Forest of Insomnia (Black Metal)


1) Ciao e benvenuti! Presentatevi ai nostri lettori!

Il Progetto “Forest of Insomnia” nasce nel dicembre del 2022. Unico componente in pianta stabile sono io “M.” che si occupa della composizione musicale, delle chitarre e programmazione della batteria; per il basso, le chitarre classiche nonchè le parti vocali mi sono servito di artisti che ho conosciuto durante gli anni e che hanno partecipato ad altri miei progetti musicali anche molto diversi da questo.


2) Forest of Insomnia è un bel monicker suggestivo: da una parte abbiano la foresta, cioè qualcosa di vivo, da cui dipende la vita; ma associata all'insonnia, si trasfigura come qualcosa di spaventoso, da incubo: l'insonnia è la mancanza di sonno e non mi ha stupito veder menzionato Cioran (il mio filosofo preferito!) visto che i suoi primi, bellissimi e tragici libri, li scrisse proprio perché tormentato dall'insonnia...

In realtà, secondo la mia visione della filosofia di Cioran, questa foresta è un essere sempiterno, una costante. La fissità e la quasi immobilità del tempo rappresentano l'angoscia del sedicente non-intellettuale durante le lunghissime notti in cui era preda dell'insonnia, in cui lui si trasformava quasi in un non-morto.


3) Oltre alla citazione di Cioran, mi ha fatto piacere vedere che tra le vostre fonti di ispirazione per l'album "Black Gaia" menzionate sia James Joyce sia Delacroix... Come mai avete scelto proprio questi artisti? E il titolo "Black Gaia"?

Il processo creativo in sé è generazione, cos’altro può essere il Black Metal attuale, se non la creazione di una sorta di “razza divina”, tanto musicale quanto in generale, culturale. Joyce e il suo modernismo catturano quella malinconica rinascita che è seguita agli anni oscuri del nostro immediato passato: il “Notturno” e l’evocativo mistero che nasconde la vastità celeste, svelata da una smarrita e incerta notte d’estate, “Sogni intrisi di rugiada” e il passaggio dalla notte all’alba tremante, lirico e post-romantico risveglio dei sensi, infine, “Una preghiera” a simboleggiare la sottomissione al proprio destino, alle pulsioni della vita e della morte. L’epitome di tanti poemi,  Ἔρως καὶ θάνατος  ritorna a distanza di secoli. Delacroix, invece, rappresenta un ponte vero e proprio tra gli occhi e l’anima, da ricollegare al “Paradiso perduto” di Milton e alla sconfitta di Satana, che riprende lo stendardo della rivolta e dà coraggio alle sue legioni infernali, preparandole a nuovi turbinosi combattimenti.


4) Proponete un Black Metal molto malinconico, autunnale e decadente (in tal senso la copertina è un ottimo biglietto da visita) quasi Gothic Doom (tanto per fare un nome mi sono venuti in mente i My Dying Bride e anche gli Anathema in "From Dewy Dreams" e "A Prayer"...) Volete parlarci del processo di song writing dell'album? Seguirà un vero e proprio full lenght?

Il processo compositivo è del tutto personale: idee, trascrizioni e arrangiamenti arrivano nel tempo come un flusso discontinuo di concetti, che poi si concretizzano in un lavoro organico, anche grazie all’aiuto degli altri membri del progetto, che possono mutare ogni volta che un lavoro prende forma. Conoscere la musica, la letteratura e tanti bravi musicisti aiuta molto a concretizzare le mie visioni. Adoro il fascino dell'EP....


5) Avete inserito ben tre intermezzi strumentali di pochi secondi... Penso all'uso che ne fecero i Dissection, di brevi strumentali... anche a voi interessa questo lato più cantautoriale che è possibile sviluppare nel Black Metal?

