"Specchio delle mie brame": recensione

Trama: Nella scuola di Dore c'è una nuova compagna di scuola, Luci, e le due ragazze non tardano a diventare grandi amiche. Troppo amiche, anzi. Perché molti pensano che sia colpa di Luci se Dore è tanto cambiata: fredda, egoista, insensibile, perfino crudele, al punto che il suo ragazzo, Stan, decide di lasciarla e la sua amica Gwen non vuole più avere niente a che fare con lei.

E poi c'è lo specchio, il misterioso specchio che Luci le ha regalato e che riflette un viso dall'espressione diabolica…

Un romanzo appassionante, una fiaba nera e perfida dalla conclusione imprevedibile.

 

Commento di Lunaria: Era da molti anni che volevo leggere "Specchio delle mie brame", non solo per la copertina intrigante, forse la più bella di tutta la serie dei "Super Junior Horror", ma anche per la trama (lo specchio magico e maligno non è stato così sfruttato nella narrativa e nella cinematografia horror, anche se non mancano film al riguardo); eppure, così raro da trovare! Alla fine ho provato a cercarlo in biblioteca senza molta speranza ed incredibilmente lo hanno trovato in un'altra biblioteca. Quando mi è arrivata la mail che il libro era arrivato, sono persino uscita in una giornata freddissima (poco dopo ha nevicato) pur di leggerlo subito e in effetti è molto breve (poco più di 100 pagine) e l'ho finito in un pomeriggio.

Tanta attesa per questo libro: ne valeva la pena? 

Solo in parte.

La storia è originale ma lo stile narrativo è troppo sintetico, didascalico e scarno e le scene horror (quando Dore si guarda nello specchio) che sono la trovata innovativa del romanzo, sono poche. Non viene spiegato perché Luci sia lì (anche se riusciamo a capire chi sia realmente, e qui e lì l'autore ha messo degli indizi che rimandano al diabolico) e anche i rapporti tra Dore e il fidanzato e poi l'amica si susseguono senza un filo logico, con dettagli o scene che risultano superflui in un romanzo horror (tra l'altro i personaggi non sono neanche granché caratterizzati e restano piatti ed amorfi), anche se la trama procede scorrevole. 

Peccato: perché con uno stile di scrittura meno scarno e qualche dettaglio horror in più sarebbe stato sicuramente un romanzo avvincente.

Così com'è, mi ha un po' deluso ma nonostante le pecche, resta comunque una bella storia che consiglio di leggere.

"Cautamente, Dore depose sul comodino lo specchio di plastica. Poi sollevò il pesante specchio d'argento. Il mostro era sparito. Le ricambiava lo sguardo la più bella ragazza del mondo. Pelle bianca come la neve, labbra rosse come ciliegie, occhi azzurri come un giorno d'estate, capelli splendenti come il sole. Era una principessa da fiaba. "Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?", recitò Dore. E scoppiò a ridere. Rise e rise e rise."

Vedi anche https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/lhorror-non-ha-eta.html

"L'Uccell del Gro" e "Il Castello del Sangue" (Barbablu in un'altra versione)

C'era una volta uno stregone che si trasformava in poveraccio, andava a chiedere l'elemosina nelle case  e acchiappava le belle ragazze. Nessuno sapeva dove le portava perché non si rivedevano più.

Un giorno comparve alla porta di un uomo che aveva tre belle figlie; sembrava un povero mendicante malconcio e sulla schiena portava una gerla come se gli servisse a raccogliere le elemosine.

Chiese la carità di un boccone, e quando la maggiore delle tre figlie uscì con un pezzo di pane la sfiorò appena, ma bastò per farla saltare dentro la gerla.

Poi si allontanò a gran passi e la portò nella sua casa, che era in mezzo a una foresta buia. In questa casa tutto era splendido e lo stregone dava alla fanciulla qualsiasi cosa volesse.

"Tesoro mio", disse, "a casa mia starai bene, qui puoi avere tutto quello che brama il tuo cuore."

Passò così qualche giorno, poi disse: "Devo partire e lasciarti sola per un po', Queste sono le chiavi di casa; puoi andare dove vuoi e guardare tutto quello che ti pare eccetto la stanza che si apre con questa chiavetta; lì ti proibisco di entrare, pena la tua vita."

Le consegnò anche un uovo dicendo: "Tienimelo da conto, anzi portalo sempre con te perché perderlo provocherebbe una gran sciagura."

Lei prese la chiave e l'uovo e promise di far tutto bene.

Quando lo stregone fu partito, girò la casa da cima a fondo e guardò ogni cosa. Le stanze splendevano d'oro e d'argento, una magnificenza simile non se l'era mai sognata. 

Ma alla fine giunse alla porta proibita: avrebbe voluto tirar dritto, ma la curiosità non le dava pace. 

Guardò la chiave: era una chiave come un'altra; la infilò nella serratura e la girò appena appena; ed ecco, la porta si spalancò.

E cosa vide appena entrò?

Un grosso catino insanguinato.

Stava al centro della stanza e dentro c'erano corpi umani, tagliati a pezzi; accanto si vedeva il ceppo con sopra la mannaia scintillante.

Lo spavento fu tale che l'uovo le sfuggì di mano e cadde nel catino.

Lo tirò fuori subito e cercò di pulirlo dal sangue, ma era inutile: raschiava e sfregava, ma dopo un attimo ricompariva.

Poco tempo dopo l'uomo fece ritorno e la prima cosa che le chiese fu la restituzione della chiave e dell'uovo.

La fanciulla glieli porse tremando e dalle macchie rosse sull'uovo egli vide che era stata nella camera del sangue.

"Ci sei andata contro la mia volontà, ci tornerai contro la tua, la tua vita è finita", disse.

La gettò a terra, la trascinò per i capelli fino al ceppo dove le tagliò la testa e la fece a pezzi mentre il sangue scorreva dappertutto, infine la buttò nel catino sopra le altre.

"Ora vado a prendermi la seconda", disse lo stregone.

Andò alla solita casa trasformato in pover'uomo e chiese l'elemosina.

Fu la seconda figlia a uscire con un pezzo di pane, lui l'acchiappò come la prima con un solo lieve tocco e se la portò via.

Non le andò meglio: cedette anche lei alla curiosità, aprì la camera del sangue, ci guardò dentro, e al ritorno dello stregone venne uccisa anche lei.

Adesso toccava alla terza sorella, che però era giudiziosa e accorta.

