Tacito e la Prevenzione
Smith, uno strano ladro nella strana Londra
Si chiama semplicemente Smith, ha 12 anni ed è il borsaiolo più abile di Londra: rapide e leggere, le sue dita vuotano le tasche dei ricchi con la rapidità del lampo... finché, un giorno, Smith si trova tra le mani un misterioso documento, e da quell'istante non ha più pace. Inseguito per le cantine e i vicoli della vecchia Londra da feroci avversari, dopo mille avventure riuscirà finalmente a trovare il bandolo dell'intricata matassa, con l'aiuto di un giudice cieco e di un bandito gentiluomo.
L'Alfa e l'Omega nel Simbolismo Cristiano
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L'Alfa e l'Omega sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco e precedono e chiudono tutte le altre lettere; sono il simbolo della totalità e quindi, per i cristiani, di Cristo.
"Io sono il primo e l'ultimo; fuori di me non vi sono Dei" (Isaia 44,6)
"Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!" (Apocalisse 1,8)
Cristo, per i cristiani, è il principio e la fine di ogni cosa. (1)
Nel Medioevo l'Alfa e l'Omega erano poste attorno al capo del Cristo in qualità di "Giudice".
Le lettere appaiono anche sulle tombe cristiane per indicare che la persona ha ravvisato in Dio il suo principio e il suo fine ultimo.
(1) Nota di Lunaria: che Cristo, maschio, sia il principio e la fine (e il fine) di ogni cosa è problematico dal punto di vista femminile, come faceva notare Mary Daly:
"Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni. Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile. Venendo meno il consenso delle donne alla supremazia maschile, questi tradizionali presupposti cominciano a traballare.
(Nota di Lunaria: si vedano Sprenger e Kramer nel "Malleus Maleficarum": "E sia benedetto l'Altissimo che finora ha preservato il sesso maschile da un così grande flagello [la stregoneria]. Egli ha infatti voluto nascere e soffrire per noi in questo sesso, e perciò lo ha privilegiato")
"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."
"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina."
Lottano con voi
Cristiane cattoliche coraggiose che resistono ad oltranza contro il rettile malefico.
E quando dico che resistono ad oltranza lo dico a ragion veduta perché queste signore hanno iniziato a dissentire fin dal principio, esattamente come la sottoscritta (che è malconcia, ma comunque va avanti, armata di libri di Cioran e Szasz)
Poco ma sicuro: le martiri famose dei primi secoli del cristianesimo, che piuttosto che prostrarsi, come delle zerbine obbedienti, davanti all'imperatore, si facevano torturare e mettere a morte, da lassù vi stanno proteggendo e lottano con voi.
Sant'Agata, venne mutilata al seno |
Santa Filomena, annegata e decapitata |
Santa Liberata, crocifissa |
Santa Lucia, le vennero estirpati gli occhi |
La cosa curiosa è che il coraggio di queste donne di fronte alle torture e alla morte sconvolgeva e stupiva i loro stessi contemporanei (pagani o cristiani che fossero), tanto che le definivano "donne virili", ovverossia donne che "non erano più deboli donne" ma diventavano virili ("vir", uomo in latino) e quindi coraggiose come gli uomini.
Comunque, anche le non cristiane calpesteranno, metaforicamente parlando, quel rettile.
L'Amore e il Carpe Diem in Catullo, Tibullo, Properzio
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La Grecia sottomessa sottomise il vincitore. Gli stessi vincitori romani si erano subito resi conto che l'Ellade, vinta con la forza delle armi, si vendicava imponendo a Roma la sua cultura, il suo gusto raffinato, l'eccellenza della sua filosofia, arte e poesia. (https://intervistemetal.blogspot.com/2022/06/breve-introduzione-alla-lirica-greca.html) Persino Catone, il più intransigente difensore della romanità, prese a studiare il greco a 80 anni suonati. La "grecizzazione" di Roma segna addirittura la nascita della poesia lirica.
Attorno ai primi decenni del I secolo a.c si formò una schiera di poeti "nuovi": essi concentrarono la loro attenzione sulla breve composizione, sull'effusione diretta di sentimenti e passioni, sul brano lirico quale si era formato alla scuola dei lirici greci.
