Sono trascorsi ormai quasi due anni, dal giorno in cui, in sella alla mia bicicletta, percorrevo un isolato viottolo di campagna nella regione di Orgeval, proprio a nord di Poissy, quando rimasi fortemente sorpreso dall'apparizione improvvisa di una grande villa, vicino alla strada.
Scesi dalla bicicletta per vederla meglio. Si ergeva sotto il cielo grigio di novembre, mentre il vento freddo spazzava via le foglie cadute: era una costruzione in mattoni, non rispondente a uno stile particolare, nel mezzo di un vasto giardino, fitto di alberi vecchi.
Ma ciò che la rendeva insolita, ciò che di fatto le conferiva un'inquietante singolarità, da cui scaturiva un profondo turbamento, era il terribile stato di abbandono in cui era stata lasciata. E infatti la villa era proprio abbandonata, giacché uno dei cancelli di ferro era scardinato, e su di una grossa tavola di legno, una scritta in vernice, sbiadita dalla pioggia, annunziava che la proprietà era in vendita. Perciò mi inoltrai nel giardino, in preda a una curiosità frammista a un senso di inquietudine.
La casa doveva essere disabitata da trenta o forse quarant'anni. Durante numerosi inverni, alcuni mattoni si erano staccati dai cornicioni e dai bordi delle finestre, consentendo la proliferazione di muschio e licheni.
I muri erano attraversati da crepe, che come rughe premature segnavano quella che era una costruzione abbastanza solida, ma della quale nessuno si era più preso cura.
Sotto alla porta principale, i gradini di pietra corrosi dal gelo e coperti dalle ortiche e dai rovi, parevano condurre alla soglia della desolazione e della morte.
Ma, più di ogni altra cosa, le finestre nude e glauche promanavano un'atmosfera di malinconia: ormai prive di tende, i vetri erano stati frantumati dalle pietre scagliate da qualche bambino di passaggio, e lasciavano intravedere il vuoto tetro delle stanze, come gli occhi aperti di un cadavere, la cui anima sia estinta.
Intorno alla casa, il vasto giardino era uno scenario di devastazione. Ciò che una volta era stata un'aiuola, era a stento riconoscibile sotto le erbacce cresciute a dismisura; interi sentieri erano stati divorati da piante voraci, la boscaglia era tornata allo stato di foresta vergine: quel giorno, sotto l'ombra opprimente degli alberi antichi, le cui ultime foglie il vento portava via col suo triste lamento, ebbi l'impressione di trovarmi in un cimitero abbandonato.
Vi rimasi a lungo, circondato da quel gemito di disperazione, che sembrava provenire da ogni cosa intorno a me.
Un terrore sordo, un'inquietudine crescente, opprimevano il mio cuore, eppure ero sopraffatto da una compassione ardente, dal bisogno di sapere, e provare pietà per tutta quell'infelicità e quella sofferenza che mi avvolgevano.
Infine mi risolsi a lasciare quel luogo; un po' più avanti, alla biforcazione di due strade, scorsi una specie di locanda, un misero posto dove si poteva bere qualcosa, e vi andai, deciso a soddisfare la mia curiosità, incoraggiando la gente del luogo a chiacchierare.
L'unica persona che vi trovai fu una donna anziana, che tra mille lamentele mi servì un bicchiere di birra. Si lamentava del fatto di trovarsi su una strada dimenticata, dove in un'intera giornata non passavano più di due ciclisti.
Si mise a chiacchierare senza volerlo; mi raccontò la storia della sua vita, rivelò che la chiamavano "mère Toussaint", che era venuta da Vernon col marito per rilevare l'osteria, che al principio gli affari erano andati discretamente, ma poi da quando era rimasta vedova la situazione era andata di male in peggio.
Quando finalmente questo fiume di parole cessò, le chiesi se sapesse qualcosa a proposito della villa lì vicino, e lei tutto a un tratto divenne circospetta, e prese a guardarmi con diffidenza, come se stessi cercando di strapparle un terribile segreto.
"Ah, vi riferite alla Sauvagière, la casa degli spettri, come la chiamano qui intorno... Non ne so niente, Monsieur: è accaduto prima che venissi qua. La prossima Pasqua, saranno esattamente trent'anni, e il fatto risale quasi a quarant'anni fa. Quando ci trasferimmo qui, la villa era già pressappoco nello stato in cui si trova adesso. Le estati e gli inverni si succedono, è lì dentro, oltre a qualche pietra che cade ogni tanto, è tutto immobile."