Quando lo stregone le ebbe dato l'uovo e la chiave prima di partire, per prima cosa mise l'uovo al sicuro, poi fece il giro della casa e da ultimò andò nella camera proibita.

Cosa vide! Le sue sorelle assassinate e fatte a pezzi nel catino!

Ma tolte le membra di lì, riuscì a metterle ciascuna a suo posto e quando ci furono tutte, cominciarono a muoversi, si ricongiunsero e le due fanciulle riaprirono gli occhi: erano tornate in vita!

Allora si abbracciarono felici.

Quando lo stregone tornò, subito chiese la chiave e l'uovo e non riuscendo a trovare traccia del sangue nell'uovo, le disse: "Hai superato la prova, sarai la mia sposa."

Adesso non aveva più potere su di lei e doveva fare quello che voleva la fanciulla.

"D'accordo", rispose lei, "ma prima devi portare un cesto pieno d'oro e d'argento ai miei genitori, e portarlo tu stesso sulle spalle; intanto io farò i preparativi per le nozze."

Poi corse dalle sorelle che aveva nascosto in uno sgabuzzino e disse loro: "è arrivato il momento, io vi salverò. E sarà lui stesso, questo scellerato, a riportarvi a casa. Ma appena sarete a casa, mandate della gente in mio aiuto."

Le mise tutte e due nel cesto e le cosparse per bene di oro in modo che non si vedesse più nulla, poi chiamò lo stregone: "Su, porta via questo cesto; ma bada di non fermarti per strada a riposarti, io ti guarderò dalla mia finestrella e non ti perderò di vista."

Lo stregone sollevò il cesto e partì.

Strada facendo, gli pesava talmente che il sudore gli grondava sulla faccia; sedette per riposarsi e subito una voce femminile gridò "Guardo dalla mia finestrella e vedo che ti riposi! Rialzati e cammina!"

Lo stregone credette che fosse la sposa e si rialzò; invece era una delle due sorelle nella cesta.

Dopo un po' riprovò a sedersi ma sentì nuovamente la voce: "Guardo dalla mia finestrella e vedo che ti riposi! Rialzati e cammina!"

E tutte le volte che si fermava, la voce gridava.

Finalmente arrivò a casa delle ragazze e depose la cesta davanti ai genitori.

Intanto la promessa sposa preparava la festa di nozze e invitava gli amici dello stregone.

Poi prese un teschio ghignante con i denti in mostra, lo agghindò mettendogli una ghirlanda di fiori in testa e lo portò alla finestra del solaio a cui lo fece affacciare.

Quanto tutto fu pronto, si tuffò in un barilotto di miele, poi tagliò il piumino e ci si avvoltolò: adesso somigliava ad un uccello strano e nessuno l'avrebbe riconosciuta.

Uscì per strada e incontrò qualcuno degli invitati che le chiesero: 

- Di dove vieni Uccell del Gro?

- Da Gro Groviglio dove sto

- Che fa lì la giovane sposa?

- Da cima a fondo ha spazzato la casa, si affaccia all'abbaino e si riposa.

Alla fine incontrò lo stregone che tornava a casa. Anche lui le chiese:

- Di dove vieni Uccell del Gro?

- Da Gro Groviglio dove sto

- Che fa lì la mia giovane sposa?

- Da cima a fondo ha spazzato la casa, si affaccia all'abbaino e si riposa.

Lo stregone alzò gli occhi, vide il testo agghindato e credendo che fosse la sposa, lo salutò festoso con la mano.

Entrò poi in casa ed entrarono gli invitati ma entrarono anche i fratelli e i parenti della sposa venuti a salvarla.

Chiusero tutte le porte in modo che nessuno potesse uscire e appiccarono il fuoco.

Lo stregone e i suoi invitati bruciarono vivi.

***

UN'ALTRA VERSIONE DI BARBABLU

tratta da


IL CASTELLO DEL SANGUE: da una versione inglese di Barbablu, anche questa citata da Shakespeare in "Molto rumore per nulla", intitolata in Jacobs "Mister Fox". Il tema di Barbablu è quello di una donna che sfugge a un demone in un'ennesima variante del ratto di Persefone, dove Persefone, salvo nella versione "borghese e maschilista" di Perrault, si libera da sola.

Era giovane, bella e ardita; non vi era timore in lei né tristezza né esitazione. Molti uomini la amavano, molti uomini le avevano offerto il loro cuore; ma il cuore di lei non aveva risposto a nessuna parola, a nessuno sguardo, a nessun bacio rubato sotto gli alberi del giardino nelle sere di primavera, e Iosbail, fiera della sua bellezza e lieta della della sua gioventù, viveva nella casa del padre, con la compagnia dei due fratelli.

Un pomeriggio d'autunno era a caccia con loro, ma nell'entusiasmo dell'inseguimento si era allontanata dagli altri, e ora cavalcava, dimentica della caccia, gioiosamente sferzata dal vento della corsa, in sella al cavallo grigio che balzava agilmente su siepi e cespugli, palizzate e ruscelli.

L'acqua e la terra sembravano zampillare dagli zoccoli del cavallo; il prato ondulato, interrotto a tratti da macchie di alberi e cespugli fioriti, si stendeva innanzi a lei, e Iosbail, nella gloria dei colori dell'autunno, bella e fiera nella veste scarlatta, galoppava sui prati e tra gli alberi.

Oltre un folto di alberi il prato scendeva bruscamente alle rive del fiume, in un pendio percorso da dorati cespugli di ginestre. Il cavallo scese il pendio senza esitazione; la bella donna rideva felice, e il vento della corsa le strappò il cappello scarlatto scagliandolo ai piedi del pendio, sulle rive del fiume, le sciolse i capelli che si gonfiarono sulle spalle in una fulva onda tempestosa.

Scorgendo le acque profonde del fiume, il cavallo si impennò, e Iosbail, accarezzandogli il collo madido per acquetarlo, scese agilmente a terra.

Un uomo era davanti a lei, sulle rive del fiume, un uomo giovane dagli occhi chiari; aveva tra le mani il suo cappello scarlatto e glielo porse piegando a terra il ginocchio. "Sei bella come una regina", disse, "e come a una regina mi inchino alla tua bellezza"

Quanti uomini avevano rivolto parole non meno appassionate alla bella Iosbail? Quanti l'avevano guardata con occhi nei quali l'ammirazione non era meno profonda? Pure, il cuore di lei non aveva mai risposto alle parole, agli sguardi, ai baci rubati sotto gli alberi del giardino, nelle sere di primavera, ora si destò alle parole e allo sguardo del cavaliere sconosciuto.