Si ripete che un tratto caratteristico della mentalità latina è quella di essere pratica, realistica, concreta; non per nulla i Latini hanno avuto il primato di quel genere letterario acuto e pungente che è la satira. Anche nella lirica si rivela tale caratteristica, senza rifuggire né dall'espressione da taverna né dal gusto del mordente.
Per esempio Catullo fulmina con una secca battuta un avversario di nome Vizzio, famoso per il suo alito:
"Se tutti vuoi del tutto rovinarci, apri la bocca, Vizzio, farai del tutto quel che desideri..."
Leggiamo questo brano lirico di Catullo (87-55 a.c), in cui l'ironia che incalza rapidissima, si mescola con un senso di orgoglio per la superiore bellezza della sua Lesbia (la sua donna e ispiratrice) quanto con un sentimento di superiorità spirituale nei confronti dei contemporanei:
"Salve ragazza! Naso non hai piccolo
ed il piede non bello, occhi non neri
dita non lunghe, bocca non stretta,
parola non precisa né elegante...
E dicono a Verona che sei bella?
E paragonano te alla mia Lesbia?
O secolo ignorante e grossolano!"
"Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
ed ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno, (1)
una notte infinita dormiamo. (2)"
1) Quando muore la nostra vita
2) La nostra morte
"Mi prometti, mia vita, che questo
nostro amore
sarà eterno e felice. O grandi Dei,
fate che sia vero ciò che promette
e che lo dica dal profondo del cuore;
potremo così mantenere per tutta la vita
questo sacro giuramento d'amore senza fine"
Nei Latini l'autore è sempre in primo piano e la sua passione costituisce come il filtro, la lente attraverso cui guardare tutta la realtà. Il tema fondamentale è quello dell'amore, troppo fugacemente corrisposto e troppo frequentemente deluso nelle sue aspirazioni di eternità.
Leggiamo Tibullo (54-19 a.c)
"Frattanto amiamoci, mentre
permette il fato: la Morte
verrà presto col capo
ricoperto di tenebre.
Sottentrerà la vecchiaia
presto, e l'amore col capo
bianco e il dire parole
dolci non starà bene..."
O quest'altra dolente effusione dell'amore senza speranza dovuta a Properzio (46-15 a.c):
"Poiché una femmina sola mi ha predato
ogni mio sentimento, io ne morirò.
Tutti i dolori umani hanno la loro medicina:
ma l'amore non vuol medico"
La sofferenza di scoprirsi mortale vela di amarezza la gioia dell'amore che ha sempre l'illusione di credersi eterno. Da qui l'invito così pressante ad amarsi ora, in questo momento che già sfugge e che non ritornerà mai più. è un fuggire nell'illusione dell'attimo presente, per non voler assistere all'avvento della vecchiaia e poi della morte. Tutto ciò è il celebre "carpe diem" dei Latini, l'esortazione ad afferrare l'attimo fuggente. Il poeta cerca rifugio nell'illusione di poter fermare il tempo nell'ebbrezza del presente.
Ma in Tibullo compare anche il riferimento alla campagna, col biondo del grano e il rosso delle viti:
"Starò in campagna, e il raccolto
lo guarderà la mia Delia,
mentre al sole cocente
batton sull'aia il grano:
o veglierà per me sulle
uve che colmano i tini,
e sui limpidi mosti,
che il piede agile piagia."
Anche Properzio desidera amare la donna amata nella Natura incontaminata, in una profonda comunione con lei:
Se la fanciulla mia voglia andare
per l'ampio mare, io le sarò compagno:
e ci addormenteremo sullo stesso lido
e un medesimo albero sarà il nostro tetto
e ci disseteremo alla stessa sorgente...
è l'illusione della felicità, la quale scomparirà al primo cambiamento d'umore della donna, al primo tradimento, come dice Catullo:
"Ora non chiedo più che voglia amarmi
né, cosa incredibile, che mi sia fedele:
voglio guarire, liberarmi di questo male orribile.
Ascoltatemi, o Dei, per l'amore che vi porto!"
L'innamorato oscilla sempre tra gioia e dolore, tra salute (mancanza dell'amore) e malattia (l'amore stesso) e infine la contraddizione:
"Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile.
Non so, ma è proprio così, e mi tormento."
