Sono così furente che mi metterei a urlare. Quella mattina sono entrata, come sempre, nella sua camera. In silenzio, se non proprio in punta di piedi. Il parquet sconnesso ha cigolato, ma lei non si è mossa, naturalmente, lei dorme come un ghiro. Arrivata in fianco al suo letto mi sono fermata a guardarla. Era sdraiata sulla schiena, con la sua pelle gialla e grinzosa persino sulle palpebre, la sua carne floscia attorno al collo, la sua bocca sdentata ridotta a una fessura arricciata. Che odio quando sono costretta a baciarla! Ci metto un giorno intero a togliermi quella sensazione dalle labbra.
Il cuscino era a terra, tanto per cambiare, nonostante tutto quello che ho detto in proposito. Avevo i guanti e la giacca di renna. Ho raccolto il cuscino da terra e l'ho afferrato saldamente per le due estremità, tenendolo ben teso. Mi sono avvicinata ulteriormente al suo letto, fino quasi a sfiorarlo. Il resto l'ho fatto solo con la fantasia, perché si trattava solo di una prova. Per prima cosa dovevo assicurarmi di essere davvero in grado di farlo. Comunque nella mia mente vedevo tutto come se stesse accadendo realmente. Sentivo persino i muscoli contrarsi leggermente, d'istinto.
Abbassavo il cuscino, glielo premevo di piatto sulla faccia, con un ginocchio puntato sul letto e le spalle curve nello sforzo, le nocche di entrambe le mani affondate nel materasso. Un attimo di assoluto silenzio, poi le sue mani ossute si proiettavano in avanti, mi afferravano le braccia graffiandomi la giacca di renna, e cercavano con uno sforzo disperato di allontanarmi i polsi. Una lotta silenziosa, quasi immobile, poi, finalmente, le vecchie mani cominciavano a lasciare la presa...
All'improvviso mi è balenata nella mente una nuova immagine, una possibilità a cui non avevo mai pensato fino a quel momento. All'improvviso mi è sembrato quasi di sentirli, i suoi piedi che battevano freneticamente contro il materasso. Velocissimi. Con la stessa frenetica rapidità di un bambino di due anni preso da una crisi di stizza. E che fragore facevano!
Non potevo sopportarlo, anche se esisteva solo nella mia immaginazione. Mi sentivo il sangue defluire dalla faccia. Forse ho fatto un rumore, chissà... e non mi piace pensare all'espressione che doveva avere la mia faccia. Comunque quando mi sono voltata verso di lei, fino a quel momento avevo tenuto lo sguardo fisso in avanti, quegli odiosi occhi azzurri stavano frugando nei miei.
"Che cosa stai facendo?", mi ha chiesto con la sua voce fredda incolore. Per qualche attimo sono rimasta ancora attanagliata dal panico, poi sono riuscita a parlare.
"Niente, mamma", le ho detto con voce tranquilla. "Ho deciso di uscire presto per comperare qualcosa."
Questo per lo meno poteva spiegare perché portassi la giacca e i guanti. "E ho pensato di mettere un po' in ordine la tua stanza prima."
"Non è che tu possa mettere molto in ordine finché ci sono dentro io."
"No, infatti. è stata un'idea sciocca da parte mia. Mi dispiace di averti disturbata... cerca di dormire ancora un po'."
"Lo sai che non riesco più a dormire se qualcuno mi sveglia."
Evidentemente stava cercando di prolungare la conversazione nella speranza di riuscire a capire che cosa stesse succedendo.
"Scusami, mamma. Tornerò presto a prepararti la colazione."
Poi sono andata a fare un giretto per i negozi anche se in realtà non avevo nessuna spesa da fare. Ho comperato delle graffette.
è una cosa esasperante, però. Tutto così perfetto, così semplice... e io non riesco a farlo. E pensare che non sembrerebbe nemmeno morta per soffocamento, ma per un cedimento del cuore. è stato il dottore stesso a metterci in guardia, e ovviamente chiamerei proprio lui, a cose avvenute. Poi telefonerei ad Al: "Sono entrata in punta di piedi nella stanza di tua madre per sentire se voleva fare colazione, e aveva un'aria strana, e... Oh, Al, è morta!"
Era quasi vero, e per quando fossero arrivati gli altri sarebbe stata vera del tutto. Mi sarei immaginata cento volte la scena, come fosse un film, finché non ci avessi creduto persino io, o quasi. Sono capace di mentire. Ma il fatto è che non sono un'assassina, sono solo una donna di casa.