Il suo nome era Gorad, e veniva da terre lontane. Era giovane, era coraggioso alla caccia, ricco e cortese nei modi, e Iosbail lo amava. Il padre di lei acconsentì alle nozze che vennero fissate per gli ultimi giorni d'autunno, prima che le nevi invernali ostacolassero il cammino del corteo nuziale.

Gorad era solito parlare del castello che possedeva, in cui avrebbe condotto la giovane moglie, in cui avrebbero vissuto e si sarebbero amati, ma prima delle nozze non volle mostrarglielo, né pregò il padre o i fratelli di lei di recarvisi.

E Iosbail, bella, ardita e curiosa, risolse di visitare il castello dove il suo bel cavaliere l'avrebbe condotta dopo le nozze.

Un giorno in cui i fratelli e il padre erano a caccia, Iosbail si incamminò dunque in cerca del castello del suo bel cavaliere. Questi gliene aveva spesso parlato e ne aveva magnificato la ricchezza, così che Iosbail non dubitava di saperlo riconoscere. La strada per giungervi, le aveva detto, correva lungo il fiumo sulle cui rive si erano incontrati e amati.

Iosbail scese alle rive cavalcando il cavallo grigio, e lo guidò sul sentiero che correva lungo l'impetuoso corso del fiume.

Il giorno era luminoso, e una nebbia dorata saliva dai prati e si distendeva tra gli alberi.

Iosbail cavalcava da tempo senza scorgere alcun castello presso di sé o lontano all'orizzonte, né strade che vi conducessero.

Il cavallo appariva stanco, il corso del fiume diveniva sempre più impetuoso, la nebbia pareva avanzare al suo fianco e farsi sempre più impenetrabile. Ma, se Iosbail si volgeva a misurare la strada percorsa, vedeva le rive del fiume limpide e dorate e la natura risplendere nella gloria dell'autunno.

Innanzi a lei il sentiero era grigio e deserto, i colori dell'autunno offuscati dall'ombra impenetrabile della nebbia. Il fiume pareva tuttavia serbare vita in quell'immobile paesaggio di morte: le acque ribollivano, frangendosi contro sassi aguzzi, contro pietre dalle forme ignote; le acque ribollivano, e, sebbene non vi fossero raggi di sole né foglie accese dal fulgore dell'autunno a riflettervisi, ribollivano cupe e rossastre.

Un banco di nebbia scaturì innanzi a lei; il cavallo, il grigio che la seguiva nelle più ardite imprese, si impennò rifiutando di proseguire e né la frusta né le carezze valsero a nulla. Iosbail smontò, e legò il grigio a un albero, risoluta a proseguire a piedi; non conosceva né esitazione e a proteggersi aveva con sé lo specchio magico, il dono della madrina.

Entrò in quell'ombra impenetrabile; attorno a lei pareva non vi fosse che il vuoto, e lembi di nebbia si impigliavano tra i suoi capelli, si avvolgevano attorno al viso come a soffocarla, le accecavano lo sguardo. Quando pure avesse voluto ritornare sui suoi passi, non vi era che vuoto alle sue spalle.

Un vento gelido si levò, disperse la nebbia: Iosbail vide innanzi a sé il castello. Proseguendo nel suo corso, il fiume si allargava in un fossato che circondava la tetra costruzione di pietra grigia, le torri che la fiancheggiavano perdute nel vuoto della nebbia. L'aria era gelida, le morte acque del fossato immobili come lastre di piombo; alberi inariditi, tronchi spezzati, spaccati e bruciati dal fulmine parevano segnare la strada che conduceva al castello.

Iosbail si sentì gelare il sangue nelle vene; tuttavia proseguì e raggiunse il ponte che attraversava il fossato; un grande cancello di ferro lo chiudeva, e non vi erano battenti che potessero annunciare un visitatore, chiedere che quelle alte sbarre di nudo ferro si aprissero per lui.

Iosbail alzò gli occhi all'architrave che sovrastava il cancello: sotto il suo sguardo lettere d'oro vi si scolpirono, e Iosbail lesse: "Sii forte".

Attraversò il ponte e giunse al cancello, che silenziosamente si aprì innanzi a lei. Si trovava in un breve passaggio a volte dalle pareti umide di muschio; doveva essere costruito sul fiume, poiché un ribollire di acque vi scorreva sotto. Al termine del passaggio si innalzava una scala dagli alti gradini di pietra; sulla balaustra, a custodire la porta rotonda che si apriva in fondo alla scala, due orridi grifoni, i rostri spalancati e le zampe pronte a artigliare, le grandi ali nere che oscuravano la vista. Iosbail arretrò con un grido di spavento: i grifoni non ebbero un fremito e lei comprese che erano di pietra.

Lungo l'arco della porta vide scolpirsi lettere d'argento e tracciare per lei le parole: "Sii forte, ma non troppo forte".

La porta si aprì silenziosamente innanzi a lei.

Era nel grande atrio del castello, due rampe di scale se ne dipartivano e conducevano a una galleria. Iosbail le salì, percorse la galleria e giunse a una porta alta e tetra. Sull'architrave lettere di sangue si scolpirono tracciando per lei le parole: "Sii forte, ma non troppo forte, che non ti stringa il cuore un orrore di morte".

Ma Iosbail voleva sapere. L'ansia di sapere era in lei più ardente della paura, e si avvicinò senza esitare alla porta di ferro alta e tetra, che si aprì silenziosamente innanzi a lei.

Entrò in una stanza vuota di mobili e di arredi, dove avrebbe voluto non essere entrata; il pavimento era rosso di sangue; corpi insanguinati e sfigurati di quelle che un tempo dovevano essere state donne giovani e belle giacevano ovunque, le vesti strappate, lacere, incrostate di sangue. In una pozza di sangue poco oltre la porta affondava un teschio, e uno scheletro orribilmente contorto era davanti alla finestra, come se la donna fosse stata uccisa in un estremo, disperato tentativo di fuga.

Iosbail fuggì inorridita, percorse correndo la galleria; il respiro le mancava, il cuore le veniva meno. Un solo pensiero le attraversava la mente: in quale luogo, in quale  mondo era entrata, quali invalicabili confini aveva varcato? Poiché non poteva essere, quello, il castello del suo bel cavaliere.