"Ma", chiesi, "come mai nessuno l'ha comprata, visto che è in vendita?"
"Ohm come mai? E chi lo sa?... Beh, corrono tante voci..."
Alla fine riuscii a conquistare la sua fiducia, e apparve evidente che lei morisse dalla voglia di raccontarmi cosa la gente dicesse. Mi disse, innanzitutto, che nessuna ragazza del villaggio avrebbe mai osato avventurarsi nei giardini della Sauvagière dopo il crepuscolo, perché si diceva che di notte vi vagasse un'anima in pena.
Espressi allora il mio stupore per il fatto che si desse credito a una storia simile in un luogo tanto vicino a Parigi. Lei alzò le spalle, e cercò di mascherare il suo indicibile terrore, sforzandosi di apparire tranquilla.
"Ma giudicate voi, Monsieur. Perché non è stata venduta? Ho visto tanti probabili acquirenti andare e venire, ma se ne vanno sempre via alla svelta, e nessuno è mai tornato una seconda volta. E una cosa è certa: se qualche visitatore osa penetrare nella villa, accadono cose straordinarie. Le porte sbattono fragorosamente da sole, come se soffiasse un vento terribile; dai sotterranei giunge il suono di pianti, lamenti e singhiozzi; e se qualcuno ha il coraggio di rimanerci ancora un po' una voce che strazia il cuore comincia a chiamare senza arrestarsi "Angeline! Angeline! Angeline!", in un tono così angoscioso, da gelare il midollo nelle ossa… Sono fatti provati, nessuno può negarli."
Vi assicuro che cominciai a provare una certa agitazione, e un brivido mi corse lungo la schiena.
"Ma chi è Angeline?"
"Monsieur, vedo che siete deciso a conoscere l'intera storia, ma vi ripeto che io, personalmente, non so nulla."
Cionondimeno, finì col raccontarmi ogni cosa. Una quarantina di anni prima, più o meno nel 1858, proprio all'epoca in cui il glorioso Secondo Impero celebrava una vittoria dopo l'altra, Monsieur de G., il quale ricopriva una carica al Palazzo delle Tuileries, perse sua moglie.
Aveva avuto da lei una figlia, che allora aveva circa dieci anni. Si chiamava Angeline, ed era di una bellezza indescrivibile, l'immagine vivente di sua madre.
Due anni dopo Monsieur de G. si risposò, e la seconda moglie, vedova di un generale, era anch'essa nota per la sua bellezza. La gelosia manifesta e terribile crebbe tra Angeline e la sua matrigna: l'una schiacciata dal dolore di vedere sua madre già dimenticata, e il suo posto in famiglia così presto usurpato da un'estranea; l'altra ossessionata dalla follia, per aver costantemente davanti a sé il ritratto vivente della donna, il cui ricordo non sarebbe mai riuscita a cancellare.
La "Sauvagière" apparteneva alla nuova Madame de G. e fu lì che una sera, così narrava la storia, nel vedere suo marito abbracciare affettuosamente la figlia, furiosa di gelosia, Madame de G. colpì la ragazzina con una tale violenza, che la poveretta cadde a terra morta, col collo spezzato.
La fine della storia era raccapricciante. Il padre, pazzo di dolore, pur di salvare l'assassina, acconsentì a seppellire lui stesso la figlia in una delle cantine della villa. Il corpo vi rimase nascosto per anni, e fu fatta circolare la voce che la bambina fosse andata a stare presso una zia. Poi, un giorno, un cane prese ad abbaiare e a scavare febbrilmente nel terreno, e il crimine venne alla luce: tuttavia, in seguito, lo scandalo fu soffocato dalle autorità delle Tuileries.
Monsieur e Madame de G. erano poi morti entrambi, ma Angeline ogni notte tornava per rispondere alla voce che la chiamava pietosamente da quel mondo misterioso, oltre l'oscurità.
"Nessuno negherà ciò che vi ho detto", concluse la donna. "è vero, come è vero che sto qui."
Intimorito, ascoltai il suo racconto, turbato dall'assoluta mancanza di plausibilità, eppure affascinato dalla cupa e violenta singolarità di quel dramma. Avevo sentito parlare di Monsieur de G. e mi pareva di aver saputo che si fosse risposato e che poi una tragedia familiare lo avesse colpito.