Ho trentadue anni, sono alta un metro e sessantadue, ho i capelli ondulati, gli occhi azzurri, e sono molto innamorata di mio marito. Sono una di quelle donne che "fanno la casa", come si suol dire, e voglio che la mia casa torni ad essere esattamente com'era prima che lei arrivasse.
Non che facessimo un gran che allora, Al ed io. La maggior parte delle sere stavamo in casa, a leggere nel soggiorno. O, se era primavera o estate, in giardino, finché non si faceva buio. Spesso giocavamo a bridge con i Dyke... che adesso non vediamo quasi più. E qualche volta andavamo al cinema. Di giorno pulivo, facevo la spesa, cucinavo. Tutto qui. Ma mi piaceva. Mi ero "creata la mia casa", per mio marito e per me. E adesso la rivoglio.
è tutto così diverso adesso! L'altra mattina stavo lavando i piatti. Lei era seduta nel portico dietro casa, "a prendere un po' d'aria"... per usare un'espressione che odio. Non la vedevo realmente, ma potevo ben immaginarmela... fissava la legna accatastata nel cortile, con le mani nel grembo, e pensava a me. Così come io pensavo a lei. Per molto tempo è rimasta perfettamente silenziosa, poi si è schiarita la voce.
Il fatto di schiarirsi la voce non significa niente per voi, vero? Ma per me sì. E lei lo sa. Lo fa apposta, con cattiveria, con malizia, per ricordarmi che lei c'è, che esiste, che divide con me la mia casa, e mio marito. Adesso capite cosa intendo dire? Mi pare di sentirla, di percepirla, ad ogni ora del giorno e della notte! Persino nella nostra camera da letto, dove non entra mai.
Ma la ucciderò, questo è certo! Al accetterà la cosa... deve odiare quanto me questa situazione. Dura da quattro anni. è cominciata da quando lei ha messo piedi in questa casa.
Avevamo un impegno con i Crowley, preso poco prima che lei arrivasse: un weekend nella loro casa sul lago. E abbiamo mantenuto l'impegno, perché lei insisteva, "Andate pure, ragazzi! Starò benissimo da sola, non preoccupatevi!", diceva.
"Ma ne sei proprio sicura, mamma?", le aveva chiesto Al. "Sai, in fondo un weekend non è poi così importante, e se..."
"Certo che ne sono sicura! Adesso non voglio più niente... forza, andate!"
Quando siamo tornati a casa, la domenica sera, c'era lì il dottore. Davanti alla casa c'era un'ambulanza, e dentro c'era un infermiera con una tenda ad ossigeno. Un attacco di cuore. Io lo so che l'ha fatto apposta... non che abbia fatto proprio la commedia, ma l'attacco in qualche modo se l'era procurato lei. Nel tardo pomeriggio aveva telefonato a una vicina, non riusciva quasi a parlare. La nostra vicina si era precipitata da lei, aveva telefonato all'ospedale... e quella era la situazione che abbiamo trovato quando siamo tornati a casa. Lei non ha più avuto nessun altro attacco, e noi non abbiamo più avuto nessun altro weekend. Ne ho parlato con Al proprio qualche giorno fa. "Certo non si può prevedere tutto, premunirsi contro tutto, ma si deve tentare", ha detto lui, "Devo fare in modo che lei viva il più a lungo e il più felicemente possibile." Poi a questo punto mi ha sorpreso aggiungendo: "Però mi rendo conto che la situazione a volte può essere molto pesante per te, Annie..."
Io pensavo che lui non se ne fosse accorto, che non se ne rendesse conto. Invece era chiaro che l'aveva capito... in parte, almeno. Comunque non capirà mai fino in fondo i miei sentimenti, di questo sono più che sicura.
Ho un nuovo piano, veramente perfetto. Si tratterà di una spinta, una spinta improvvisa da qualche punto alto. Una cosa così semplice... chissà perché mi ci è voluto tanto tempo per pensarci! Temevo di non riuscire a mettere in atto nessuno dei piani che mi venivano in mente, poi, di colpo... l'idea luminosa! Non c'è niente di difficile nel dare uno spintone. è tutto finito prima ancora che uno ci possa pensare... una spintarella, ed è fatta. La sentivo trasalire, mi voltavo, e, tac, era già andata all'altro mondo! Il cuore, immagino.