Era giunta alle scale e già aveva iniziato a scenderle correndo, quando sentì, lontano, il suono degli zoccoli di un cavallo. Atterrita, sollevò lo specchio magico: riflesso nel vetro vide il ponte e sul ponte un uomo a cavallo, e nel viso dell'uomo lo specchio le rivelò inesorabilmente il viso del suo bel cavaliere.

L'orrore della certezza fu tale che, per un istante, lo specchio si offuscò e Iosbail non vide più nulla. Era sull'ultimo gradino della scala che dalla galleria scendeva al grande atrio del castello, immobile, paralizzata dall'orrore; sentì dei passi risuonare lontano.

Guardò angosciosamente nello specchio che tornò a farsi limpido e le rivelò il passaggio dalle pareti verdi di muschio e la lunga scala custodita dai grifoni di pietra. Gorad, il suo bel cavaliere, saliva la scala trascinando un corpo inanimato di donna, e al suo passaggio i grifoni di pietra spiegarono le grandi ali nere e lo nascosero alla vista.

Iosbail scese silenziosamente le scale, silenziosamente scivolò nell'atrio. Sentiva i passi risuonare sempre più vicini, e l'orribile battito delle ali dei grifoni di pietra. Si guardò attorno, alla disperata ricerca di un'altra porta dalla quale potesse fuggire: non vide che la porta rotonda dalla quale era entrata, e sentì che i passi si avvicinavano.

Nell'antro sotto la scala, lo specchio magico le rivelò una cassapanca di legno; in quello stesso istante, la porta rotonda girò silenziosamente sui cardini.

Gorad, il suo bel cavaliere, entrò trascinando il corpo inerte e insanguinato. Lo abbandonò a terra e si incamminò risolutamente verso il sottoscala, verso la cassapanca di legno che nascondeva Iosbail.

La giovane donna stringeva con la forza lo specchio magico, che, nel movimento della mano di lei, si mosse e balenò vividamente catturando la luce di un grande anello che scintillava al dito della donna morta. Gorad vide quello scintillio, tornò sui suoi passi e si chinò per sfilare l'anello; ma la mano insanguinata della donna era irrigidita dalla morte e l'anello resisteva.

Sotto lo sguardo inorridito di Iosbail, Gorad sguainò la spada e con un colpo recise la mano.

E volse nuovamente i passi verso il sottoscala.

Iosbail sfilò un anello che aveva al dito, e muovendo l'anello e lo specchio in direzione della galleria creò un così improvviso e scintillante balenìo, che il suo bel cavaliere si volse verso la galleria dove si trovava l'orribile camera insanguinata, si lasciò cadere di mano l'anello infilato ancora al dito della donne morta e salì correndo le scale, verso la galleria e la camera del sangue.

Iosbail uscì allora dal suo nascondiglio, raccolse tremando la mano insanguinata e fuggì dal castello, lungo le scale di pietra, tra i grifoni tornati immobili, sotto la volta del passaggio dalle pareti verdi di muschio, lungo il ponte, lungo la strada segnata dai tronchi spaccati e bruciati.

Fuggì correndo lungo il greto del fiume, attraversò l'ombra impenetrabile della nebbia, fuggì da quell'orrido, cupo regno di morte e di sangue, ritrovò il glorioso splendore dell'autunno, il corso vivo e impetuoso del fiume, il cavallo grigio che la attendeva battendo sul prato con lo zoccolo impaziente.

Il contratto di nozze tra Iosbail e il suo bel cavaliere doveva venir steso e firmato il giorno successivo, e il padre e i fratelli di lei diedero un gran banchetto per celebrare la cerimonia.

Bella, giovane e ardita, la fulva onda dei capelli imprigionata in una rete d'oro e smeraldi, Iosbail sedeva davanti al suo bel cavaliere, ma era mortalmente pallida, e tra le risate e la gaiezza e i canti del banchetto, lei sola appariva silenziosa e triste.

"Che cosa ti è accaduto?", volle sapere Gorad.

"Ho trascorso una ben triste notte, signore, e tristi sogni l'hanno funestata."

"Tristi sogni annunziano lieti eventi. Narraci i tuoi sogni, perché possiamo trarne gioiosi auspici"

"Ho sognato, Gorad, mio bel cavaliere", prese a narrare la giovane donna, "ho sognato di recarmi al tuo castello, lungo la strada del fiume, un alto castello di pietra grigia, circondato da un fossato; vi conduce un sentiero di tronchi spezzati, bruciati dal fulmine, inariditi."

"Non è così, mia cara, né mai è stato così"

"Sull'architrave del cancello, prima che io vi entrassi, lettere dorate hanno tracciato per me le parole: Sii forte"

"Non è così, mia cara, né mai è stato così. Il tuo sogno ti ha ingannata."

"Spesso i sogni ingannano, Gorad, mio bel cavaliere, e non i sogni soltanto. Nel sogno io salivo una scala, custodita da orridi grifoni di pietra; la scala conduceva a una porta rotonda, e sull'arco della porta lettere d'argento hanno tracciato per me le parole: Sii forte, ma non troppo forte."

"Non è così, mia cara, né mai è stato così."

"Io ho tuttavia varcato quella porta, ho salito una scala e sono giunta a un'altra porta in fondo a una galleria, dove lettere di sangue hanno tracciato per me le parole: sii forte, ma non troppo forte, che non ti stringa il cuore un orrore di morte."

"Non è così, mia cara, né mai è stato così."

"E tuttavia ho varcato anche quela porta, Gorad, mio bel cavaliere, e sono entrata in una camera dove mi ha accolto l'orribile vista di corpi insanguinati, e scheletri, e ossa e sangue sul pavimento e sulle pareti."

"Non è così, mia cara, né mai è stato così e per nulla al mondo vorrei fosse così."

"Ho sognato allora, Gorad, mio bel cavaliere, di fuggire da quel luogo orribile, di sentire dei passi lungo il ponte e le scale di pietra e di vederti entrare trascinando il corpo insanguinato e inerte di una donna."

"Non è così, mia cara, né mai è stato così e per nulla al mondo vorrei fosse così."

"Non era che un sogno, Gorad, mio bel cavaliere. Nel sogno io ero nascosta dietro una cassapanca di legno, sotto la volta delle scale e ti vedevo chino sul corpo inerte e insanguinato di quella povera, giovane donna, per sfilarle un anello che aveva al dito; ma l'anello resisteva, e nel sogno, Gorad, mio bel cavaliere, tu sguainavi la spada e con un colpo solo mozzavi la mano con l'anello."