Il lato Folk del metal è, in generale, un aspetto molto coinvolgente che mi ha sempre affascinato. La riflessività della chitarra classica, fatta vibrare in un certo modo, porta l’animo umano in un luogo sacro, fatto di dopamina, rilasciata direttamente dal nucleo accumbens del cervello, ovvero dal luogo del piacere. L’elaborazione degli stimoli musicali è sorprendente e per Black Gaia, gli intermezzi costituiscono un vero e proprio pit stop neurale, che snellisce la pesantezza delle parti elettriche e dà un meritato sollievo all’ascoltatore, il quale, con le pile mentali ricaricate, può ricominciare ad ascoltare materiale più pesante da digerire.


6) Bene, concludete con tutto ciò che può essere utile da sapere sul vostro progetto!

Ringrazio Fabio Bonazzi Bonaca ex batterista Firbholg per il prezioso aiuto fornitomi alla stesura di questa intevista. Forest of Insomnia tornerà presto a tenervi compagnia nelle vostre notti insonni...


Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2024/08/incanto-lunare-symphonic-black-metal.html


Cuore

 Ho anche un'altra versione di "Cuore" ma ancora non sono riuscita a fotografarla.

























Anna Maria Mozzoni, Armanda Guiducci e Anna del Bo Boffino

ANNA MARIA MOZZONI

Di tutto quello che è accaduto in Italia nel 1946 Anna Maria Mozzoni non ha mai saputo nulla, perché è morta nel giugno del 1920. Lei che in vita si era battuta strenuamente per il diritto al voto delle donne, e perché potessero studiare, lavorare e partecipare alla vita politica al pari degli uomini. In una delle rare immagini che la ritraggono, si vede Anna Maria portare al petto la medaglia della Lega promotrice degli interessi femminili, da lei fondata a Milano nel 1881.

Ma andiamo a scoprire chi era Anna Maria. Classe 1837, Anna Maria nasce a Rescaldina, in provincia di Milano. I suoi genitori, Delfina Piantanida e Giuseppe Mozzoni, sono benestanti e la giovane, fin da piccola, si troverà a fare i conti con le stravaganze del padre e a confrontarsi con la mentalità aperta della madre. Mentre il signor Mozzoni prende parte a sedute spiritiche, Anna Maria ascolta i discorsi della madre, con un'idea che le frulla per la testa: la parità fra uomini e donne.

"Non dite più che la donna è fatta per la famiglia, che nella famiglia è il suo regno e il suo impero!", scriverà un giorno all'indirizzo di certi mazziniani che vorrebbero la donna "angelo del focolare". 

Di più: "Il Codice Civile mantiene le cittadine nella minorità, nella servitù e nella schiavitù", riferendosi al Codice Napoleonico durante la sua partecipazione, nel 1878 a Parigi, al primo congresso internazionale per i diritti delle donne. Anna Maria non risparmia aspre critiche a Napoleone descrivendolo con queste parole: "Figlio della rivoluzione, questo despota insigne soffoca la propria madre. Soldato, egli intende ordinare la famiglia come avrebbe potuto fare di un battiglione; marito, sacrifica la moglie, intelligente e amante, alla ragione di Stato, o in termini meno convenzionali, ma più veri, al suo interesse individuale."

Mentre Anna Maria in pubblico accende gli animi delle donne, in privato si sposa con il conte Malatesta Covo Simoni e cresce Bice, non si sa se figlia naturale della coppia o figlia adottiva. Di sicuro c'è la sua passione per la causa dell'emancipazione femminile, che culmina nella fondazione della Lega promotrice degli interessi femminili. No all'ubbidienza cieca al coniuge, sì alla separazione dei beni fra marito e moglie e al diritto della madre di esercitare la propria tutela sui figli: sono questi i temi cari ad Anna Maria che non dimentica la questione del suffragio femminile, presentando, nel 1887, una petizione in Parlamento perché le donne possano finalmente avere diritto al voto: "Democratici! Cavatemi dai vostri libri, dai vostri principi, dai vostri filosofi una sola illazione che statuisca e dimostri la legittimità di una diminuzione personale della donna", affermerà Anna Maria durante un famoso discorso. 