Ma dove lo trovo un punto alto? Lei non esce mai di casa. La scala tra il primo piano e il pianterreno è interrotta da un pianerottolo intermedio, quindi non è una gran caduta, da là sopra. Mi piacerebbe tanto saper programmare meglio le cose, con più logica. Al dice che non saprei proprio cavarmela se non ci fosse lui a fare programmi anche per me. Forse ha ragione lui, ma a me sembra che, in fondo, le cose vadano sempre come vogliono alla fine.
Un esempio? Una sera Al ed io stavamo leggendo nel soggiorno. Sua madre era già a letto. Quel giorno era arrivata una delle mie riviste, e la stavo sfogliando. Ad un certo punto mi sono caduti gli occhi su un articolo che parlava delle "Terrazze della vedova"... fotografie di quelle originali del New England, e disegni di versioni più moderne. Erano così carine! Dei terrazzini perfetti, diceva l'articolo, per prendere il sole o per starci seduti di sera. Un'idea fantastica: una terrazza della vedova con una balaustra all'altezza delle ginocchia!
Il guaio era che Al aveva le sue idee, e me l'immaginavo già che cosa avrebbe detto se gli avessi proposto una terrazza della vedova sulla nostra casa...
Comunque ci ho provato lo stesso. "Guarda, tesoro!" ho cominciato, facendogli sollevare gli occhi dal suo libro. "Non sono carine?" e gli ho indicato l'articolo.
"Sì, sì", ha risposto lui in tono vago. Io gli ho sorriso per invitarlo ad avvicinarsi, ma lui non si è mosso. "Sì, carine", si è limitato a dire. Io ho continuato ad aspettare, a sorridere, e a tener sollevata la rivista. Conosco il trucco: siamo sposati da sei anni. Al sperava che mi accontentassi del suo vago commento e lo lasciassi tornare al suo libro. O che mi alzassi io. Perciò io ho aspettato. E ad un certo punto, dato che Al è un tipo educato, ha fatto per alzarsi. Immediatamente mi sono alzata io, e gli ho portato la rivista. Visto che lui se ne era rimasto comodamente al suo posto, adesso avevo ben il diritto di interrompere la sua lettura! Lui si è appoggiato il libro sulle ginocchia e ha preso la mia rivista.
"Non sono carine?", ho ripetuto inginocchiandomi vicino alla sua poltrona. "Le chiamano le terrazze della vedova."
"Sì, le ho già viste", ha detto Al. "Risalgono ai vecchi tempi della caccia alle balene. Le donne ci stavano di vedetta, aspettando che i loro uomini tornassero dal mare."
"Allora è a questo che servivano!"
"Certo. è per questo che si chiamano così. Il cinquanta per cento delle volte i mariti non tornavano più."
"Be', visto che non c'è pericolo che tu faccia naufragio in ufficio io potrei star su ad aspettare di vederti tornare a casa dal lavoro! E se ne costruissimo una sul nostro tetto?"
A questo punto la sua faccia ha assunto quell'espressione per metà irritata e per metà di compassione che gli uomini riservano alla mancanza di senso pratico delle donne; comunque prima che si voltasse a guardarmi stava già sorridendo. Un sorrisetto divertito, per la verità. "Come no!", ha detto. "Cominceremo domani stesso, magari!"
Ho aspettato tre sere prima di riparlargliene. Stavamo tornando a casa a piedi dal cinema, e non ho attaccato il discorso prima di essere a meno di un isolato da casa nostra, per lasciargli giusto il tempo di esprimere le sue obiezioni, ma non di assumere una posizione rigida al riguardo.
"Pensavo, Al... sarebbe carino avere una terrazza della vedova. Non sarebbe nemmeno difficile costruirla."
A questo punto il mio tono si è fatto eccitato ed entusiasta. "Tu sei così bravo nei lavori manuali, e ci sono già tutti i disegni sulla rivista. Sarebbe così simpatico alla sera! Scommetto che si potrebbe vedere il fiume, e..."
"Ma Annie, prima di tutto...", ha attaccato Al. E io ho continuato ad ascoltare, e ad annuire, e a dire che ero d'accordo.
"Be', era solo un'idea", ho detto alla fine. Eravamo arrivati al nostro portico, e Al aveva già in mano le chiavi di casa. "Hai ragione tu, non sarebbe pratico."