"Non è così, mia cara, né mai è stato così e per nulla al mondo vorrei fosse così."

Iosbail si levò in piedi, bella, giovane e ardita, tempestosa come l'immagine della vendetta; trasse dalla veste la mano insanguinata e la tese verso di lui.

"è così", disse, l'orrore e lo sdegno nella voce "sempre è stato così, ma per nulla al mondo sarà ancora così."

Il padre, i fratelli di Iosbail, i commensali tacevano inorriditi; Gorad sguainò la spada, ma la giovane donna trasse dalla cintura dorata lo specchio magico e lo tese come uno scudo innanzi a sé.

La magia dello specchio implacabilmente rifletteva la verità e l'orrore che dallo specchio affrontò il bel cavaliere quando vide riflesso il suo viso fu tale che il suo perfido cuore si spezzò, e con un grido soffocato Gorad si rovesciò a terra morto.


Recensione a "Horror" (Super Junior Horror)

Antologia di brevi racconti dell'orrore, con protagonisti bambini che si trovano ad affrontare maledizioni e creature del brivido (ma le situazioni delle volte sono troppo terrorizzanti per un pubblico infantile...) che consiglio a tutti gli amanti dei "Piccoli Brividi". 

Ecco qui i titoli e un breve commento.

"La Vasca da Bagno": uno dei racconti migliori, persino troppo "esagerato" per un target di piccoli lettori (ci sono alcuni stralci troppo splatter), con protagonista una ragazzina, Isabel, che dovrà vedersela con una vasca da bagno "infestata"... il tutto rimanda molto ad atmosfere alla "contessa Bathory" (anche se con un protagonista differente)

"Foto Assassine": anche in questo racconto c'è una maledizione che grava su una macchina fotografica; racconto abbastanza originale che i lettori dei Piccoli Brividi ("Foto dal futuro") apprezzeranno.

"Fulmine": due ragazzini alle prese con un pc "che fa da tramite" con uno spettro che sa prevedere i nomi dei cavalli vincenti alle corse; tutto sembra procedere bene, ma quando un malintenzionato vorrà approfittarsene...

"Autobus Notturno": il tema qui è quello dei morti "viaggiatori" che ritornano sulla terra; quando due ragazzini salgono per sbaglio sull'autobus dei defunti…

"L'incubo di Harriet": altro racconto a tinte leggermente splatter che ha a che vedere con una paura infantile molto diffusa: essere venduti dai propri genitori… ma il peggio, per Harriet, deve ancora arrivare!

"Paura": tra i migliori racconti della raccolta, a tinte "horror ecologiste": quando un intero ecosistema si "vendica" di un ragazzino pestifero e maleducato... Lo scenario "agricolo-bucolico", non così sfruttato nella narrativa horror, fa venire in mente racconti come "I Figli del Grano" e "La Festa del Raccolto".

"Una Carriera nei Videogiochi": una sorta di racconto "cyber interattivo" che mi ha ricordato certi film horror anni '90 sui videogame; è molto incentrato sull'azione.

"L'Uomo con la Faccia Gialla": il più straziante (decisamente troppo per un pubblico infantile) nel quale l'orrore (e poi la compassione) nascono, più che non dalla situazione subita dal protagonista, dal "dopo", nel finale.

"L'Orecchio di Scimmia": ispirato alla "Zampa di Scimmia" di Jacobs (e non di Poe, come invece scrive l'autore), ne è una rilettura in versione comica più che non horror; è un racconto abbastanza scarso, che non regge il livello con i precedenti, ma potrebbe essere stato inserito per "sdrammatizzare", alla fine, l'atmosfera più horror dei racconti precedenti.

Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/lhorror-non-ha-eta.html


Concerto MadHour e Smokespell a Gallarate! 🤘

Ho avuto il piacere e l'onore di partecipare alla serata tutta Thrash Metal allo "Spazio 23" a Gallarate 😍🤘

Neanche sapevo che esistesse, e invece anche in passato hanno fatto diversi concerti Metal (purtroppo mi sono persa quello dei Drakkar 😭💔)

Il merito va a Teo, che avevo incontrato prima all'Old Jesse a Saronno (per merito della maxi toppa di King Diamond sfoggiata da un suo amico, che attirò la mia attenzione 😁, così sono andata lì a scambiare quattro chiacchiere) e poi alla fiera del disco a Busto.

Così, mi ha raccontato della sua band, i MadHour, e già al momento avevo realizzato una prima mini intervista:

poi, essendoci la possibilità (ringrazio Mary, come sempre, per il passaggio in macchina 😇) sono andata  a vederli dal vivo a Gallarate e così ho realizzato una seconda intervista, con tutta la band presente 😁🤘

Una grande opportunità per me, per "fare gavetta" intervistando dal vivo una band, dopo tanti anni passati a fare solo interviste scritte...  è già la mia seconda intervista dal vivo

la prima è stata questa

Serata fantastica, non solo per la musica di entrambe le band, ma per come sono stati capaci di intrattenere dal vivo, con tanta attitudine e simpatia, il pubblico 🤘

Locale stupendo e già mi manca non essere più lì 😭💔 Mi sono divertita tantissimo e sono andata via a malincuore 😔💔

Spero di tornarci presto, alla prossima occasione, e sarebbe un sogno realizzare altre interviste alle band prima del concerto 😍



"Il Divoratore di Spettri"

 

I

Follia? Un eccesso di febbre? Vorrei poterlo credere, ma quando mi ritrovo solo dopo il calar del sole nei luoghi deserti dove mi conducono i miei vagabondaggi e odo, attraverso gli spazi sconfinati, gli echi demoniaci di quei ringhi bestiali, di quelle urla e del rumore d'ossa frantumate, rabbrividisco ancora al ricordo della notte maledetta. All'epoca conoscevo molto poco la vita nei boschi, sebbene già allora esercitasse su di me una forte attrattiva. Fino a quella notte avevo sempre preso la precauzione di servirmi d'una guida, ma all'improvviso le circostanze mi costrinsero a mettere alla prova la mia abilità personale. Era mezza estate nel Maine, e, nonostante avessi urgente bisogno di recarmi da Mayfair a Glendale entro mezzogiorno della giornata seguente, non riuscii a trovare una sola persona disposta ad accompagnarmi.

