Trama: Lisa, una ragazza quattordicenne che sogna di diventare una fotografa, cerca di aiutare in tutti i modi Adam, un compagno di scuola in difficoltà, che per fuggire la terribile realtà della sua vita (un padre alcolizzato, l'estrema povertà) si rifugia nella fantasia, raccontando addirittura di essere un extraterrestre.
Tutto il racconto è un delicato studio psicologico degli stati d'animo e dei problemi di ragazzi quasi adolescenti.
Corso Lodi, a Milano, è un viale alberato. I platani sono monitorati di continuo e più che platani dalla larga chioma, sembrano cipressi. Guardando i tronchi, ci si accorge che hanno alcune escrescenze dovute a malattie particolari degli alberi e che queste escrescenze hanno forme strane.
Molti anni fa, sul quarto albero a sinistra per chi scende, una di queste escrescenze assomigliò ad un volto urlante: il volto di un impiccato. Secoli fa, Corso Lodi era luogo di impiccagioni.
E così, qualcuno iniziò a pensare che l'albero fosse posseduto dallo spirito di un morto e la gente iniziò a mettere lumini.
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A Porta Vittoria, una volta, vi era uno strano bassorilievo che raffigurava una ragazza che si radeva il pube: ecco perché veniva chiamata "Porta Tosa" (ragazza) o "Porta Tonsa" (radersi). Probabilmente era un insegna che indicava una prostituta (che dovevano radersi per questioni igieniche) Si credeva che fosse la moglie del Barbarossa; ma in realtà dovrebbe essere un riferimento alla leggenda della "sconcia fanciulla": nel 1162 una ragazza salì sugli spalti e si spogliò per mostrarsi ai soldati tedeschi radendosi le pudenda ed ignorando le frecce che le scagliavano addosso, per umiliare il Barbarossa. Per altri, sarebbe una rappresentazione della Dea Flora, quindi un simbolo di fecondità. Oggi quel bassorilievo è nel Museo Archeologico.
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Villa Simonetta, oggi rimaneggiata, anticamente godeva di una fama un po' inquietante: si diceva che qualsiasi cosa venisse urlata in direzione della villa, si moltiplicava in 56 echi.
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Nella chiesa di San Marco, sia su una tela sia sull'architrave della bifora a sinistra del portale d'ingresso sono rappresentati dei draghi: alcuni sostengono che si tratti del Tarantasio, il mostro che abitava nel lago Gerundo, poi scomparso, che si estendeva tra Bergamo, Lodi e Milano. Al centro del rosone vi è una stella di David, antico simbolo esoterico, con i due triangoli, uno di fuoco, l'altro di acqua, che si intersecano l'uno nell'altro. è rappresentato al centro di un cerchio da cui si diramano 16 raggi, rappresentazione della Rosa dei Venti. Nella chiesa si trova anche una lastra tombale, ma nessuno è stato in grado di capire chi raffiguri perché il viso della rappresentazione dell'uomo è stato distrutto, in segno di damnatio memoriae.
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Si racconta che nel Parco Sempione vi sia il fantasma di una donna vestita con un lungo abito nero e un velo, che conduce dentro il castello i viandanti che, ammaliati, la seguono. Dopo una danza, la donna li conduce su un letto a baldacchino. E quando l'uomo le toglie il velo dal viso, si trova davanti un teschio che lo fissa con orbite vuote.
Le prime versioni di questa storia compaiono alla fine dell'Ottocento. Molte delle persone vittime di questa dama fantasma impazziscono, aggirandosi nei dintorni del Parco nella speranza di rivedere la donna spettrale.
Alcuni credevano che la casa dei fantasmi sorgesse all'angolo di via Paleocapa.
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Anche a Milano, anticamente, si festeggiava la notte dei morti, tra il 1° Novembre e il 2 Novembre: "l'è el dì di mort", "è il giorno dei morti". L'usanza imponeva di mangiare zuppa di ceci, tempia di maiale con sottaceti, grana e per dolce i "òss di mort", dei dolcetti di pasta di mandorle tostate al sapore di cannella, e il "pan dè mort", il pane dei morti: si metteva dell'uva passa per coprire i buchi fatti dalle ossute dita dei defunti che hanno cercato di afferrare il pane.