Poi, mentre entravamo in casa, ho aggiunto solo "però, chissà come piacerebbe a tua madre..."
Dopo di che abbiamo dovuto stare zitti, perché sua madre dormiva.
Ci sono voluti meno di due giorni. Al giovedì è arrivata definitivamente la primavera. Il sole era più caldo, più vicino, la terra era umida e tenera, l'aria piena di vita. Al, lo sapevo, non avrebbe visto l'ora di mettersi a costruire qualcosa, qualsiasi cosa. Lui è fantastico nei lavori manuali, e adora il fai-da-te. Il legname ci è stato consegnato il venerdì. è stato accatastato sul prato dietro casa, e ho firmato io stesso la ricevuta.
Quando Al è tornato a casa, gli ho chiesto con un bel sorriso: "A cosa serve tutta questa legna?"
e lui mi ha ricambiato il sorriso.
A questo punto bisognava dirlo a sua madre, e ho lasciato che fosse Al a farlo. Lei, naturalmente, ha borbottato qualcosa riguardo al fatto che il legname fosse stato accatastato sulle aiuole... C'era mai qualcosa che le andasse bene, che incontrasse la sua regale approvazione? Comunque non ne ne importava assolutamente niente, stavolta.
Alla domenica è successo di nuovo. Quel maledetto panico improvviso! Forse mi ero rilassata un po' troppo... era una giornata così straordinaria! Era tutto verde, e vivo, e i suoni che arrivavano dall'esterno erano così nuovi, chiari e dolci... proprio il tipo di giornata a cui si pensa quando qualcuno parla di primavera. Avrebbe potuto essere perfetta.
Al stava lavorando sul tetto sotto il sole, a torso nudo. Sua madre e io eravamo sedute nel prato, sulle sedie a sdraio, lei col giornale della domenica, e io a sgusciare piselli.
Mancavano ancora due ore buone all'ora di cena, e la carne cuoceva senza che io dovessi prestarvi attenzione. Sentivamo la brezza sfiorarci il dorso delle mani, dolce e fresca. Portava con sé dei suoni che non si sentono mai in altre occasioni: l'abbaiare di un cane in lontananza, il cinguettio degli uccelli, il suono morbido, pulito, della legna mentre Al lavorava attorno alla piccola piattaforma già quasi finita sul tetto. Una pausa, poi il rumore improvviso di nuove tavole leggere che cadevano su quelle più solide già al loro posto. Un piccolo borbottio da parte di Al che si metteva in ginocchio, poi il battere ritmico, esperto, del martello che fissava una tavola nel punto giusto. Un tintinnio di chiodi, poi un vivace martellio mentre i chiodi venivano conficcati nel legno, poi un martellio più deciso e distanziato mentre la tavola trovava la sua collocazione. "Vedrai che cade", ha detto ad un certo punto lei, in tono ostile.
"Oh, no, mamma, Al ha l'equilibrio di un gatto", le ho risposto con garbo, sorridendo. La battuta seguente l'ha detta come parlasse a chissà chi, senza nemmeno guardarmi. "Un terrazzone sul tetto... non vedo proprio a cosa possa servire."
"Invece vedrai, mamma, come ti piacerà quel terrazzino!"
Avevo detto la cosa sbagliata. La sua faccia si è irrigidita di colpo. Ogni stimolo da parte mia sortisce lo stesso effetto della corda con cui si cerca di far muovere un mulo. Non ho detto nient'altro, ma ero seccata sia con lei che con me stessa. "Se tu solo sapessi!", ho pensato, poi, all'improvviso, sono stata presa dal panico. Non me l'aspettavo, ma tutt'a un tratto il suono di quel martello, bang, bang, bang, mi sembrava il suono di un martello che costruisse una forca. L'asse successiva ha sfregato contro la piattaforma, è caduta con una specie di rimbombo sulle altre e infine si è sistemata al suo posto. Non sopportavo l'idea di sentire battere il prossimo chiodo, di sentir completare via via la costruzione della forca. Mi sono alzata, ho appoggiato la ciotola sulla sedia a sdraio, e sono corsa in casa.
"Che cosa ti succede?", mi ha gridato Al. Poi alzando ulteriormente il tono di voce mi ha chiamato: "Annie!"
"La carne!", ho strillato, spalancando la porta della cucina.