è questo il tema fondamentale della lirica latina: odio-amore e tormento sentiti per se stessi, come esperienza spirituale. è l'amore per una felicità eterna che viene continuamente delusa dalla realtà delle cose. è la realtà che non si adegua al sogno. Anche le liriche che esprimono un sentimento bucolico rappresentano l'ideale della felicità che sembra a portata di mano ma che sfugge; nonostante ciò si insegue e si desidera dolorosamente.
APPROFONDIMENTO: quel poco che, in tutti questi anni, ho letto e trascritto di "Letteratura Romana"
Marziale: https://intervistemetal.blogspot.com/2021/11/marziale-epitaffio-della-bambina.html
Catullo, che canta Diana:
Noi vergini fanciulle,
noi puri giovanetti
vogliamo
pregare Diana col canto.
O santa figlia di Giove
Latonia, tu sei nata
a Delo tra gli ulivi
perché tu diventassi
la regina dei monti,
delle selve virenti,
delle rupi lontane,
tu dei fiumi sonori
immortale Signora.
Te Lucina le madri
invocano nei parti,
tu sei chiamata Trivia,
tu Luna per la luce
non tua.
E misuri il cammino degli anni,
annunzi il mutamento
delle stagioni
e di buoni frutti ricolmi
le case dei villani.
E sii come tu vuoi
sempre santa nel nome;
assisti come un tempo
solevi, tu buona Dea,
questa prole di Romolo.
Testo originale:
Dianae sumus in fide
puellae et pueri integri:
Dianam pueri integri
Puellaeque canamus.
O Latonia, maximi
magna progenies Iovis,
quam mater prope Deliam
deposivit olivam,
montium domina ut fores
silvarumque virentium
saltuumque reconditorum
amniumque sonantum.
Tu Lucina dolentibus
Iuno dicta puerperis,
tu potens Trivia er notho's
dicta lumine Luna.
Tu cursu, dea, menstruo
metiens iter annuum
rustica agricolae bonis
tecta frugibus exples.
Sis quocumque tibi placet
sancta nomine, Romulique
Antique ut solita's, bona
sospites ope gentem.
Orazio:
Vergine che visiti le selve
dei monti, che il gemito
ascolti delle spose nel parto
invocata tre volte
e le togli alla morte,
diva triforme;
il pino che oltre il mio tetto
si alza ti consacro:
ed io per ogni anno che passa
il sangue gli offrirò di cinghiale
che obliqui colpi medita.
Testo originale:
Montium custos nemorumque, Virgo,
quae laborantis utero puellas
ter vocata audis adimisque leto,
diva triformis,
imminens villae tua pinus esto,
quam per exactos ego laetus annos
verris oblinquom meditantis ictum
sanguine donem.
"Carmina Priapea"
1.
Tu che stai per leggere questi scherzi sfacciati
scritti in versi disadorni
spogliati della maschera seria che è di rigore
qui a Roma.
In questo piccolo tempio non ci sono verginelle,
come la sorella di Febo, o Vesta,
o Minerva nata dalla testa del babbo:
qui c'è il rosso custode degli orti
dotato di cazzo anormale [il dio Priapo]
che ostenta il basso ventre ignudo.
Dunque o abbassi la veste per coprirgli la parte,
o leggi queste cose coi medesimi occhi
con cui insisti a guardarle.
I
Carminis incompti lusus lecture procace,
conveniens Latio pone superciulium,
Non soror hoc habitat Phoebi, non Vesta sacello,
nec quae de patrio vertice nata dea est,
sed ruber hortorum custos, membrosior aequo,
qui tectum nullis vestibus inguen habet.
Aut igitur tunicam parti praetene tegendae,
aut quibus hanc oculis aspicis, ista lege.
Note: la raccolta ha due carmi introduttivi, una sorte di silloge. In entrambi i carmi, viene messo in contrapposizione il membro di Priapo contro la verginità delle Dee: Diana frigida cacciatrice, Vesta austera custode del focolare, Minerva combattente (l'Atena greca), nata da partenogenesi maschile: Giove, dopo aver ingoiato Meti, Dea della memoria, fu colto da malditesta; chiamò Vulcano, perché gli aprisse il cranio e dalle sue meningi, uscì Minerva, armata di lancia.
Da notare che l'anonimo poeta rifiuta chiaramente qualsiasi intento di poesia seriosa (gran parte della Poesia Latina, si vedano Orazio, Virgilio e Papirio)
4.