Un'usanza ormai dimenticata imponeva di chiudere porte e finestre e lavare una donna che avesse appena partorito e il bambino con acqua benedetta, perché qualche defunto avrebbe potuto impadronirsi della volontà del bambino segnandolo con una macchia nera.
Alle ragazze che avessero appena perso tragicamente il fidanzato si consigliava di indossare sette gonne, per andare a trovarlo al cimitero: lo spirito del morto avrebbe cercato di afferrarle per la gonna portandole nell'oltretomba, e per salvarsi la fanciulla doveva essere svelta e sfilarsi la sottana.
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Vi erano poi altre superstizioni, per difendersi dagli spettri.
Se si passeggiava fra le prime nebbie di novembre e si vedevano dei bagliori fluorescenti, andavano seguiti: conducevano alle "pietre saettine", sassi scagliati dai fulmini nei luoghi umidi, specialmente nei letamai: erano piccole pietre nere e lucide, che difendevano dal malocchio.
In prossimità dei bivi si potevano vedere i "cagnolitt", piccoli batuffoli che cambiavano forma e colore, che giravano attorno alle gambe dei viandanti, guaendo come dei cani. Erano gli spiriti dei bestemmiatori che scontavano la loro colpa e non andavano toccati perché mordevano e graffiavano.
Si pensava che durante la Notte dei Morti, via Broletto 7, nel palazzo che Ludovico il Moro fece costruire per la sua mante, Cecilia, si potesse vedere la donna affacciata alla finestra mentre aspettava l'amato. Si pensa che in quel palazzo, funestato da fatti di sangue, si aggirino ancora gli spettri del Conte di Carmagnola o del primo ministro Prina, linciato dalla folla nel 1814.
Anche la pinacoteca Ambrosiana sarebbe infestata dallo spirito di Lucrezia Borgia, che nella Notte dei Morti appare e tira fuori dalla teca la ciocca bionda dei suoi capelli, che aveva donato a Pietro Bembo: la pettina a lungo ed è per questo che quella ciocca di capelli sono ancora così morbidi e belli.
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Si credeva che in corso Monforte, nelle notti di nebbia, apparissero figure indistinte, che via via assumevano aspetto di donne, aumentando di numero, per una triste processione: sono le mogli e le figlie dei catari fatti sterminare da Ariberto di Intimiano, arcivescovo di Milano, bruciati in un immenso rogo che fu eretto in corso Monforte.
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Nel Castello Sforzesco appare ancora il fantasma della crudele Bianca Scappardone Visconti, che venne decapitata: la donna convinse il suo amante ad uccidere un suo ex spasimante che l'aveva derisa in pubblico: dopo aver scannato l'uomo, il sicario raccolse il suo sangue in un'anfora e ne fece dono a Bianca che, nella Notte dei Morti, appare per bere avidamente il sangue e subito dopo la sua testa rotola nel prato del castello.
Da una delle finestre del castello si intravede lo spettro di Bona di Savoia, che piange per la perdita dei suoi cari; anche il fantasma di Ludovico il Moro apparirebbe tra il ponte d'uscita verso il Parco del Sempione e la Ponticella del Duca.
Vicino alla fontanella dei leoni appare Bianca Sforza che intreccia le ghirlande nuziali fatte di rovi per ricordare la sua morte, la notte delle nozze, tra le braccia del marito.
Una figura vestita di broccato e oro corre nel portico dell'Elefante: è Isabella d'Aragona che cerca il veleno per sterminare gli Sforza.
Anche il fantasma di Beatrice d'Este appare, mentre muore dissanguata dopo aver partorito un bambino morto.
Infine, si crede che nella chiesa di San Bernardino gli scheletri danzino.
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Anche Piazza Maggi ha le sue storie di spettri: il fantasma di un uomo morto alla Senavra si manifesterebbe con uno scalpiccio di passi alle spalle dei viandanti. Per farlo smettere è necessario gettarsi alle spalle qualche monetina. Fatto ciò, il rumore di passi claudicanti sparisce.