Una volta dentro, mi sono appoggiata al tavolo, e sono rimasta così, con le mani messe di piatto sulla superficie del tavolo e gli occhi chiusi. "Controllati, controllati", mi sono detta, e dopo qualche attimo il panico era passato. Il martello ha ripreso a battere, pesante, regolare, e io sono stata ad ascoltarlo. "Sì", ho pensato, "una forca. Per lei. Falla bella solida!"
Che debolezza assurda, però, non poter contare su se stessa... Magari morisse per conto suo!
Ma non lo farà di certo. Lei lo sa che io lo desidero. Ed è così cocciuta. Al ha finito la terrazza, è proprio carina, ma lei non si sogna nemmeno di usarla. Domenica sera Al l'ha dipinta di un bel verde chiaro, e al mattino dopo ci siamo saliti, prima che andasse al lavoro. Ci è salita anche sua madre... figurarsi se lei vuol perdersi qualcosa! Ma poi non ha più voluto tornarci. Io ho cercato di non spingerla a farlo, ma a volte non riuscivo proprio a trattenermi. E in questi casi lei faceva un sorrisetto e rimaneva dov'era dicendo: "Vacci tu, cara. Io sto benissimo qui."
Al che io non potevo far altro che salire, e mettermi seduta.
Le cose, però, vanno come vogliono loro. Ad un certo punto ho smesso di parlare della terrazza e ho cominciato a passarci un sacco di tempo. Era davvero un posticino simpatico e un bel giorno la madre di Al ha cominciato a sospettare che mi piacesse starmene alla larga da lei. E magari a sentirsi anche un po' sola. Poi una sera, a cena, Al ha accennato alla terrazza. Io gli ho detto quanto mi piaceva, che pace c'era là sopra, come ci si sentisse isolati dal mondo. Forse è stato proprio quello che ho detto a proposito di tutta quella pace che le ha suggerito l'idea... l'idea di portarci su una radio, magari quella della cucina. Lei lo sa che la ascolto quando faccio da mangiare. Desideravo talmente che lei cominciasse finalmente a salire sulla terrazza che per poco non le ho detto che ero d'accordo. Però sono riuscita a trattenermi.
"Non lo so se è una buona idea portar su la radio, mamma", ho detto invece.
"Non vedo proprio perché non dovremmo portarcela!" ha reagito lei d'istinto. "Anche a me piace sentir certi programmi, a volte, e se vogliamo passare molto tempo là sopra..."
Ero ai settimi cieli. "Vedremo", ho detto in tono distaccato. E più tardi, quando lei se ne è andata a letto, ho detto ad Al "Stasera porta su la radio... prendi pure quella della cucina, tanto non la sento quasi mai."
"Sei un tesoro", ha detto Al e mi ha baciata. Il tesoro è lui!
Adesso la terrazza le piace, e come! Sale in solaio sbuffando e borbottando, si riposa un momento sulla vecchia cassapanca di cedro, poi si trascina sull'altra rampa di scala, fino al tetto. E una volta lì, se ne sta seduta per tutta la mattina col fazzoletto e il ventaglio, finché il sole non comincia a spostarsi ad occidente. Naturalmente mi fa correre su e giù in continuazione, per prenderle la posta, gli occhiali, un bicchier d'acqua, per tutto quello che le viene in mente, insomma.
"Ti dispiace, Annie? Ci andrei io, ma..."
Una volta o l'altra le dirò: "Faccio in un momento", poi la lascerò lì ad aspettare in eterno. Di solito però le rispondo: "Figurati! Tanto dovrei scendere comunque."
E in realtà non mi dispiace, nemmeno un po'. Perché ogni volta che lei fa così, io mi imbestialisco sempre di più. Ed è proprio quello che voglio.
So di non potermi fidare di me stessa, di non poter essere sicura di non fermarmi un attimo prima che la cosa sia realizzata... a meno che io non veda rosso. Io vedo proprio rosso. Alcuni pensano che sia solo un modo di dire, ma non è vero. Quando vado in bestia è come se avessi davanti agli occhi uno strato di cellophan rosso. Vedo proprio rosso, e a quel punto potrei fare qualsiasi cosa.
Credo che ci arriverò molto presto, adesso... per via di quella radio. Le cose vanno come vogliono loro, dico io.