E ancora: "No, o signori! Voi non potete rispondere - voi non possedete argomenti nel campo vostro. Siete obbligati di andarli a rintracciare in quel passato che non autorizza la vostra agitazione, che contraddice ai vostri principi, che rinnega la vostra qualità di cittadini".

Le coraggiose battaglie di Anna Maria proseguono, ricevendo il sostegno di donne come Maria Montessori, ma non farà in tempo a veder concretizzato il suo sogno, che prenderà piede solo nel secondo dopoguerra.

"La rivendicazione dei diritti della donna e la redenzione di lei è la suprema, la più vasta e radicale delle questioni sociali; è quella che andrà a sfidare l'egoismo dell'uomo, la sua libidine di dominio e sfruttamento..." (Anna Maria Mozzoni, socialista del 1881, impegnata nella battaglia per il diritto al lavoro e la parità salariale e il diritto di voto per le donne, in Italia, quando sia lo Stato che la chiesa ritenevano la donna una sorta di minorata mentale, dipendente dal marito...)


ARMANDA GUIDUCCI

 Alcuni stralci tratti da "La mela e il serpente - Autoanalisi di una donna" di Armanda Guiducci (1974)


Parte prima: il sangue della donna

"Ricordo quel gabinetto stretto e lungo, con le pareti a stucco scrostato a tratti, la vasca alta di ghisa ingombra di panni al macero, la corda che attraversava di sbieco curva sotto il peso dei pannolini umidi, la finestretta verticale sull'assenza di luce nel cortile. Ne strisciava un grigiore bisbigliante omertà, e rimproveri - quand'io stavo là, piegata sul mio corpo colpevole."

"Un giorno di primavera mi trovai costretta sulla tazza sciacquante del water [...] mentre stavo a gambe allargate, in piedi, [...] sentii una contrazione profonda, lontana. E, di colpo, le cosce furono rigate di sangue. Restai immobile, come uno colpito a tradimento - e guardavo, con spavento indicibile. [...] Mi chinai, e vidi la tazza bianca chiazzata di vivo sangue scuro. Ero ferita a morte. Ma da chi? E perché? [...] Mi sentii perduta. Abbassai il grembiule sulla mia rovina e mi gettai fuori della stanza gridando. Così il grido risuonò per tutta la casa: "Sono ferita, mamma! Aiuto, sono ferita!"."

(Nota di Lunaria: qui ricorda molto la scena del film "Carrie". In realtà, forse negli anni passati, non tutte le mamme avvisavano le loro bambine su cosa sarebbe loro capitato.)

"Con voce calma, normale, la mamma mi dice: "Adesso sei signorina". Ma io non voglio, voglio essere come prima. Non voglio sangue che esce dal mio corpo a tradimento. Non voglio sentirmi imbrattata, vittima. "In effetti", commenta la nonna, "è stata molto precoce. è ancora una bambina". Quel che adesso la mamma mi viene spiegando mi getta nella più assoluta costernazione. Mi si prospetta tutta una vita di sangue. Dovrei essere felice, mi dicono. Ma io guardo con odio - perché esse tenevano la chiave del mondo alla cintura, e solo adesso la fanno tintinnare al mio orecchio. Adesso, sento confusamente, è troppo tardi. La paura è difficile da cancellare. L'orrore è difficile da cancellare. [...] E io mi sento segnata. Non dimenticherò mai, mai, neanche quando sarò una donna vecchia e spenta, quando il sangue si sarà rinabissato per sempre nelle sue tane, quando sarà lui a fuggire ma con orrore, l'angoscia provata, la mazzata mortale."

"L'acqua, il sangue, la freschezza, il calore... com'è misteriosa e strana l'esistenza. E il mio corpo sotterraneo che sgorga, come la terra l'acqua, e tutto questo sgorgare e stillare in cui si raccoglie l'esistenza. Perderanno sangue anche gli uomini? Formulo la domanda, e la mamma e la nonna ridono. Le guardo perplessa e "Ci mancherebbe anche questa", mi rispondono. Beh, non è giusto, penso. Ecco un altro aspetto incomprensibile della vita. Perché i maledetti uomini, sempre i più fortunati, non devono neppure perdere sangue? [...] Adesso, si disegnava la crepa. La diversità delle sorti, maschili e femminili, mi si mostrò per la prima volta come il tracciato oscuro della costrittiva mano della natura."