Davanti alla chiesa di Santa Maria del Suffragio, nelle notti di nebbia, si possono scorgere figure oscure. Altri raccontano di un cane fantasma che infesterebbe la via Cadore, alitando acetilene sugli sfortunati passanti. In via Mecenate molti hanno visto lo spettro di un uomo in giubbotto di pelle: sarebbe un vecchio aviatore che passeggia nella via dove un tempo vi trovavano gli stabilimenti della Caproni, produttrice di aerei nel periodo tra le due Guerre Mondiali.
Tra via Sarpi e via Ceresio apparirebbe uno spettro di un monaco urlante contro l'immoralità; in piazza S. Stefano si sentono le urla del fantasma di un uomo murato vivo nel campanile dell'omonima chiesa.
Nel chiostro di Santa Redegonda vaga il fantasma di Bernarda Visconti che venne rinchiusa nella prigione della Rocchetta di Porta Nuova dopo aver tradito il marito (a cui era stata sposata con un matrimonio combinato) La donna si lasciò morire di inedia e da allora compare come fantasma inquieto.
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Anche nel Duomo di Milano ci sarebbe il fantasma di una donna: è possibile vederla quando si fotografa una coppia di sposi che escono dalla porta del Duomo dopo la cerimonia: alle loro spalle compare una misteriosa figura vestita di nero. Ingrandendo l'immagine si distinguono i tratti del volto della donna: ha spettrali occhi bianchi. Sembra che il fantasma sia quello di Carlina, una donna che abitava nella pieve di Schignano, vicino Como. Per un'antica usanza, le spose di Schignano sono vestite di seta nera, senza nessun gioiello.
Pare che questa usanza risalga ad un passato lontano, quando un feudatario esercitava lo "jus primae noctis", il diritto di giacere con ogni novella sposa la prima notte di nozze.
Le spose di Schignano presero l'abitudine di vestirsi di nero per non far capire agli uomini del feudatario che si stavano sposando.
Fu ad ottobre che Carlina si sposò con Renzino. La mattina dopo, ancora avvolta nel suo abito nero, Carlina era arrivata a Milano per il viaggio di nozze. Piazza del Duomo era avvolta da una coltre di nebbia. Gli sposini decisero di salire e ammirare la Madonnina ma lo spettacolo che videro fu terrificante: le figure marmoree di mostri e draghi uscivano dalla nebbia mentre i due salivano sul tetto del Duomo. Ai piedi della guglia Carelli, Carlina, spaventata, cominciò a correre a perdifiato tra le statue: era in preda al rimorso, perché aveva tradito Renzino con un biondo straniero e ne era rimasta incinta. Credeva di non dover confessarlo a Renzino perché il matrimonio era vicino e Renzino avrebbe pensato che fosse figlio suo. Ma inspiegabilmente, tra quelle statue del Duomo nella nebbia, Carlina aveva sentito il senso di colpa. Continuava a correre, forse per arrivare ai piedi della Guglia della Madonnina per chiedere perdono. Renzino le correva dietro, cercando di fermarla.
Carlina, però, disorientata, cadde nel vuoto e il suo corpo non venne mai più ritrovato. Oggi compare alle spalle degli sposi novelli per augurare un matrimonio felice che lei non ha potuto avere.
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Dosolina dei Navigli, come viene chiamata, era una donna di Vione, vicino a Sondrio. A quel tempo, era terra di contrabbandieri. Dosolina si innamorò di un operaio napoletano di passaggio a Vione per lavoro. I due fuggirono a Milano, dove si sposarono. Ma presto, finito l'idillio, l'uomo obbligò Dosolina a prostituirsi.
Una notte, Dosolina stanca di questa violenza, si ribellò e fuggì. Trovò rifugio sui Navigli, in casa di una sua compaesana, detta Luisa la Bandita. Luisa gestiva un magazzino di merci di contrabbando e Dosolina iniziò a diventare contrabbandiera anche lei, sfruttando il suo fascino.
Poi venne la guerra. I traffici aumentarono e Dosolina con la sua bicicletta sfrecciava per i boschi, a scambiare generi di prima necessità con la Svizzera. Una notte, due orchestrali della Scala bussarono alla sua porta: erano ebrei polacchi.
Le persecuzioni si stavano avvicinando.