Naturalmente era chiaro che lei l'avrebbe usata, una volta che fosse salita là sopra. Ma il fatto è che a un certo punto ha scoperto un programma particolarmente insopportabile. Va in onda alle dieci, canzoni dei vecchi tempi suonate da un organo, e un tale con una voce odiosa che legge delle poesie orrende. Lei lo sa che alle dieci io ascolto sempre "La donna del destino". L'altro giorno le ho chiesto se le dispiaceva farmelo ascoltare di tanto in tanto, giusto per seguire la storia. Lei ha detto che non le dispiaceva, ma ogni volta che io salgo là sopra dopo aver sistemato i piatti della colazione e aver rifatto i letti, lei è lì seduta ad ascoltare il suo programma. Mai che faccia un gesto, mai che mi proponga di cambiare stazione. Adesso non glielo dico nemmeno più. Me ne sto lì seduta, a ribollire di rabbia. Lei lo sa, e se la gode un mondo.
Da un po' di tempo succede anche un'altra cosa. Spesso mi dimentico di piegare le sedie a sdraio prima di scendere, alla fine della giornata. Il mattino dopo le sedie sono inzuppate di rugiada, e lei deve sedersi sulla balaustra finché non sono asciutte. Ha anche protestato per questo.
Le cose si sistemano proprio da sole. Una di queste mattine le sedie a sdraio saranno di nuovo bagnate. Alle dieci io salirò, e lei sarà lì, seduta sulla balaustra, ad ascoltare quella lagna alla radio.
Io mi siederò accanto a lei, e lei si lamenterà con quella sua voce esasperante per il fatto che anche la sera prima mi sono dimenticata di piegare le sedie. Poi ci sarà il solito silenzio carico di risentimento. Io guarderò prima la radio e poi lei, per farle capire che potrebbe almeno proporre di cambiare programma, una volta tanto.
Lei farà finta di niente, come sempre. Allora io comincerò a sentirmi ribollire, e non farò niente per controllarmi. Anzi, alimenterò la collera ripensando a tutto quello che mi ha fatto. Riandrò col pensiero a questi lunghi anni, e mi ricorderò tutto. Finché all'improvviso... vedrò rosso. Proprio rosso, per un attimo. Poi, se anche fossi presa dal panico... che cosa importa? Chi non sarebbe in preda al panico dopo aver visto la propria suocera cadere dal secondo piano e finire su un vialetto di cemento? Come ho detto, le cose vanno a posto da sole. E se la sarà voluta, questo è certo! Se la sarà proprio voluta, quella vecchia strega!
Adesso non lo so nemmeno io perché ho scritto quello che avete appena letto. Mi ricordo che ho cominciato con l'idea di mettere i miei piani sulla carta. Poi, naturalmente, la cosa si è trasformata, ma io ho continuato a scrivere ugualmente.
L'intenzione era di bruciare tutto, alla fine, invece non l'ho mai fatto. Ho ancora quei fogli e li rileggo in continuazione.
Chissà perché non pensavo un gran che al fatto che Al usasse la terrazza. Naturalmente ci andava, soprattutto nei weekend. Un sabato mattina ci è salito, poco dopo sua madre. La sera prima mi ero dimenticata per l'ennesima volta di piegare le sedie, e lei si è seduta sulla balaustra.
Immagino che questa volta l'attacco di cuore sia stato reale.
Dato che anche Al era seduto sulla balaustra, ma all'estremità opposta del terrazzo, non poteva essere sicura che lui avrebbe fatto in tempo a raggiungerla. Comunque Al ce l'ha fatta. Quasi. Quando lei ha cominciato a cadere, lui ha attraversato il terrazzo ad una velocità che non gli avevo ,ai vista raggiungere prima. Io assistevo alla scena, perché stavo salendo la scala e avevo gli occhi all'altezza del pavimento del terrazzo.
Al l'ha afferrata saldamente per la gonna, sporgendosi dalla balaustra un istante dopo che lei aveva cominciato a cadere nel vuoto. Poi, mentre lei proseguiva nel suo volo, la sua gonna si è tesa al massimo, dando un gran strattone al braccio di Al e facendogli perdere l'equilibrio precario che aveva mentre se ne stava completamente sporto oltre la balaustra.
Le cose vanno come vogliono loro, immagino. Molto tempo dopo che i loro mariti erano spariti in mare, le mogli dei vecchi naviganti probabilmente continuavano a salire sul loro "terrazzo della vedova", come dice il nome. Se ne stavano lì ad aspettare chissà cosa, giorno dopo giorno, giorno dopo giorno, senza alcuna speranza. Esattamente come faccio io.