Questo è il dono di Lalage per te,
dio che l'hai sempre duro:
tavolette con disegni lascivi
ispirati dagli scritti di Elefantide.
Ti prego, vedi di farmi una grazia,
fai che queste immagini divengano realtà.
IIII
Obscaenas rigido deo tabellas
ducens ex Elephantidos libellis
dat donum Lalage rogatque temptes,
si pictas opu edat ad figuras.
Note: è il primo carme che inaugura il motivo degli ex-voto: si usava appendere alle pareti del tempietto o sul pene di Priapo, tavolette con disegnini o brevi scritte, per chiedere grazie. Lalage è nome femminile: lo troviamo anche in Orazio; Elefantide è autrice di un trattato erotico sulle posizioni del coito.
8.
Via, lontano, donne per bene:
è vergogna leggiate versi sconci!
Se ne fregano e vanno a dritto...
Ah, le donne per bene sono furbe,
sanno che un grosso cazzo è un bel guardare!
VIII
Matronae procul hinc abite castae:
turpe est vos legere impudica verba.
Non assis faciunt euntque recta:
nimium sapiunt videntque magnam
matronae quoque mentulam libenter.
Note: un carme che ironizza sulle libidini nascoste delle matrone romane. Da notare però come ci sia una sorta di incitamento, e non di repressione, alla lussuria femminile.
Aconia Fabia Paolina
Tratto da
Moglie di un funzionario romano, Vettio Agorio Pretestato, prefetto del pretorio per l'Italia e console designato per l'anno 385. Rappresentante di quell'ultimo Paganesimo che si pose in deciso conflitto con il trionfante mondo cristiano, Aconia Fabia Paolina ci ha lasciato un commovente elogio funebre del marito in senari giambici (*) testimonianza di un'intesa perfetta, di natura anche religiosa ed iniziatica. Al centro della composizione è infatti il destino trascendente ed escatologico di Pretestato, al quale la sposa si sente legata sul piano spirituale per l'eternità.
(*) Segno che A.F. Paolina era una donna coltissima: per poter scrivere in senari giambici (metrica latina) devi avere avuto un'istruzione letteraria d'alto livello!
Il prestigio della mia famiglia non mi ha dato fortuna maggiore di quella di essere degna d'avere un marito come te. Infatti la mia gloria e il mio onore stanno completamente nel tuo nome, Agorio, che, nato da alta progenie, patria, Senato e sposa onori con l'onestà dei tuoi costumi e anche con gli studi con i quali hai raggiunto l'apice supremo della rettitudine. Infatti tutto quanto è stato tramandato in greco e latino dalla cura dei sapienti, ai quali è consentita la via del cielo, o quelle opere che valenti poeti cantarono in versi o che sono state composte in prosa, tu rendi migliori di quando leggendo le avevi considerate. Ma è ancora poco. Tu, devoto, iniziato ai Misteri, nascondi in cuore le scoperte delle sacre iniziazioni. Dotto, veneri la molteplice potenza degli Dei, condividendo, benevolo in questi riti la tua sposa, esperta del genere umano e degli Dei e a te fedele. Ma ora che senso ha parlare di onori e privilegi, soddisfazioni che gli uomini si augurano ardentemente di avere, gratificazioni che tu sempre hai disprezzato come caduche e misere, adesso che tu, Sacerdote degli Dei, con le tue sacre bende hai raggiunto suprema gloria? Tu, sposo caro, con la tua sapienza, strappandomi al destino di una cieca morte, pura e pudica mi conduci ai templi degli Dei e al loro servizio. Al tuo cospetto penetro tutti i Misteri. Tu, pio consorte, onori me, con l'iniziazione mitriaca (1) come Sacerdotessa di Dindimo (2) e di Atti (3) . A me, di Ecate ministra, i Triplici Segreti (4) insegni e degna mi rendi dei sacri riti della greca Cerere. Grazie a te, tutti mi dicono beata, mi lodano pia dal momento che tu stesso diffondi per tutto il mondo la fama di me buona. Da tutti sono conosciuta io, ignota. Infatti, avendo te come marito, perché non dovrei piacere? Le madri mi prendono a modello e ritengono ideali i figli, se sono uguali ai tuoi. Tutti desiderano e lodano le insegne che tu, maestro, mi hai date. Ora che sei perduto, mi macero, sposa infelice, nel dolore, io, che sarei stata felice se a me gli Dei avessero concesso di morire prima di te, ma lo stesso felice, perché tua sono e, dopo la morte, tra poco, ancora tua sarò.