Chiesero a Dosolina, in cambio dei loro soldi e gioielli, di portare il loro bambino appena nato in Svizzera, perché potesse salvarsi. E così la gerla della bicicletta di Dosolina divenne una culla per il piccino che arrivò sano e salvo in Svizzera.
E così ogni notte Dosolina prendeva un nuovo bambino da salvare, con l'aiuto dei partigiani e delle guardie di frontiera. Salvò innumerevoli vite fino a quando non venne uccisa con un colpo di fucile.
Il corpo di Dosolina si trova nel piccolo cimitero di Vione dove i partigiani la portarono.
Ma qualcuno sostiene che il suo spirito si aggiri lungo il Naviglio Grande o quello Pavese, nel vicolo dei Lavandai o ai lati della Darsena. è Dosolina dei Navigli, quella che i milanesi chiamano "l'Angel dei poupon", l'angelo dei bambini.
Ecco le foto che mi ha mandato Francesco, che ha trovato questo adorabile negozietto spagnolo che vende abbigliamento alternativo MA SOPRATTUTTO TOPPE DI BAND METAL!
considerato che qui in Italia non riesco più a trovarle 😖...😭😭😭 Alle fiere dei vinili e cd non le tengono 😭😭😭😭
Ma guardate che Meraviglia 😍 più preziose dei diamanti!
💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜😍😍😍😍😍😍😍😍😍
Qui trovate il reportage su Solaro, che ho realizzato per merito di Francesco:
Spillette Metal trasformate in ciondoli! La toppa ce l'ho dal 2000 o giù di lì, esattamente come la spilletta dei COF, comprata al mercato di Busto Arsizio quando avevo 14 o 15 anni 😁
Aggiornamento: IL PARADISO IN TERRA PER NOI METALLARI! 😍
P.s ho inaugurato la nuova borsa! 😁 con le toppine che mi ha regalato Francesco!
La guerra civile greca iniziò nel maggio del 1946 e finì tre anni dopo, nell'ottobre del 1949. Il paese era diviso tra monarchici (sostenitori del re) che erano al governo, e comunisti. Durante la II Guerra Mondiale avevano accantonato le loro differenze per combattere fianco a fianco contro tedeschi e italiani.
Ma una volta che il nemico straniero fu cacciato, la Grecia fece guerra a se stessa. Le cose cominciarono bene per i partigiani comunisti. La maggioranza, almeno all'inizio, apparteneva al grande partito dell'ELLAS e a quello più piccolo, ma ugualmente forte, del KKE.
L'epilogo della guerra sarebbe stato assai diverso sia per loro che per la Grecia se avessero combattuto uniti; invece i partiti si suddivisero in piccoli e litigiosi schieramenti, ognuno deciso a fare in modo proprio. Così finirono per combattersi l'un l'altro, invece di affrontare insieme il nemico. L'esercito del governo fiutò subito la presenza di divisioni all'interno degli "accampamenti rossi" e sfruttò la situazione a proprio vantaggio.
Chiese aiuto all'America e all'Inghilterra e ottenne armi e informatori. Nessuna di queste nazioni voleva una Grecia comunista o solo lontanamente socialista. Il tempo della "rivolta rossa" era ormai superato, e nove anni di spargimento di sangue erano giunti ad un epilogo.
Finalmente i fucili tacevano e a poco a poco le colline, dove erano state commesse tante atrocità da ambedue le parti, in nome della libertà e della verità, avevano perso quell'atmosfera minacciosa che le aveva avvolte così a lungo. La gente poteva nuovamente svolgere le proprie attività quotidiane senza doversi continuamente guardare alle spalle.
Devo aggiungere che sebbene la pace fosse arrivata, per alcuni esisteva un ultimo amaro ostacolo: migliaia di partigiani, spaventati o senza nessuna voglia di tornare a casa per ragioni ideologiche, si diressero verso i paesi comunisti a nord della Grecia, specialmente nella ex Jugoslavia e Bulgaria.
Nella ritirata attraverso la Macedonia (Grecia del Nord) portarono via con la forza i bambini dei paesi che attraversarono.