(Nota di Lunaria: attualmente nell'Islam ancora persiste il concetto di impurità mestruale, e quindi le donne in "quei giorni" sono impure, non possono pregare, non possono toccare il corano e devono poi purificarsi)

"Quando la pubertà spaccò il mondo, ne fece due metà, una maschio e l'altra femmina, spaccò a metà anche un'infanzia che non era finita. Io vivevo allora con la sensazione netta e implacabile di due mondi - accostati, roteanti un'implacabile diversità [...] Avevo sempre questa sensazione, di brancolare fra le oscurità. Ora, in più, sentivo una certa minaccia per tutte le cose che, riguardo al mio nuovo stato, non venivano dette.

è stato attraverso queste ricorrenze del sogno legate, ne sono convinta, a contrazioni remote, sorde, impercettibili, che a poco a poco e a lungo andare, io sono entrata, insensibilmente, nel mio nuovo corpo e stato di donna."

"E il temibile sole tramontava, con la sua magnificenza solita, su molta altra ignoranza, su nuovi olocausti del tempo femminile.

[...] E quel senso di clandestinità, di peccaminosità... il corpo soffriva, ma anche la psiche. Doveva umiliarsi, per qualcosa di cui non ero io colpevole. Ma come una colpevole, dovevo comportarmi: fingere, nascondere i panni segnati, rassegnarmi a quella sospensione di vita."

"I farmaci studiati per attenuare le contrazioni uterine [...] costituiscono un'infrazione inconscia troppo grave. Giacché contraddicono un tabù di origine materna e religiosa: "Tu, donna, dovrai soffrire..."

Quante volte mia madre mi aveva ripetuto quelle parole della Bibbia, quel tragico monito che dannava, per tutti i secoli venturi, Eva cacciata dal paradiso terrestre! Ogni volta che piangevo per le mestruazioni, perché provavo un crescente dolore, ecco mia madre recitarmi con dolcezza quel pro-memoria biblico. Ciò fece parte della mia educazione alla passività."

Pagina 73 

"Mi tramutai così in un angoscioso melodramma. E il mio carattere si inalberava contro l'"impossibile" che dettava la mia assurda investitura a un'infelicità che non mi spettava e, pure, che mi spettava. Sentendomi, per ragioni invincibili, condannata, mi condannai da me e mi punii con la sgradevolezza. E con quel tumulto rauco di infelicità. Una costante "arrabbiata" - nel senso della società e della biologia. Entrambe, mi tenevano, e mi erano nemiche. Percepivo la loro ostilità alleata in ogni parola, dizione, etichetta, bavaglio, comportamento che mi fossero assegnati. Mi sentivo una prigioniera."

Pagina 75

"Una delle felicità maggiori della mia infanzia e prima adolescenza fu di sentire, i momenti di più acuto turbamento, il mio corpo sigillato - un messaggio che nessuno poteva leggere, un vaso da cui nessuno poteva attingere (una volta imparato, cattolicamente, che il corpo della donna era un vas, e un vas perfino il litaniato corpo di Maria).

Stringere la gambe, sentire la chiusura del sesso come una sicurezza. Verginità? Non esiste fiore più coltivato, più artificiale.

La verginità è uno stato della natura, ma è un sentimento puramente indotto - forse, al limite, non esiste neppure. L'innocenza non si conosce come innocenza. Quando si ritiene tale, è perché è già stata corrotta, delimitata da una negatività. La verginità è un valore sociale, una coazione religiosa; (*) è una proiezione della religione sulla società. Ricordo a perfezione il senso, goduto a gambe serrate, della verginità: era un sentimento fortissimo di sicurezza, di consistere in me, di non essere d'altri che di me stessa, un cupo orgoglio, una gioia tracotante dell'individualità chiusa, monade senza finestre.