(1) La Poetessa era iniziata ai Misteri di Cibele, di Atti, di Mitra, di Ecate, di Cerere.
(2) Montagna della Propontide dove era situato un tempio della Dea Cibele
(3) Pastore frigio amato da Cibele e da Lei consacrato suo Sacerdote.
(4) Ecate nei suoi tre aspetti: Ecate/Proserpina negli inferi, Diana in terra, Selene in cielo.
Testo originale
Splendor parentum nil mihi maius dedit quam quod marito digna iam tum visa sum, sed lumen omne vel decus nomen viri, Agori, superbo qui creatus germine patriam, senatum coniugemque inluminas probitate mentis, moribus, studiis simul, virtutis apicem quis supremum nanctus es. Tu namque quidquid lingua utraque est proditum cura soforum, porta quis caeli patet, vel quae periti condidere carmina, vel quae solutis vocibus sunt edita, meliora reddis quam legendo sumpseras. Sed ista parva: tu pius mystes sacris teletis reperta mentis arcano premis, divumque numen multiplex doctus colis, sociam benigne coniugem nectens sacris, hominum deumque consciam ac fidam tibi. Quid nunc honores aut potestates loquar hominumque votis adpetita gaudia, quae tu caduca ac parva semper autumans divum sacerdos infulis celsus clues? Tu me, marite, disciplinarum bono puram ac pudicam sorte mortis eximens, in templa ducis ac famulam divis dicas; te teste cunctis imbuor mysteriis; tu Dindymenes Atteosque antistitem teletis honoras taureis consors pius; Hecates ministram trina secreta edoces Cererisque Graiae tu sacris dignam paras. Te propter omnis me beatam, me piam celebrant, quod ipse me bonam disseminas totum per orbem ignota noscor omnibus. Nam te marito cur placere non queam? Exemplum de me Romulae matres petunt subolemque pulchram, si tuae similis, putant. Optant probantque nunc viri, nunc feminae, quae tu magister indidisti insignia. His nunc ademptis maesta coniunx maceror, felix, maritum si superstitem mihi divi dedissent, sed tamen felix, tua quia sum fuique postque mortem mox ero.
Ovidio: "Bacco e Arianna".
Brano tratto dall'Antologia di Scrittori Latini 1967
Arianna, figlia di Minosse, re di Creta, era partita dalla terra natale seguendo Teseo, ch'essa aveva aiutato a uscire dal labirinto, dopo aver ucciso il Minotauro; ma nell'isola di Nasso, l'eroe ateniese abbandonò la fanciulla mentre era immersa nel sonno. Il poeta descrive la sventurata eroina, appena desta dal sonno, che va stordita e pazza per quell'isola sconosciuta; e dallo stordimento, appena sente l'orribile realtà dell'abbandono e del tradimento, passa all'urlo, all'invettiva vana e disperata lanciata per i flutti impassabili e sordi. E finalmente viene il grido angoscioso e disperato: "Che ne sarà di me?" mentre intorno incombe un mostruoso silenzio di solitudine marina. "Che ne sarà di me?" ripete disperatamente Arianna. Ed ecco subitaneo, assordante, lo scoppio del corteo bacchico, che rimbomba frenetico per tutta la spiaggia. Arianna viene quindi portata via dal Dio e assunta in cielo tra le costellazioni boreali.
Sopra le ignote arene errava Arianna,
impazzita, dove l'ondata batte la sponda
dell'isola Dia.
Desta dal sonno, un velo di tunica intorno le
svola: e nudi i piedi e sciolte le bionde chiome.
"Teseo crudele!" ai flutti, che non udivano,
urlava: e un gran pianto rigava le tenere
guance innocenti.
Gridava e piangeva: ma il grido e il pianto le
davano grazia; il pianto non aveva alterato il
volto suo bello.
Battea, battea con le palme il morbidissimo
seno. "Lo spergiuro è fuggito", diceva,
"E di me che sarà?"
Diceva "E di me che sarà?" Ah! Scoppia per
tutta la spiaggia un suon di cembali e timpani
percossi da mani furenti.