Oggi, nel 1987, la Grecia è finalmente in pace con se stessa (Nota di Lunaria: peccato che verso il 2009 sono piombati di nuovo nel baratro ma qui in "italia" eravamo affaccendati a fare tutt'altro...)
Ha un governo democratico (socialista) che è salito al potere nel 1980 e vi è libertà di parola e di pensiero. Grazie al turismo il paese ha raggiunto una ricchezza venti anni fa impensabile (considerato che queste cose sono state scritte nel 1987... Nota di Lunaria)
Oggi tutti i bambini mangiano tre volte al giorno e portano le scarpe tutti i giorni della settimana.
Io guardo le colline e incrocio le dita.
(Nota di Lunaria: non è servito a molto, cara Billi...)
Nota di Lunaria: dici "Grecia!" e subito pensi alla crisi economica e a tutte le storture da mondo finanziario dei normaloidi. Noi invece quando sentiamo "Grecia!" pensiamo a "Black Metal!", in particolare a queste band.
La scena Metal greca sarà anche piccola ma ha sfornato band molto valide.
Sono trascorsi ormai quasi due anni, dal giorno in cui, in sella alla mia bicicletta, percorrevo un isolato viottolo di campagna nella regione di Orgeval, proprio a nord di Poissy, quando rimasi fortemente sorpreso dall'apparizione improvvisa di una grande villa, vicino alla strada.
Scesi dalla bicicletta per vederla meglio. Si ergeva sotto il cielo grigio di novembre, mentre il vento freddo spazzava via le foglie cadute: era una costruzione in mattoni, non rispondente a uno stile particolare, nel mezzo di un vasto giardino, fitto di alberi vecchi.
Ma ciò che la rendeva insolita, ciò che di fatto le conferiva un'inquietante singolarità, da cui scaturiva un profondo turbamento, era il terribile stato di abbandono in cui era stata lasciata. E infatti la villa era proprio abbandonata, giacché uno dei cancelli di ferro era scardinato, e su di una grossa tavola di legno, una scritta in vernice, sbiadita dalla pioggia, annunziava che la proprietà era in vendita. Perciò mi inoltrai nel giardino, in preda a una curiosità frammista a un senso di inquietudine.
La casa doveva essere disabitata da trenta o forse quarant'anni. Durante numerosi inverni, alcuni mattoni si erano staccati dai cornicioni e dai bordi delle finestre, consentendo la proliferazione di muschio e licheni.
I muri erano attraversati da crepe, che come rughe premature segnavano quella che era una costruzione abbastanza solida, ma della quale nessuno si era più preso cura.
Sotto alla porta principale, i gradini di pietra corrosi dal gelo e coperti dalle ortiche e dai rovi, parevano condurre alla soglia della desolazione e della morte.
Ma, più di ogni altra cosa, le finestre nude e glauche promanavano un'atmosfera di malinconia: ormai prive di tende, i vetri erano stati frantumati dalle pietre scagliate da qualche bambino di passaggio, e lasciavano intravedere il vuoto tetro delle stanze, come gli occhi aperti di un cadavere, la cui anima sia estinta.
Intorno alla casa, il vasto giardino era uno scenario di devastazione. Ciò che una volta era stata un'aiuola, era a stento riconoscibile sotto le erbacce cresciute a dismisura; interi sentieri erano stati divorati da piante voraci, la boscaglia era tornata allo stato di foresta vergine: quel giorno, sotto l'ombra opprimente degli alberi antichi, le cui ultime foglie il vento portava via col suo triste lamento, ebbi l'impressione di trovarmi in un cimitero abbandonato.
Vi rimasi a lungo, circondato da quel gemito di disperazione, che sembrava provenire da ogni cosa intorno a me.
Un terrore sordo, un'inquietudine crescente, opprimevano il mio cuore, eppure ero sopraffatto da una compassione ardente, dal bisogno di sapere, e provare pietà per tutta quell'infelicità e quella sofferenza che mi avvolgevano.
Infine mi risolsi a lasciare quel luogo; un po' più avanti, alla biforcazione di due strade, scorsi una specie di locanda, un misero posto dove si poteva bere qualcosa, e vi andai, deciso a soddisfare la mia curiosità, incoraggiando la gente del luogo a chiacchierare.