Era vero? Che storia tragica e commovente, lasciarsi travolgere dalla passione, al punto di abbandonarsi a una frenesia esasperata, il delitto passionale più orribile che mai si possa immaginare: una ragazzina bella come un giorno d'estate, amata e coccolata, colpita a morte dalla sua matrigna, e poi seppellita da suo padre nell'angolo di uno scantinato!
Il più sottile degli orrori!
Desideravo saperne di più, parlarne, ma mi domandavo a quale fine. Perché non ripartire, portando con me quel racconto terrificante, frutto della fantasia popolare?
Rimontai sulla bicicletta e lanciai un ultimo grido alla "Sauvagière". La notte stava calando, e la casa desolata alle mie spalle mi guardava attraverso gli occhi senza vita delle finestre tetre e vuote, mentre il vento autunnale sibilava lamentoso tra gli alberi rinsecchiti.
Perché mai quella storia si fissò nella mia mente fino a diventare una tormentosa ossessione? è uno di quei misteri dell'intelletto ai quali è arduo dare una spiegazione. Mi dissi che miti del genere dovevano essere assai diffusi nelle zone rurali, e che quello in particolare non poteva suscitare in me alcun interesse particolare.
A dispetto di ciò, la bambina morta ossessionava i miei pensieri: dolce, tragica Angeline, chiamata ogni notte per quarant'anni da una voce che geme tra le stanze vuote di una casa abbandonata!
Così, durante i primi due mesi dell'inverno, mi accinsi a condurre delle ricerche. Era ovvio che, se la notizia di una scomparsa tanto drammatica si fosse diffusa, i giornali dell'epoca ne avrebbero certamente parlato. Cercai tra le collezioni alla Libreria Nazionale, ma senza successo: non un rigo era in qualche modo connesso a quella storia.
Allora mi rivolsi a delle persone che in quel periodo avrebbero potuto sapere qualcosa, ad alcuni impiegati delle Tuileries: nessuno fu in grado di darmi una risposta esauriente, ma ricevetti soltanto informazioni contraddittorie.
Avevo praticamente perso ogni speranza di scoprire la verità, sebbene fossi ancora tormentato dal mistero, quando, una mattina, il destino mi guidò verso una nuova traccia.
Ogni due o tre settimane, in virtù di un sentimento di amicizia, affetto e ammirazione, era mia abitudine far visita all'anziano poeta V.; che morì lo scorso aprile, all'età di settant'anni.
Da molti anni le sue gambe erano paralizzate ed era costretto in una poltrona, nel suo piccolo studio di Rue Assas, la cui finestra affacciava sui Jardins de Luxembourg. Si avviava verso la fine di una vita di sogni: era vissuto grazie alla sua immaginazione, e si era creato un palazzo favoloso, entro il quale, lontano dal mondo reale, aveva amato e sofferto. Chi di noi non ricorda il suo volto gentile e delicato, i capelli bianchi dai riccioli infantili, l'innocenza giovanile di quegli occhi di un azzurro pallido?
Sarebbe falso affermare che non dicesse mai la verità, ma sta di fatto che lui inventava continuamente, e nessuno era mai in grado di capire dove finesse per lui la realtà e cominciasse l'illusione.
Era un vecchio affascinante, che da lungo tempo aveva cessato di prendere parte alla vita di tutti i giorni, i cui discorsi spesso mi turbavano profondamente, quasi offrissero una vaga e discreta rivelazione dell'ignoto.
Cosicché quel giorno mi ritrovai a chiacchierare con lui presso la finestra, nella sua minuscola stanza, riscaldata come sempre da un fuoco sfavillante. Fuori il gelo era rigido, e i Jardins de Luxembourg ammantati da un bianco tappeto di neve, offrivano agli occhi un vasto orizzonte di purezza immacolata.
Per qualche motivo, a un tratto presi a parlargli della Sauvagière e a raccontargli la storia che ancora mi angustiava: il secondo matrimonio del padre, la gelosia malvagia della matrigna nei confronti della ragazzina che era il ritratto vivente della madre, la sepoltura segreta nel sotterraneo.
Mi ascoltò con quel sorriso tranquillo, che mostrava anche nei momenti di tristezza. Seguì un silenzio; i suoi occhi azzurri guardavano lontano, oltre le bianche distese dei Jardins de Luxembourg, e l'ombra di una visione, che promanava da lui, parve tremolargli intorno, incerta.