Ella cade atterrita; né più profferisce parola.
Esangue era il suo corpo come corpo di morta.
Eccole, le Baccanti, cosparsi i capelli sul dorso:
eccoli, i lievi Satiri, che in folla precedono il
Dio.
Oh sul curvo asinello ecco il vecchio ecco
l'ebbro Sileno, che barcolla e si aggrappa alla
criniera, e via dietro alle Baccanti: ed esse via
scappano e tornano, e quello da' da' con la
canna alla bestia, il cavaliere maldestro, finché
fa un capitombolo giù dall'orecchiuto asinello.
Gridano i satiri: "O Padre, su, levati levati, su!"
Eccolo il Dio! Dal carro che avea coronato di
grappoli, il dio le tigri aggiogate guidava con
redini d'oro.
Teseo, calore, voce, tutto perdè la fanciulla; tre
volte ella tenta la fuga, tre volte il terrore la
inchioda.
Rabbrividì tremando, come al vento la sterile
spiga, come le canne lievi nell'acquosa palude.
Il Dio le parla: "Io vengo amore più fido al tuo
amore. Non temere: di Bacco sarai, Arianna, la
sposa. Io t'offro il cielo; dal cielo più volte alla
nave smarrita, darà fulgente stella, la Gnosia
Corona la via."
Disse, e balzò dal cocchio, perché non temesse
le tigri, la sua fanciulla. E il lido cedeva di sotto
ai suoi passi.
La portò via serrata fra le sue braccia; era vano
ogni contrasto. Un Dio facilmente può tutto.
Si leva ora il canto: "Imeneo". Risuona ora il
grido "Evoè!"
Testo originale:
Gnosis in ignotis amens errabat harenis,
qua brevis aequoreis Dia feritur aquis;
utque erat e somno tunica velata recincta,
nuda pedem, croceas inreligata comas,
Thesea crudelem surdas clamabat ad undas
indigno teneras imbre rigante genas.
Clamabat flebatque simul; sed utrumque
decebat:
non facta est lacrimis turpior illa suis.
Iamque iterum tundens mollissima pectora
palmis
"Perfidus ille abit! Quid mihi fiet?" ait.
"Qui mihi fiet?" ait: sonuerunt cymbala toto
litore et attonita tympana pulsa manu.
Excidit illa metu rupitque novissima verba;
nullus in exanimi corpore sanguis erat.
Ecce Mimallonides sparsis in terga capillis,
ecce leves Satyri, praevia turba Dei,
Ebrius ecce senex: pando Silenus asello
Vix sedet et pressas continet arte iubas;
dum sequitur Bacchas, Bacchae fugiuntque
petuntque,
quadrupedem ferula dum malus urget eques,
in caput aurito cecidit delapsus asello:
clamarunt Satyri "Surge age, surge Pater!"
Iam Deus in curru, quem summum texerat
uvis, tigribus adiunctis aurea lora dabat:
et color et Theseuset vox abiere puellae
terque fugam petit terque retenta metu est;
horruit, ut sterilis agitat quas ventus aristas,
ut levis in madida canna palude tremit.
Cui Deus "en, adsum tibi cura fidelior", inquit,
"Pone metum: Bacchi, Gnosias, uxor eris!
Munus habe caelum: caelo spectabere sidus;
saepe reges dubiam Cressa Corona ratem."
Dixit, et e curru, ne tigres illa timeret,
deesilit: inposito cessit harena pede:
inplicitamque sinu (neque enim pugnare
valebat)abstulit: in facili est omnia posse Deo.
Pars "Hymenaee" canunt, pars clamant
Euhion, "Euhoe!"
Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2021/08/gli-antichi-romani-e-il-culto-dei-morti.html https://intervistemetal.blogspot.com/2020/03/il-dio-della-proprieta-privata-termine.html https://intervistemetal.blogspot.com/2021/04/architettura-romana-nelle-terre.html
Stuprata, farmacologicamente parlando.
Ecco l'espressione di una donna che è stata stuprata farmacologicamente:
Una donna che ha subito una cosa che non voleva subire.
Marziale ''Epitaffio della bambina Erotion''. Per l'Epitaffio Lunariale, ci sto ancora lavorando.