L'unica persona che vi trovai fu una donna anziana, che tra mille lamentele mi servì un bicchiere di birra. Si lamentava del fatto di trovarsi su una strada dimenticata, dove in un'intera giornata non passavano più di due ciclisti.
Si mise a chiacchierare senza volerlo; mi raccontò la storia della sua vita, rivelò che la chiamavano "mère Toussaint", che era venuta da Vernon col marito per rilevare l'osteria, che al principio gli affari erano andati discretamente, ma poi da quando era rimasta vedova la situazione era andata di male in peggio.
Quando finalmente questo fiume di parole cessò, le chiesi se sapesse qualcosa a proposito della villa lì vicino, e lei tutto a un tratto divenne circospetta, e prese a guardarmi con diffidenza, come se stessi cercando di strapparle un terribile segreto.
"Ah, vi riferite alla Sauvagière, la casa degli spettri, come la chiamano qui intorno... Non ne so niente, Monsieur: è accaduto prima che venissi qua. La prossima Pasqua, saranno esattamente trent'anni, e il fatto risale quasi a quarant'anni fa. Quando ci trasferimmo qui, la villa era già pressappoco nello stato in cui si trova adesso. Le estati e gli inverni si succedono, è lì dentro, oltre a qualche pietra che cade ogni tanto, è tutto immobile."
"Ma", chiesi, "come mai nessuno l'ha comprata, visto che è in vendita?"
"Ohm come mai? E chi lo sa?... Beh, corrono tante voci..."
Alla fine riuscii a conquistare la sua fiducia, e apparve evidente che lei morisse dalla voglia di raccontarmi cosa la gente dicesse. Mi disse, innanzitutto, che nessuna ragazza del villaggio avrebbe mai osato avventurarsi nei giardini della Sauvagière dopo il crepuscolo, perché si diceva che di notte vi vagasse un'anima in pena.
Espressi allora il mio stupore per il fatto che si desse credito a una storia simile in un luogo tanto vicino a Parigi. Lei alzò le spalle, e cercò di mascherare il suo indicibile terrore, sforzandosi di apparire tranquilla.
"Ma giudicate voi, Monsieur. Perché non è stata venduta? Ho visto tanti probabili acquirenti andare e venire, ma se ne vanno sempre via alla svelta, e nessuno è mai tornato una seconda volta. E una cosa è certa: se qualche visitatore osa penetrare nella villa, accadono cose straordinarie. Le porte sbattono fragorosamente da sole, come se soffiasse un vento terribile; dai sotterranei giunge il suono di pianti, lamenti e singhiozzi; e se qualcuno ha il coraggio di rimanerci ancora un po' una voce che strazia il cuore comincia a chiamare senza arrestarsi "Angeline! Angeline! Angeline!", in un tono così angoscioso, da gelare il midollo nelle ossa… Sono fatti provati, nessuno può negarli."
Vi assicuro che cominciai a provare una certa agitazione, e un brivido mi corse lungo la schiena.
"Ma chi è Angeline?"
"Monsieur, vedo che siete deciso a conoscere l'intera storia, ma vi ripeto che io, personalmente, non so nulla."
Cionondimeno, finì col raccontarmi ogni cosa. Una quarantina di anni prima, più o meno nel 1858, proprio all'epoca in cui il glorioso Secondo Impero celebrava una vittoria dopo l'altra, Monsieur de G., il quale ricopriva una carica al Palazzo delle Tuileries, perse sua moglie.
Aveva avuto da lei una figlia, che allora aveva circa dieci anni. Si chiamava Angeline, ed era di una bellezza indescrivibile, l'immagine vivente di sua madre.
Due anni dopo Monsieur de G. si risposò, e la seconda moglie, vedova di un generale, era anch'essa nota per la sua bellezza. La gelosia manifesta e terribile crebbe tra Angeline e la sua matrigna: l'una schiacciata dal dolore di vedere sua madre già dimenticata, e il suo posto in famiglia così presto usurpato da un'estranea; l'altra ossessionata dalla follia, per aver costantemente davanti a sé il ritratto vivente della donna, il cui ricordo non sarebbe mai riuscita a cancellare.