"Conoscevo molto bene Monsieur de G.", disse lentamente. "Conoscevo la sua prima moglie, una donna divinamente bella, e conoscevo anche la seconda, la cui bellezza era assolutamente abbagliante; le amai entrambe appassionatamente, quantunque non lo avessi mai rivelato. Conoscevo anche Angeline, che era ancora più adorabile, e chiunque l'avrebbe venerata... Ma le cose non andarono esattamente nel mono in cui mi avete raccontato."
Cominciai a sentirmi molto eccitato. Era dunque lì, la verità inattesa, che avevo ormai disperato di conoscere? Stavo per scoprire tutto? Fui subito pronto a credere a ciò che mi avrebbero detto, e replicai.
"Oh, mio caso amico, che servigio mi renderete! Finalmente la mia povera testa si acquieterà. Presto, ditemi tutto, devo sapere."
Ma non mi ascoltò: il suo sguardo era ancora perso lontano. Quando alla fine parlò, fu come in un sogno, come se desse vita a quelle cose e a quegli esseri evocati per me.
"Angeline, all'età di dodici anni, possedeva già il potere di amare come una donna, con tutta la relativa capacità di provare gioia e dolore. Fu lei a diventare pazza di gelosia nei confronti della seconda moglie di suo padre, che vedeva ogni giorno tra le sue braccia. Soffriva alla vista di quel terribile tradimento da parte della nuova coppia. Stavano offendendo sua madre, ed era lei stessa a torturarsi, era il suo cuore che era ferito. Ogni notte sentiva sua madre chiamarla dalla tomba; e una notte, decisa a raggiungerla, incapace di sopportare ancora il dolore e già colpita a morte dall'eccesso di amore, quella ragazzina di dodici anni si trafisse il cuore con un pugnale."
"Mio Dio!", gridai. "Come può essere?"
Proseguì senza darmi ascolto.
"Immaginate con quale terrore, con quale orrore, la mattina dopo Monsieur e Madame G. scoprissero Angeline, nel suo letto, con un pugnale conficcato nel petto fino al manico! Il giorno dopo avrebbero dovuto partire per l'Italia, e non c'era nessuno nella villa oltre all'anziana governante che aveva allattato la bambina. Temendo di essere accusati di un delitto, si fecero aiutare dalla vecchia governante a seppellire il giovane corpo; e difatti lo seppellirono in un angolo della serra dietro la casa, ai piedi di un gigantesco arancio. E fu lì che venne trovato, quando la vecchia governante raccontò la storia, dopo la morte di entrambi i genitori."
A questo cominciò a sorgermi qualche dubbio, e lo guardai preoccupato, domandandomi se stesse inventando.
"Ma", chiesi, "credete che Angeline possa davvero ritornare ogni notte, per rispondere a quel pianto straziante, a quella voce misteriosa che la chiama?"
"Ritornare, amico mio? Ah, ma tutti ritornano. Perché mai l'anima della povera bambina non dovrebbe ritornare nel luogo in cui ha amato e sofferto? Se una voce la chiama, allora ciò significa che la vita non è ancora ricominciata per lei; ma ricomincerà, siatene certo, perché tutto ricomincia. L'amore non muore mai, e neanche la bellezza... Angeline! Angeline! Angeline! Un giorno rivivrà tra i fiori, sotto il sole."
Decisamente la cosa non mi convinceva, né mi confortava. Il mio vecchio amico V., il poeta bambino, non aveva fatto altro che accrescere la mia agitazione. Era chiaro che stesse inventando. Ma forse, come tutti i profeti, era capace di presagire la verità.
"Siate certo che tutto ciò che mi avete detto corrisponda alla verità?", mi azzardai a chiedergli con una risata.
"Naturalmente. è la verità. La verità non è forse tutt'uno con l'Infinito?"
Non lo avrei mai più rivisto, perché un po' di tempo dopo fui costretto a lasciare Parigi. Rimane comunque nella mia memoria lo sguardo penoso, perso nella bianca distesa dei Jardins du Luxembourg, quieto nella certezza del suo sogno infinito, mentre io ero ancora torturato dal desiderio di stabilire, una volta per tutte, quel fenomeno inafferrabile, la verità.
Trascorse un anno e mezzo. Avevo dovuto viaggiare: la mia vita era stata agitata da molte gioie e da molte sofferenze, tra i mari tempestosi che conducono noi tutti verso sponde sconosciute. Ma sempre, ad una certa ora, prima distante, poi insinuandosi nella mia coscienza, sentivo quel grido disperato "Angeline! Angeline! Angeline!" E mi lasciava tremante, pieno di dubbi, tormentato dal bisogno di sapere. Non riuscivo a dimenticare, e per me non esiste nulla di peggio dell'inferno dell'incertezza.