No, non mi è mai piaciuta la letteratura "classica": antichi Greci e Romani mi hanno sempre innervosito dal punto di vista storico, con quella loro insopportabile misoginia, e non mi sono mai piaciuti neanche dal punto di vista letterario.
Il mio disinteresse verso la loro letteratura è pressoché totale: del tipo che non ho mai degnato manco di mezzo sguardo bibliomanesco i loro cesare, catone, cicerone e compagnia, se li vedo lì nel mucchio di libri sulle bancarelle o sugli scaffali...
Quel poco che ho fatto a scuola mi ha sempre annoiato oppure fatto incazzare per la loro misoginia puzzolente ma "rispettata e riverita perché sono le nostre radici culturali".
Insomma: per farla breve, non mi sono mai attizzata su cesare, catone, lucrezio e compagnia grecoromanoide assortita. Non stazionano nel Mio harem, insomma. Letti poco e di malavoglia e pure turandomi il naso. Anche quel minimo che ho letto non riesce a piacermi manco di striscio.
Non mi è neanche mai interessato "sfoggiare tutto lo scibile a tema greco-romano letterario", non ho mai partecipato a nessun dibattito su questi autori né vado a ricercare video su di loro e commenti di fanatici bibliomani su costoro, men che meno mi azzardo a "fare la secchiona" su un argomento che proprio non mi interessa.
Ho un mucchio di libri ma non muoverei manco mezzo dito per "aggiudicarmi" un catone o un aristotele, manco se fossero messi lì gratis. è un tipo di maschio che mi disgusta, fermo restando che peggio di catone e di aristotele ci sono solo i Rettiliani dei giorni nostri, per l'ovvio motivo che catone o aristotele NON stanno attentando alla mia vita, mentre i secondi sì. E alla grande.
Diciamo pure che né catone né aristotele possono resuscitare dalla tomba "per farmela pagare" mentre i Bellarmino Vaxari possono spazzarmi via dall'oggi al domani e senza che io possa difendermi.
Il che significa che nella hit parade del disgusto letterario se prima di dicembre 2020 ci stavano, stazionando fissamente da decenni, aristotele\catone, attualmente la coppia di misogini fetentoni è slittata di diversi posti "in basso": ai primi posti ci stanno gli "indefiniti esseri alienoidi dai tratti repellentemente umani" (non saprei come definirli, vogliamo citare un gergo lovecraftiano stile "Il colore venuto dallo spazio"?) e i sicari mengeliani che sono il loro braccio destro in questo orribile clinical fetish a tinte exxxtreme diventato realtà...
Ho fatto un triliardo di pdf su roba anche di nicchia come "il linguaggio degli Inuit" (che curiosamente risulta uno dei miei pdf più cliccati, con ben 3276 views) e quasi nulla ho scritto su libri "greco-romani". Pur avendo comunque qui qualche appunto che ho salvato, di tanto in tanto... (https://intervistemetal.blogspot.com/2021/11/lamore-e-il-carpe-diem-in-catullo.html)
Comunque, tanto per sfoggiare un minimo di "latino latinorum" ecco qui un post su Marziale; ho scelto questo "Epitaffio" per via dei riferimenti al "terrore dell'Ombre\orrende gole" che mi facevano venire in mente Vincenzo Monti e Tansillo.
"Epitaffio della bambina Erotion"
A te babbo, a te mamma, Frontone, Flaccilla confido
questa povera bimba, boccuccia e gioia mia.
Cara piccina!, ch'ella non abbia terrore dell'Ombre
né delle orrende gole di Cerbero infernale.
Avrebbe ora compiuto il sesto suo gelido inverno
s'ella fosse vissuta altri sei giorni ancora.
Oh fra i suoi buoni vecchi che giochi e rifaccia i capricci,
e il mio nome balbetti con la bocca infantile!
Le molli ossa ricopra la tenera zolla, ed a lei
tu sia leggera, o terra: ch'ella ti fu leggera.
Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam
oscula commendo deliciasque meas,
Parvola ne nigras horrescat Erotion (1) umbras
oraque Tartarei prodigiosa canis.
Impletura (2) fuit sextae modo frigora brumae,
vixisset totidem ni minus illa dies.
Inter tam veteres ludat lasciva patronas
et nomen blaeso garriat ore meum.
Mollia non rigidus caespes tegat ossa, nec illi,
terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.