A meno che non prendessi la strada che passava per Potowisset, e in tal caso non sarei giunto in tempo a destinazione, avrei dovuto attraversare fitte foreste; ma quando chiesi una guida incontrai dinieghi e risposte evasive. Sebbene fossi uno straniero, mi sembrava strano che tutti avessero una scusa pronta. Quel villaggio era troppo tranquillo per avere così tanti "affari importanti" e capii che gli abitanti mi mentivano. Tutti avevano "impegni urgenti" o affermavano di averne; e non fecero altro che assicurarmi che la pista attraverso i boschi era molto agevole, correva dritta verso nord, e non avrebbe presentato alcuna difficoltà per un giovanotto sano e robusto come me. Se fossi partito la mattina di buon'ora, aggiunsero, avrei potuto raggiungere Glendale sul far del tramonto, evitando di passare una notte all'aperto.

Anche allora non sospettai nulla.

La prospettiva mi sembrava accettabile e quindi presi la decisione di provarci da solo, lasciando i pigri abitanti del villaggio ai loro affari. Probabilmente ci avrei provato lo stesso, anche se avessi sospettato qualcosa: i giovani sono caparbi, e fin dall'infanzia mi ero sempre fatto beffe delle superstizioni e delle storie delle vecchie comari.

Così, prima del levar del sole, ero già in cammino fra gli alberi, di buon passo, la colazione in mano, la fedele automatica in tasca e la cintura imbottita di fruscianti banconote di grosso taglio. Stando alla distanza che mi era stata indicata e sapendo quanto velocemente potevo camminare, avevo calcolato di giungere a Glendale subito dopo il tramonto; ma ero consapevole che, anche se avessi dovuto passare la notte all'aperto a causa di qualche errore di calcolo, avrei potuto fare affidamento sulla mia esperienza di esperto campeggiatore. Inoltre mi bastava giungere a destinazione entro il mezzogiorno seguente.

Ma fu il tempo a mandare a monte i miei progetti.

Quando il sole salì alto nel cielo, scottava anche attraverso il folto fogliame e a ogni passo bruciava le mie energie. A mezzogiorno avevo già gli abiti inzuppati di sudore e a dispetto di tutta la mia determinazione cominciavo a esitare. Man mano che mi addentravo più profondamente nel bosco, vidi che il sentiero era sempre più ostruito dalla vegetazione e che in certi punti questa lo aveva cancellato completamente. Dovevano essere settimane, forse mesi, che nessuno passava da quelle parti; e cominciai a dubitare di riuscire ad attenermi al programma stabilito. Quando ebbi fame, cercai l'angolo più ombroso che riuscissi a trovare e cominciai a divorare il pranzo che mi ero fatto preparare in albergo: alcuni panini insipidi, una fetta di torta stantia e una bottiglia di vino leggero; indubbiamente, un pasto tutt'altro che sontuoso, ma pur sempre ben accetto a chi si fosse trovato nel mio stato di sfinimento da caldo.

Con quell'afa non mi avrebbe dato soddisfazione neanche fumare, così evitai di tirare fuori la pipa.

Dopo aver finito di mangiare mi distesi sotto gli alberi, deciso a riposarmi un poco prima d'intraprendere l'ultima tappa del viaggio. Suppongo d'esser stato sciocco a bere quel vino, perché, sebbene leggero, si dimostrò abbastanza forte da completare l'opera che quella giornata torrida e opprimente aveva iniziato. La mia tabella di marcia mi consentiva soltanto un sonnellino, ma non avevo neanche fatto in tempo a fare uno sbadiglio premonitore che già dormivo come un sasso.


II

Quando riaprii gli occhi, le ombre del crepuscolo si addensavano intorno a me. Il vento, accarezzandomi le guance, mi ridestò del tutto quando guardai il cielo vidi con apprensione che s'era ammassata una compatta muraglia di nubi nere, e che l'oscurità era foriera d'un violento temporale. Mi resi conto che non sarei riuscito a raggiungere Glendale prima del mattino seguente, ma la prospettiva di una notte fra i boschi - la mia prima notte di solitario campeggio nella foresta - m'appariva molto sgradevole in quella precaria situazione. Decisi immediatamente di proseguire ancora un poco, sperando di trovare un riparo prima che si scatenasse il temporale. L'oscurità coprì i boschi come una coltre pesante. Le nubi, basse, andavano facendosi sempre più minacciose e il vento, rinforzato, soffiava ormai a raffiche violente. Il bagliore di un lampo lontano illuminò il cielo, seguito da un rombo di malaugurio che presagiva avvenimenti spiacevoli. Poi una goccia di pioggia cadde sulla mia mano protesa e, sebbene continuassi ad avanzare meccanicamente, m'ero rassegnato all'inevitabile. Un istante dopo intravvidi la luce d'una finestra attraverso i tronchi degli alberi e il buio. Desideroso di trovare un riparo, mi affrettai verso di essa… Avesse voluto il cielo che voltassi le spalle e ne fuggissi lontano! C'era una sorta di radura irregolare, all'estremità più lontana della quale sorgeva un edificio, la parte posteriore rivolta verso la foresta primordiale. M'ero aspettato di vedere una baracca o una capanna di tronchi d'albero, ma poco dopo mi fermai stupito quando scorsi una linda e graziosa casetta a due piani; stando alla sua architettura non doveva avere più di una settantina d'anni, ma era in condizioni che testimoniavano le cure più attente e civili. Attraverso i vetri a pannelli d'una finestra del pianterreno brillava una forte luce, e verso di essa - spronato da un'altra goccia di pioggia - affrettai i miei passi lungo la radura. Poi, dopo aver salito alcuni scalini, bussai vigorosamente alla porta. Con sorprendente prontezza rispose una voce profonda e piacevole e proferì una sola parola: "Avanti!" Spingendo la porta, che non era chiusa a chiave, entrai in un corridoio ombroso in cui da una porta aperta sulla destra filtrava un po' di luce. Al di là della porta c'era una stanza tappezzata di libri, la stessa che avevo visto attraverso la finestra.

 [continua...]


Shiva (Gaia Junior)

Vestita di pelli, agile come un gatto, capace di scuoiare un lupo e di sfuggire alla carica di un rinoceronte, l'orfana Shiva è la protagonista di questo insolito romanzo ambientato nell'Era Glaciale, che ci restituisce gli odori e i suoni della più lontana preistoria, narrandoci la lunga lotta tra i primitivi Neanderthal e i più evoluti Cro-Magnon.