Non so dire come accadde che una splendida sera di giugno mi ritrovassi ancora una volta sulla mia bicicletta, nel viottolo deserto, presso la "Sauvagière". Avevo desiderato consapevolmente di rivederla? Oppure l'istinto mi aveva indotto a deviare dalla via maestra e a tornare da quelle parti?
Erano quasi le otto ma, alla fine di una delle giornate più lunghe dell'anno, il cielo brillava ancora, mentre il sole tramontava trionfalmente, senza una nuvola, un'immensità di azzurro e oro. E l'aria, com'era dolce e delicata, che profumo soave emanava dall'erba e dagli alberi, che sottile delizia la pace immensa dei campi!
Come era accaduto la prima volta che mi ero trovato dinanzi alla "Sauvagière", sbalordito, saltai giù dalla bicicletta. Per un istante esitai: ma era proprio lo stesso posto?
Un bel cancello nuovo luccicava nella luce del sole del tramonto, i muri dei giardini erano stati riparati, e la casa, che a stento intravedevo dietro gli alberi, sembrava aver ritrovato la gaiezza gioiosa della gioventù. Era dunque questa la resurrezione promessa?
Angeline era tornata alla vita, rispondendo a quella voce distante?
Ero sulla carreggiata, paralizzato, quando il rumore di un passo strascicato mi fece trasalire.
Era la "mère Toussaint", che riportava a casa la mucca da un campo vicino.
"E così, non hanno avuto paura?", chiesi accennando alla casa.
Mi riconobbe e fermò l'animale.
"Ah, Monsieur, c'è gente che non ha timore neanche di Dio. è un anno che hanno comprato la villa. L'ha preso un pittore, l'artista B. e sapete come sono gli artisti."
Dopo di che lasciò avanzare la mucca, e aggiunse scuotendo la testa: "Beh, staremo a vedere quello che accadrà."
Il pittore B., quell'artista delicato e ricco d'inventiva, che aveva fatto il ritratto a tante deliziose parigine! Lo conoscevo appena: ci eravamo stretti la mano a teatro, per cortesia; sono luoghi in cui ci si imbatte in tanta gente!
Improvvisamente fui sopraffatto dal desiderio irresistibile di entrare, di confessargli tutto, di implorarlo di dirmi se sapesse la verità su quella "Sauvagière", il cui mistero mi ossessionava. E, senza indugiare, senza badare al mio abbigliamento da ciclista, che comunque il costume attuale comincia a tollerare, appoggiai la bicicletta al tronco di un vecchio albero, coperto di muschio.
Al suono chiaro del campanello, la cui leva aveva colpito accidentalmente il cancello, apparve un domestico il quale, allorché gli consegnai il mio biglietto da visita, mi pregò di attendere nel giardino.
Il mio stupore crebbe quando mi guardai intorno. La facciata della villa era stata riparata: non vi erano più crepe, né mattoni staccati. I gradini, adornati con delle rose, erano di nuovo la soglia di un'accoglienza gioiosa. Le finestre, vive, ora sorridevano, comunicando la gioia della casa, dietro le bianche tende di pizzo.
Quanto al giardino, era stato liberato dalle ortiche e dai rovi, l'aiuola era riapparsa, simile a un gigantesco bouquet profumato, i vecchi alberi avevano conosciuto una nuova giovinezza nella loro quiete vecchiaia, sotto la pioggia dorata dello splendido sole primaverile. Quando il domestico riapparve, mi condusse in salotto, e mi informò che il suo padrone si era recato nel villaggio vicino, ma che sarebbe tornato di lì a poco.
Ero pronto ad attendere per ore. Trascorsi il tempo esaminando la stanza nella quale mi trovavo: era arredata lussuosamente con grossi tappeti, e le tende di cretonne si intonavano al massiccio divano e alle profonde poltrone. Queste tappezzerie erano così ampie, che, quando tutto a un tratto, sopraggiunse il crepuscolo, fui colto di sorpresa. Poco dopo fu quasi completamente buio.