Note:
1) Erotion è nome greco e significa "amorino"
2) Impletura: avrebbe compiuto il suo sesto anno, se fosse vissuta sei giorni ancora.
Marziale "Fabulla" (traduzione di mio padre Gabriele).
Bella sei, lo sappiamo, e ragazza, è vero,
e ricca, chi potrebbe negarlo?
Ma quando da sola, troppo, Fabulla, ti lodi,
non sei né bella, Fabulla, né ricca e né fanciulla.
Bella es, novimus, et puella, verum est.
Et dives, quis enim potest negare?
Sed cum te nimium, Fabulla, laudas,
nec dives, neque bella, nec puella es.
Per quanto riguarda il mio Epitaffio Lunariale, ci sto ancora lavorando: vado da cose del tipo "Di fronte al Tiranno non pianse, non volendo farsi venire le rughe sul contorno occhi" (non vale la pena sfigurarsi per cose che non meritano tutto questo sforzo epidermico-muscolare) a cose del tipo "Non è crepata di coviddi. Quindi non inseritela nel conteggio" o "Da me non avete avuto neanche un centesimo. Piuttosto, li ho spesi tutti comprandomi i libri che detesto, come quelli di Henry Miller!" al più sboccato ma grondante Pussy-Power Autodeterminato: "Mai data ai Rettiliani Danarosi. Repellenti. Piuttosto mi faccio sficare da Henry Miller in quelle sue orribili scopate nei cessi puzzolenti."
Donne Danesi Guerriere nei Poemi
Info tratte da
Le Skjaldmaer erano le fanciulle vichinghe, descritte da Saxo Grammaticus in "Gesta Danorum". Saxo le descrive con toni che lasciano pensare che le abbia viste dal vivo: parla di donne dalle taglie forti, consacrate ad attività militari, tramite l'uso di lance. Saxo Grammaticus nel "Gesta Danorum" descrive così le Skjaldmaer, le vichinghe: "Anticamente tra i Danesi ci furono donne che, trasformando la bellezza in modi da uomo, consacravano quasi tutti i momenti del loro tempo alle pratiche militari... quelle che possedevano o forza di carattere o una taglia fisica adeguata cercavano le lotte invece dei baci... consegnavano alla disciplina delle lance le mani che avrebbero dovuto porre sui telai e si esponevano ai dardi che avrebbero potuto far cadere a terra con il loro fascino"
Nella saga di Hervör, ispirata alle battaglie tra Goti e Unni (IV secolo) e scritta nel XIII secolo, si parla della Skjaldmaer (Fanciulla Guerriera) Hervör e della sua stirpe. Hervör è bellissima ma è forte come un uomo: sa usare l'arco, lo scudo e la spada. Dopo essersi travestita da uomo e aver preso nome di Hervard, diventa il leader di un gruppo di vichinghi e va in pellegrinaggio alla tomba del padre, Angantyr, un Berserkr cioè un guerriero devoto a Odino. La fanciulla recita "Il Canto di Hervör", chiedendo al padre di risorgere e di darle la spada Tyrfing che le spetta di diritto, come eredità. La spada era stata forgiata dai nani Dvalinn e Dulinn, ma era maledetta. Questa saga ispirò Tolkien per il suo capolavoro "Il Signore degli Anelli", specialmente per la sua eroina éowyn.
Altre saghe famose sono "La Saga di Egill Skallagrìmsson", "La Saga di Gìsli Sùrsson", "La Saga di Grettir Asmundarson", "La Saga degli abitanti della Valle dei Salmoni", "La Saga degli uomini di Eyr".
Nella "Saga di Ragnarr" raccontata da Saxo Grammaticus, si narra che Ragnarr Lodbròk giunse in Norvergia per vendicare le mogli del re defunto, che erano state oltraggiate da Fro, il re della Svezia. A questa battaglia parteciparono molte donne, tra cui Lagertha "donna esperta nella guerra che, portando nel corpo di vergine un coraggio virile, lottava per prima tra i più agguerriti, con i capelli sciolti sulle spalle." Dopo aver sconfitto il re di Svezia, Ragnarr volle sposare Lagertha ma riuscì a convolare a nozze con lei solo dopo aver ucciso a mani nude un orso e un cane che facevano la guardia alla stanza di Lagertha.