E a favorire un contatto pacifico tra i due popoli, in guerra da sempre, sarà proprio la giovane Shiva, nata e cresciuta in una tribù governata da donne maghe e guerriere, che alla fine riconosceranno in lei, ragazzina strana e solitaria, la loro futura guida sui sentieri della magia.

"Qualcosa la inseguiva. Shiva si fermò, con le narici frementi. Un brevissimo soffio di vento aveva portato fino a lei l'odore acre della belva, tanto fugace che avrebbe anche potuto esserselo soltanto immaginato. Ruotò lentamente su se stessa nel tentativo di scoprire da dove provenisse quell'odore che le aveva fatto gelare il sangue nelle vene. Scrutò con attenzione le sporgenze rocciose, tra gli arbusti, il sottobosco e gli alberi contorti e stentati dov'era andata a far legna. Niente... Dondolò la testa al modo dei felini, sperando che il predatore si decidesse a uscire dal suo nascondiglio e a mostrarsi. Ancora nulla. Ma c'erano almeno cento nascondigli. Era odore di lupo. (...) Alle proprie spalle, sulla destra, udì di muovo il rumore che aveva sentito poco prima, come il rotolio di un ciottolo spostato. Il che significava che il secondo lupo era lì, ancora nascosto, ma impaziente. (...) C'era un'unica possibilità, e Shiva la scelse. Con un urlo selvaggio, si gettò sulla lupa."


Vedi anche https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/gaia-junior.html

Una Strega Biondo Cenere (Gaia Junior)

Bionda, bella e dotata di capacità magiche e misteriose, Sophie potrebbe sembrare davvero una strega, ma, più semplicemente, appartiene ad una società evoluta che ha sviluppato al massimo i poteri psichici. è inevitabile, comunque, che gli abitanti della primitiva riserva di Urstwile finiscano per considerarla una presenza minacciosa, venuta a turbare la loro tranquillità con oscuri malefici. La situazione precipita quando Sophie e Prudence, una ragazza dal carattere acido e bigotto, cominciano a disputarsi il bel Simon: di lì a poco si scatena la caccia alla strega, tra scope che volano e alberi che cambiano di posto…

Un romanzo pieno di fantasiosa ironia, una storia d'amore che è anche un confronto tra due modi di essere donna.


Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/gaia-junior.html


I pensieri di Lovecraft (sull'umanità e il Cosmo...)

Info tratte da

"Il cosmo è un vortice privo di ordine; un oceano ribollente di forze cieche, nel quale la gioia più grande è l'incoscienza ed il maggior dolore è la consapevolezza" (lettera ad alcuni amici, 6 ottobre 1921)

"Io ho tuttora profondo rispetto per l'intelletto puro. Sono di formazione materialista e meccanicista: credo che il cosmo sia un insieme senza scopo e senza significato di cicli interminabili nei quali si alternano condensazioni e dispersioni delle particelle sub-atomiche; un'entità priva di inizio, di una direzione permanente e di un fine, e consistente soltanto di forze cieche che operano secondo schemi fissi ed eterni inerenti all'eternità stessa. [...] (Lettera a Donald Wandrei del 21 aprile 1927) "

"La nostra razza umana non è che un incidente triviale nella storia della creazione. Negli annali dell'eternità e dell'infinito non ha maggiore importanza di quanta ne abbia il pupazzo di neve d'un bambino negli annali delle tribù e delle nazioni della Terra. Di più: non potrebbe tutta l'umanità essere un errore - una crescita anormale - una malattia del sistema della Natura - un'escrescenza nel corpo dell'infinito progresso, come un porro sulla mano di un uomo? Non potrebbe essere la distruzione dell'umanità quella di tutta la creazione animata, un dono positivo alla Natura nella sua interezza? Che arroganza da parte nostra, creature momentanee, la cui stessa specie non è che un esperimento del Deus Naturae, il pensarci destinati ad un futuro immortale e ad una condizione preminente!... La nostra filosofia è infantilmente soggettiva: immaginiamo che il benessere della nostra razza potrebbe essere un ostacolo al corso predeterminato dell'unione degli universi all'infinito! Come possiamo sapere che quella forma di moto atomico e molecolare che chiamiamo "vita" sia la più alta di tutte le forme? Forse la creatura dominante - la più razionale e simile a Dio di tutte le creature - è un gas invisibile! Chi può affermare che gli uomini hanno un'anima, mentre le rocce non ne hanno?" (Lettera ad un gruppo di amici, dell'8 agosto 1916)

"Dato che l'intero piano della creazione è puro caos, e del tutto privo di valore, non vi è necessità di tracciare una linea fra realtà e illusione. Tutto è un mero effetto di prospettiva, ed è meglio e più confortevole cullarsi nell'accettazione di ciò che abbiamo. Nell'arte, non vi è ragione d'osservare il caos dell'universo, perché così completo è questo caos che nessuna narrazione a parole potrà darne il minimo racconto. Io non riesco ad immaginare in altro modo lo schema della vita e delle forze cosmiche, se non come una mazza di punti irregolari riuniti in spirali senza direzione... Io penso che sia meglio per un uomo saggio scegliere una sorta qualsiasi di filosofia che gli sia piacevole, ed abbandonarsi ad essa innocentemente; conscio del fatto che essa non è reale, ma ugualmente consapevole del fatto che, siccome la realtà non esiste, non guadagnerebbe nulla, e perderebbe parecchio nel gettarla lontana da sé..." (Lettera a Frank Belknap Long dell'8 novembre 1923)

"[…] è questo che intendo e pratico come conservatorismo estremo in senso artistico, sociale e politico: un mezzo per sfuggire al tedio, l'inutilità e la confusione d'una lotte senza guida e senza punti di riferimento contro il caos rivelato" (Lettera a Donald Wandrei del 21 aprile 1927)

"Nel gennaio del 1896, la morte di mia nonna gettò la casa in un'atmosfera cupa dalla quale non è mai più uscita. Le vesti nere di mia madre e delle mie zie mi risultavano così paurose e ripugnanti che cominciai ad attaccare con spilli pezzetti di carta o di stoffa colorati alle loro gonne, nel tentativo di sollevarmi. Dovevano stare bene attente prima di uscire di casa o di accogliere un visitatore! Fu allora che la mia vivacità naturale si spense. Cominciai ad avere gli incubi più odiosi, popolati di cose che chiamai "Magri Notturni" (Night Gaunts) (1), con un'espressione inventata da me... In sogno, essi mi trascinavano nello spazio a velocità paurosa, e mi tormentavano e trafiggevano con i loro detestabili tridenti. Sono trascorsi ormai quindici anni - anzi di più - da quando ho visto per l'ultima volta un Magro Notturno, ma ancora oggi, quando sono in mezzo ad un mare di ricordi d'infanzia, sento un brivido di paura ed istintivamente lotto per tenermi sveglio. Questa era la mia sola preghiera nel 1896, ogni notte: "restare sveglio e lontano dai Magri Notturni!" (Lettera a Reinhardt Kleiner, 16 novembre 1916)