Da dove veniva tanto orgoglio, tanta tracotanza?

Turris Eburnea, turris virginea...

Il cappio cattolico sulla tenera gola era già stato stretto molti anni addietro."  

(*) Di verginità (concetto totalmente postulato dai maschi) si muore ancora: delitti d'onore (vedi la storia di Suad, "Bruciata viva") nei quali, l'unica colpa della donna è quella di non avere più una membrana di pelle nelle parti intime. Questa colpa abominevole, "pii" uomini la fanno scontare bruciando il volto della "criminale e fetida donna" che perde "il preziosissimo e fondamentale pezzo di pelle" che si trova sulla vagina. 

"Ciò che non è pronunciabile, che rientra nel silenzio, ha uno stato dubbio, per noi, d'esistenza - resta sospeso fra l'essere e il non essere. Somiglia a un'agonia o a quell'attimo d'incertezza che segue lo spettacolo di una morte. Giacché la lingua è una congiura binaria, un coltello a due lame. 

A una bambina, la sessualità viene fatta costantemente vivere come un'esperienza innominabile, negata e, quindi, inesistente.

Affiora, la sua sessualità - dal profondo ignorato corpo, con una terribile forza di stelo. Sensazioni organiche, assolutamente elementari, la percuotono. Che accade nel mio corpo? essa si chiede turbata.

Ma intorno, dai volti impenetrabili, Nulla, le viene risposto. Non accade niente. Non è nulla. Fantasie. Sei una bambina, non puoi capire. O peggio: ti inganni. Pensa alle bambole, all'alfabeto, ai fratellini. [...] D'altrolato, le parole sono inesistenze, voce che evapora e si dissolve nel non-senso, in una in-significante assurdità [...] Una parola invasata spiumava via la sua cosità e, impalpabile, volteggiava a lungo ai limiti del vuoto, risucchiata infine dai tintinnii del nulla. [...] Se, attraverso gli eufemismi, il corpo del bambino viene diminuito, attraverso i tabù della parola gli adulti esercitano su lui, - ma, in particolar modo, su lei - una regolare e cosciente azione di repressione linguistica che coincide con una repressione o eliminazione di realtà. Così si impone silenziosamente all'io del bambino una disposizione dell'auto-censura."

"Io mi rendo conto solo adesso di essere un ammasso di mitologia. Ma non voglio gridare alla vittima. Non è sempre possibile distinguere la vittima e il carnefice. Guardo l'uomo e, dietro il possente petto respirante di Adamo, scorgo ora la vittima di una analoga, sebbene opposta, mitologia.

Ciò che posso fare è demistificarmi come donna, creatura etichettata; liberarmi della mia stessa, più profonda, repressione - che non è già l'ombra dell'uomo su di me, ma la mitologia che è in me stessa, che amo e di cui vivo.

Questa non è una rivolta, è una estirpazione. Molto sotto le cicatrici della pelle stanno le radici dell'inconscio. E tutta la mia mitologia femminile, dopo tanti anni, tanta infanzia passata, deve essersi ormai sedimentata là, deve essere divenuta una mitologia inconscia."

"La Madonna, La Dama, Isotta, Beatrice, Laura, Sofronia, Penelope, le pastorelle dell'Arcadia, Ofelia, Giulietta, Margherita, Lucia, erano tutte creature che avevano in comune una totale assenza di pulsioni sessuali. Erano creature escisse, o peggio ancora, infibulate. Con lo spiritualismo si possono fare operazioni invisibili, analoghe a quelle compiute da certi popoli africani sulle grandi labbra e i clitoridi."

"Sangue stupri, guerre, invasioni e lotte di religioni, barbarie e cattolicesimo: secoli d'occidente hanno letteralmente plasmato la sua "parte", la sua assegnazione femminile nel mondo: e un buon secolo di borghesia trionfante le ha dato la sua impronta - uterina e ornamentale."

E ancora:

"Un maschio, che bellezza. Femmina la primogenita, femmina l'altra e la terza: femmina ancora! Adesso, è nato l'erede" e guardava teneramente mia madre e mia madre fu redenta".