La "Sauvagière" apparteneva alla nuova Madame de G. e fu lì che una sera, così narrava la storia, nel vedere suo marito abbracciare affettuosamente la figlia, furiosa di gelosia, Madame de G. colpì la ragazzina con una tale violenza, che la poveretta cadde a terra morta, col collo spezzato.
La fine della storia era raccapricciante. Il padre, pazzo di dolore, pur di salvare l'assassina, acconsentì a seppellire lui stesso la figlia in una delle cantine della villa. Il corpo vi rimase nascosto per anni, e fu fatta circolare la voce che la bambina fosse andata a stare presso una zia. Poi, un giorno, un cane prese ad abbaiare e a scavare febbrilmente nel terreno, e il crimine venne alla luce: tuttavia, in seguito, lo scandalo fu soffocato dalle autorità delle Tuileries.
Monsieur e Madame de G. erano poi morti entrambi, ma Angeline ogni notte tornava per rispondere alla voce che la chiamava pietosamente da quel mondo misterioso, oltre l'oscurità.
A ponente di via Umberto I (*) a San Giorgio su Legnano, in un podere cintato, nella primavera del 1925 avendo il proprietario iniziato a voltare a fondo il suo terreno per prepararlo alle coltura, trovava una bella anfora peduncolata, deposta come cinerario contenente le ossa calcinate e un sottilissimo olpe a pera, oltre a qualche altro vaso ormai a cocci.
L'anfora era stata segata in due parti prima dell'interramento e dopo la deposizione delle ceneri e degli oggetti era stata ricomposta mettendovi sopra la parte superiore a mo' di coperchio.
Però la pressione della terra, col tempo, mandò in frantumi la parte superiore.
Anche una bella patera aretina munita della marca di fabbrica, impronta di piede colla parola TERENE era stata trovata in quel podere, ma venne usata per dare il mangime ai polli che a forza di beccate ne asportarono il bordo verticale ornato di motivi allegorici. Portava un'iscrizione graffita a mano dall'offerente: P-I-I-F.
In seguitò si appurò che tutto il terreno era stato disseminato di sepolture.
Bram Stoker, il papà di Dracula, affermò che la vera idea per il suo celebre romanzo gli venne da un incubo che ebbe dopo aver chiacchierato con lo studioso ungherese Arminius Vambery durante una cena a base di gamberi troppo conditi; addormentatosi, sognò di un vampiro che sorgeva dalla sua tomba di notte per andare a compiere agghiaccianti misfatti.
è necessario approfondire la conoscenza sulla vita privata di Stoker per trovarvi una risposta al suo interesse per i vampiri.
Bram Stoker, nato a Dublino nel 1874, passò un'infanzia molto difficile: malaticcio e debole, i primi otto anni della sua vita li passò sempre a letto, senza sapere cosa fosse stare in piedi.
Mentre le altre persone "andavano e venivano di giorno", lui dovette passare interi giorni steso nel suo letto, sentendo tutto l'importanza di questa costrizione, che presenta evidenti analogie con quella della bara.
Fu la madre Charlotte a prendersi cura del piccolo Bram, raccontandogli storie sul folklore irlandese e racconti dell'orrore.
Charlotte aveva visto l'epidemia di colera, che era scoppiata nel 1832 e Bram ricorderà per tutta la vita ciò che la madre gli raccontò sugli orribili episodi di questo flagello; anche qui, l'epidemia di colera assomigliava al diffondersi dei fenomeni di vampirismo.
Come abbiamo visto, diagnosi e malattia facevano parte della vita di Bram Stoker fin dall'infanzia e più tardi costituiranno un elemento importante nel "Dracula".
Da giovane, fu molto attratto dal teatro e in particolar modo "Rivali" con Henry Irving (1867) colpì la sua immaginazione, tanto che la descrizione che fece di Dracula ricorda molto quella di Irving.
Nel 1871 Stoker iniziò ad interessarsi sempre di più al vampirismo, data la popolarità di "Carmilla".
Nel 1876 Irving interpretò a Dublino "Il Sogno di Eugene Aram" e Stoker ne fu talmente impressionato che non riuscendo a controllare la propria emozione, ebbe una crisi isterica.