Non so quanto aspettai. Evidentemente si erano dimenticati di me, dato che non mi fu portata neanche una lampada. Seduto tra le ombre, cominciai a rivivere tutta la tragica storia, in un sogno ad occhi aperti. Angelina era stata uccisa? O si era trafitta il cuore con un pugnale? Devo confessare che in quella casa, posseduta dagli spettri, sulla quale l'oscurità si era abbattuta ancora una volta, cominciai ad avere paura. Quello che dapprima era solo un senso di inquietudine, un lieve brivido, cominciò poi a crescere oltre misura, fino a diventare un terrore irrazionale che gelò tutto il mio essere.
In un primo momento mi parve di udire dei suoni incerti, provenienti da lontano, probabilmente dalle profondità dei sotterranei: un gemere incerto, singhiozzi soffocati, passi pesanti e spettrali. Qualunque cosa fosse, cominciò ad arrivare su dal basso, ad avvicinarsi, fino a che tutta la casa, nella sua oscurità, parve invasa da una terribile angoscia.
Improvvisamente, risuonò l'orribile grido "Angeline! Angeline! Angeline!", e crebbe al punto che mi sembrò di avvertire un alito freddo sul viso. Una delle porte del salotto si aprì rumorosamente, ed Angeline entrò e attraversò la stanza senza vedermi. La riconobbi nella luce fioca che era penetrata insieme a lei dalla sala fuori.
Era proprio la bambina morta di dodici anni, incredibilmente bella, con i suoi deliziosi capelli biondi sulle spalle, vestita di bianco, il bianco della terra dalla quale tornava ogni notte. Passò in silenzio, assorta, e svanì attraverso un'altra porta, mentre, ancora una volta, ma più lontana, la voce chiamava "Angeline! Angeline! Angeline!"
Rimasi lì in piedi, la fronte sudata, ogni pelo del mio corpo sollevato dal vento terribile che promanava dall'enigma.
Poi, quasi immediatamente, quando il servitore giunse con una lampada, mi resi conto che l'artista B. era lì, mi stava stringendo la mano, e si scusava per avermi fatto attendere così a lungo. Senza provare in alcun modo a proteggere il mio amor proprio, mi affrettai a raccontargli la mia storia, scosso ancora da brividi. Dapprima mi ascoltò senza stupirsi minimamente, poi, allegramente, mi rassicurò alla svelta.
"Mio caro, probabilmente ignoravate che io fossi un cugino della seconda Madame de G.
Povera donna! Accusata dell'assassinio di quella bambina che lei amava e che pianse quanto il padre! Soltanto una parte di questa storia è vera: la povera creatura morì proprio qui, ma non per sua mano, per amor del cielo, ma per una febbre improvvisa. Il dolore fu così forte, che i genitori, provando orrore per questa casa, desiderarono non tornarci mai più. Ciò spiega perché la villa fosse rimasta disabitata per tanto tempo mentre loro erano in vita. Quando morirono, seguì una serie interminabile di procedure legali, che ne impedirono la vendita. Io la volevo, l'avevo desiderata per molti anni; e posso assicurarvi che non abbiamo mai visto fantasmi qui!"
Il brivido mi riassalì quando mormorai:
"Ma ho appena visto Angeline, era qui, solo un momento fa... quella voce terrificante la chiamava, ed è passata di qui, proprio attraverso questa stanza..."
Mi guardò preoccupato, credendo forse che stessi uscendo di senno. Poi all'improvviso scoppiò a ridere, la risata sonora di un uomo felice.
"Quella che avete visto è mia figlia, Monsieur de G. le fece da padrino, e volle chiamarla Angeline per devozione alla memoria. Deve averla chiamata certamente sua madre, e lei è passata attraverso questa stanza."
Allora aprì lui stesso la porta e chiamò ancora: "Angeline! Angeline! Angeline!"
La bambina ritornò, viva, vibrante di gaiezza. Era lei, con l'abito bianco, i deliziosi capelli biondi sulle spalle, così bella, così radiosa di speranza, da sembrare la primavera stessa, recante in forma di gemma la promessa dell'amore, la perenne felicità della vita.
Che spettro incantevole questa bambina, rinata alla vita dall'altra che era morta. La morte era stata vinta. Il mio vecchio amico, il poeta V., non aveva mentito; nulla è perduto per sempre, la bellezza e l'amore, tutto, ricomincia. Le loro madri le chiamano, queste ragazzine di oggi, queste amanti di domani ed esse rivivono nel sole, tra i fiori. La casa era stata prigioniera della promessa di questo risveglio; ora, era ancora più giovane e felice nella gioia riscoperta della vita eterna.