"Io agogno l'etereo, il remoto, il crepuscolare, l'ambiguo - detesto sempre di più la vita e ciò che vi è connesso, e desidero ardentemente quei nebulosi reami di spiriti che soltanto un Machen o un Dunsany sanno evocare... Sono uno che odia l'attualità; un nemico del tempo e dello spazio, della legge e della necessità. Sogno un mondo di mistero gigantesco ed affascinante, di splendore e terrore, nel quale non vi siano altri limiti se non quelli della libera immaginazione. La vita fisica e l'esperienza, con la mortificazione della visione artistica che provocano nella maggioranza, sono oggetto del mio più profondo disprezzo... Io mi ribello alla nozione che la vita fisica abbia un qualsiasi valore o significato. Per me l'artista ideale è un gentiluomo che mostra il suo disprezzo per la vita seguitando per le tranquille maniere dei suoi antenati, e lasciando la fantasia libera di esplorare sfere luminose e sorprendenti. Così, vorrei che un autore ignorasse la sua epoca e il pubblico, creando l'arte non per la fama o per gli altri, ma per la sua sola soddisfazione" (Lettera a Frank Belknap Long del 13 maggio 1923)

(1) Che furono di ispirazione per alcune poesie.

"I Magri-Notturni"

Quale abisso li generi, non so.

Ma ogni notte li vedo: creature rugose,

nere, cornute e sottili, con ali fibrose

e code segnate da bifida barba d'inferno.

Il gelido Vento del Nord li porta a legioni,

mi stringono il corpo con lacci e tormenti,

mi conducono in viaggi tremendi

a grigi mondi celati nell'incubo fondo.

Sorvolano i picchi corrosi di Thok,

ignorano le mie grida disperate,

si tuffano nelle acque avvelenate

che fan da coltre al sonno degli Shoggoth.

E almeno emettessero un suono,

o un volto avessero, ch'io potessi scorgere!


"L'Abitatore"

Era già vecchia quando Babele l'Antica sorgeva:

e non si sa quanto a lungo abbia dormito

nel cuore del colle

ove i nostri picconi insistenti, frugando le zolle,

i suoi blocchi di pietra portarono alla luce primeva.

V'erano grandi locali e ciclopiche mura

e lastre spaccate e statue scolpite

d'esseri ignoti vissuti in ere perdute,

di molto più antichi del mondo ove l'uomo dimora.

Poi trovammo quei gradini di pietra gettati

verso un antro sbarrato da una lastra assai forte

che forse serrava un oscuro rifugio di morte

dov'eran racchiusi antichi segreti e graffiti.

La strada ci aprimmo… ma atterriti

dovemmo fuggire

quando udimmo dal basso quei passi pesanti salire…



I Mille Occhi della Notte (SuperJunior Horror)


Tutto iniziò la sera della stella cadente… o forse quando Tan e Simon trovarono tra l'erbacce lo scheletro di un gatto… o quando decisero di portare a casa la nidiata di topolini bianchi scoperta in un vecchio materasso sventrato.
Sempre che quelli fossero davvero topi bianchi e la candida figura nebulosa intravista all'alba fosse davvero un fantasma.
Perché nell'oscurità possono aggirarsi creature più temibili degli spettri e infinitamente più pericolose.
Creature sfuggenti e letali, scaturite dalle tenebre come un'inarrestabile onda spumosa che tutto sommerge e spazza via, lasciandosi alle spalle soltanto rovina e terrore e il ricordo di denti aguzzi e di mille occhi scintillanti spalancati sulla notte.


Commento di Lunaria: Notevole romanzo horror tutto basato su un'atmosfera di "attesa dell'orrore" che si fa via via sempre più palpabile ed evidente; i capitoli sono abbastanza brevi, lo stile dell'Autore "viene subito al sodo" e sa catturare l'interesse del lettore con frasi ad effetto che contribuiscono ad accentuare la sensazione dell'"orrore imminente" che deve irrompere. 
Per curiosità: il virus dell'Ectromelia che viene citato negli ultimi capitoli prima della fine esiste realmente, ma se avete un animo sensibile vi consiglio di NON andare a cercare le immagini su google "per vedere cosa sia" (come ho fatto io, interrompendo la lettura, sigh!), non è un bello spettacolo vedere cosa provoca, come si suol dire...




Mel (Gaia Junior)

Una squallida strada con le case tutte uguali, in un quartiere popolare di Londra: è qui che vive Mel, 17 anni e una situazione familiare difficilissima e apparentemente senza speranza.

Ma ecco che, quando le cose sembrano volgere al peggio, qualcosa cambia.

Accolta ed aiutata, lei bianca, da una simpatica famiglia nera, Mel riuscirà coraggiosamente a conquistarsi il diritto di vivere come vuole, ad avere una casa sua, e anche, in modo del tutto imprevisto, a trovare l'amore.

Un romanzo allo stesso tempo drammatico e divertente, che dai sobborghi londinesi ci porta ne fantastico, folle mondo dei grandi concerti rock.



Legnano, non solo l'Alberto da Giussano

 Legnano è famosa solo per l'Alberto da Giussano (sì, con l'articolo davanti, come viene chiamato da tutti 😂)



ma io sono riuscita a scovare altre statue in angoli meno famosi della città! 😃
















"Streghe"

Cinque ragazze, cinque protagoniste diverse che cercano di sperimentare i propri poteri: streghe di ieri e di oggi, streghe buone per le quali la magia è una forza naturale e positiva, da usare per diffondere la gioia attorno a sé, ma soprattutto per acquistare forza, consapevolezza e capacità di amare.

Cinque lunghi racconti fantastici che parlano di fiori fatati, innamorati improbabili, matrimoni insoliti, guarigioni possibili, misteriose scatole che riescono a deviare un'autostrada… Cinque storie da leggere per scoprire in se stesse l'ombra degli incantesimi di cui tutte le donne sono capaci.