Nel 1878 abbandonò un lavoro nel servizio civile irlandese e andò a Londra a lavorare per Irving, il suo Dracula.
Passava molto tempo a combinare tournées per l'attore e incominciò a scrivere i suoi primi racconti.
La sua prima opera, "Under the Sunset" ("Sotto il tramonto") fu pubblicata nel 1881, è una raccolta di storia del brivido per bambini e altre storie che già lasciavano intravedere gli elementi del suo futuro capolavoro.
Mentre era a Londra incontrò un orientalista, Sir Richard Burton, che aveva tradotto "Le Notti Arabe" e altre undici storie di vampiri da fonti sanscrite indiane.
Nelle sue memorie, Stoker ricordò come fosse stato colpito dai discorsi di Burton e dal suo aspetto fisico, specialmente dai suoi denti canini.
Altri temi e leggende che influenzarono Stoker furono quella dell'Ebreo Errante, dell'amante diabolico e dell'Olandese Volante.
La dedica del "Dracula" è rivolta "al caro Hommy-Beg", cioè lo scrittore e critico Hall Caine che era un caro amico di Stoker.
Un altro fatto che serve a spiegare la formazione di Dracula nella mente di Stoker è la terrificante vicenda di Jack lo Squartatore, fatti che sconvolsero i contemporanei, dall'agosto al novembre 1888.
Bowyer, per esempio, descrisse così la ferocia di Jack lo Squartatore: "Ciò che vidi era ancora più agghiacciante di ciò che mi ero immaginato di vedere, tutti quei pezzi di carne umana sparsi sul tavolo: era l'opera di un demonio più che di un uomo."
L'immaginazione di Stoker rimase impressionata dal sadismo di Jack.
Anche Oscar Wilde stesso impressionò Stoker: il suo essere anticonformista, i suoi gusti sessuali e il protagonista del "Ritratto di Dorian Gray", il cui personaggio principale rimane sempre giovane mentre il suo ritratto invecchia, ha ispirato a Stoker l'immagine del vampiro eternamente giovane.
Stoker stesso, del resto, era attratto dall'occultismo ed era iscritto alla Loggia "Alba Dorata".
Alcuni autori romeni si dedicarono a romanzi storici su Dracula: ne sono un esempio "Vlad, il figlio del Diavolo" di Georgina Viorica Rögöz, un racconto di intrigo; in uno stile moderno è apparsa la poesia di Elisabetta Isanos: "Dracula e sua moglie" (1968) Anche i gruppi teatrali hanno mantenuto vivo l'interesse intorno a Dracula. Nel 1964 è apparso "Vlad l'Impalatore", scritto da Popescu. Vale la pena notare che in nessuna di queste opere Dracula è stato visto sotto l'aspetto di vampiro: la letteratura romena (https://intervistemetal.blogspot.com/2023/04/letteratura-romena-su-dracula-dal.html) non ha mai associato a Dracula i vampiri; quando una studiosa romena, nel 1964, fece una ricerca sulla figura di Dracula nella letteratura turca, ne dedusse che lo scrittore turco Ali Seifi per il suo romanzo "Kazigli Voyvoda" (1928) dove Dracula è presentato come un vampiro, si fosse basato su una sceneggiatura di un ungherese, dalla quale era stato tratto un film prodotto a Hollywood!, ovvero il film con Bela Lugosi.
Per curiosità: fu un croato di origine italiana, Antonio Verancicz (1505-1573) che chiamò gli abitanti della Valacchia col nome di "Draguli"!, nome che fu poi ripreso da alcuni scrittori italiani. Tuttavia furono i francesi, con Hugo, ad interessarsi a Dracula, come valoroso oppositore dei Turchi, per merito dell'opera storica di Dimitrie Cantemir (1673-1723).
E ora diamo un tocco lunariale al tutto! 😁💀
Impossibile non citare i primi Cradle of Filth! Quelli dei Capolavori, insomma: dal debut album, e poi di "Vempire", "Dusk and Her Embrace" e "Cruelty and the Beast"
Anche se non mancano molti altri gruppi validi che hanno impostato la loro musica e concept sulla figura del vampiro