E ancora:

"Dopo che l'erede fu nato, un che di grandioso si aggiunse alla fisionomia di mia madre. Avendo generato il sesso opposto, il suo viso acquistò in sicurezza e nobiltà. Perfino oggi il viso di mia madre (domani compirà tre quarti di secolo e festeggeremo il suo compleanno all'ombra della morte) non è semplicemente, disfatto fra le rughe, un viso materno: imponente e tenero, sigillato dall'orgoglio di mio padre e della madre di mio padre e dei fratelli paterni e dell'intera ascendenza maschile della nostra stirpe e società, e di lei stessa infine, è il viso della madre di un uomo.

Così, la parola "femmina", col suo suono dall'alto in basso, si impresse sopra di me come un marchio - il marchio sociale della subalternità."

Infine:

"Incominciai a rosicchiarmi le unghie con accanimento selvaggio -fino a farmele sanguinare e, sempre immersa in quello stato d'animo ringhioso, succhiavo, inorridita e deliziata, il sangue che ne gocciolava. Me le intinsero in una sostanza amara come il fiele che si chiama aloe (se ben ricordo). E io mordevo più a fondo, e il sangue spillava più scuro e più rosso. Me le intinsero di tintura di iodio (non a caso, nei lunghi anni infantili, l'ho chiamata tintura d'odio) acre e marrone, ma non così disgustosa.

Alfine mio padre giurò che me le avrebbe ficcate nella m... Da allora, non ho più smesso questo vizio - nel quale gli psicanalisti rintracciano una rabbia del bambino per la mammella sottratta, una difficoltà nello svezzamento e, insomma, una richiesta d'amore protratta.

Mentre le delicate pelli intorno all'unghia, più volte lacerate, si enfiavano, trovai al rancore un altro sfogo nella disobbedienza totale e assoluta. Quasi risento i battiti protettivi del cuore, il furibondo senso della rabbia che si placa a stento alla vista dei miei genitori disperati, che si scambiano mutue occhiate di soccorso.

Ed ecco: il corpo di mio padre incomincia a vivere, a quest'epoca, per me. Le sue mani, dalle palme spesse e larghe, le dita grosse come catocci, calano staffilanti sulle mie gote.

Interi giorni ne porto il marchio: cinque strisce rosse e aperte mi scottano di rabbia e rinnovano l'insubordinazione. Non passa giorno che la mano massiccia non si schianti sul mio viso, fra le grida di paternità offesa. Io, tengo il mento alzato, ridacchio persino.

"Ti ucciderò" grida a volte mio padre. "Ti massacrerò di botte."

Mia madre, in un angolo, torce gli occhi gialli di qua e di là. Fiata appena, quando è troppo tardi, il ciclone ha già spezzato tutto dentro di me, ha lasciato mio padre ansante: "La ammazzerà, una volta o l'altra".

Ma poi si butta subito al collo di mio padre e geme: "E' perversa, questa bambina. Io non ho la forza di educarla".

Concludendo:

"E' un maschiaccio" geme mia madre, guardandomi come se non le appartenessi neppure. Una volta mi guardò fissa e soggiunse: "Ti devono aver scambiato nella culla, figlia mia"".

"E' un maschiaccio, ma io la domerò. Con la frusta" esclama mio padre, e le palme massicce delle sue mani pesanti si gonfiano scarlatte e fischiano nell'aria e, calando da un'altezza scottante, occupano il mio intero viso, le palpebre gonfie di pungente rossore, invadono l'intera stanza, il pollice rimbalza sul soffitto con un tuono assordante, il mignolo gigantesco picchia sul pavimento, che vibra, mentre io mi piego sotto la raffica, in giù, trascinando le ginocchia contro lo spigolo del mignolo di mio padre".

