più peso della tua\da tanto seppellita, i primi raggi\del giorno la trafiggono, farfalle\vivaci l'attraversano, la sfiora\la sensitiva e non si rattrappisce.\(...)

"Piccolo testamento"

(...) Quando spenta ogni lampada\la sardana si farà infernale\e un ombroso Lucifero scenderà su una prora\del Tamigi, del Hudson, della Senna\scuotendo l'ali di bitume semi-\mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora. (...)

A.C

Tentammo un giorno di trovare un modus\moriendi che non fosse il suicidio\né la sopravvivenza. Altri ne prese\per noi l'iniziativa; e ora è tardi\per rituffarci dallo scoglio.\[...]

"I miraggi"

Non sempre o quasi mai la nostra identità\personale coincide col tempo misurabile \dagli strumenti che abbiamo\[...]


Vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2022/05/lermetismo.html


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