ANNA DEL BO BOFFINO


Quando si è legati a una persona su tutti e due questi fronti [sesso e affetti] si dipende da questa persona. La felicità, la serenità, la sopravvivenza dipendono dagli umori di questa persona. Pericoloso no? E questo vale per tutti, uomini e donne. Ma poi ci sono paure specifiche delle donne, e paure specifiche degli uomini. 

E le paure delle donne sono assai di più perché la condizione di inferiorità, di dipendenza economica, di dipendenza affettiva e sessuale in cui sono vissute da secoli le pone allo sbaraglio del potere maschile (1) 


(1) Nota di Lunaria: infatti, nella concezione monoteista, la donna non si afferma mai "al di là dell'uomo" e come individuo singolo; alla donna, nella visione cattolica\cristiana, vengono riconosciuti solo due ruoli: la vergine asessuata, come la suora, dipendente dalla gerarchia maschile ecclesiastica (o dipendente dal pastore protestante che ammaestra l'uditorio) e la moglie feconda, dipendente dal marito. Non esiste una celebrazione monoteista di una donna come "dirigente di uno Stato", "Sacerdotessa", "Pensatrice". 

Le stesse - poche - teologhe devono sempre stare attente a come e a cosa dicono, pena il venir ostracizzate ed estromesse. Il monoteismo non riconosce alcuna autonomia alla donna: ella è stata creata dal loro dio come "complemento per l'uomo", derivata da una costola maschile affinché l'uomo potesse sentirsi "primo e principio".

Così molte donne hanno nei secoli, inventato un contropotere: quello della seduzione a freddo, l'arte di lasciargli fare ciò che gli piace dosando tempi e concessioni. Vedremo quante identità femminili si sono formate in risposta alle imposizioni maschili. (2)


(2) Nota di Lunaria: il famoso "parassitismo femminile" spesso sfociato in alienazione mentale, come faceva notare Betty Friedan:

la moglie-casalinga che vegeta all'ombra del marito, mantenuta da lui nei bisogni materiali (mangiare, vestirsi, scaldarsi) ma annientata nel suo potenziale umano-culturale; dalla casalinga, dalla donna, non ci si aspetta, né la si esorta, a fare letteratura, a studiare la scienza; quelli sono "affari da uomini"; ci si aspetta che sappia rammendare le camicie, lavare bene piatti e pavimenti, essere una brava "soddisfatrice dei capricci nel letto", reverire e servire chi la mantiene. E così l'oppressione non ha mai fine, il ciclo di cause ed effetti non si interrompe mai; l'uno reifica, l'altra viene (vuole essere) reificata e sviluppa meccanismi di sopportazione alla reificazione.

Bisogni e desideri premevano con una forza mai vista prima. 

Segno che erano stati troppo a lungo negati, repressi (...) le donne si guardavano dentro (ci si chiede come il movimento dei diritti per le donne abbia cambiato tante donne) Nessuna idea si diffonde tanto presto se non se ne sente ovunque, e profondamente, il bisogno. Quando la trovi espressa, finalmente, espressa da qualcuno è come se fossi riuscita a disegnare il malessere oscuro che ti sentivi addosso, al quale non sapevi dare un nome. E subito l'idea diventa tua, come se l'avessi sempre pensata anche tu.

Si diceva, dunque, possibilità della donna di vivere il piacere come soggetto, non più come oggetto. Ma come? Nonostante le terapie coniugali il matrimonio si rivelava il terreno meno adatto per tentare una simile evoluzione [vedi la morale cristiana sui rapporti tra marito e moglie, al riguardo] (...) al momento dell'amore, dell'incontro più scoperto e indifeso viene fuori l'inconscio di ciascuno di noi. E l'inconscio è la somma di un passato che si è sedimentato al maschile e al femminile, in un modo che conosciamo. E al momento dell'incontro veniva fuori quello che eravamo. (3)


(3) Nota di Lunaria: punto che è stato colto bene anche da certa riflessione esistenzialista. Se l'essere umano è la somma dei suoi atti, delle sue "libertà di agire" e si definisce per quello che fa, la domanda successiva, o anche precedente, è chiedersi quanto l'ambiente circostante ci influenzi. è ovvio che una vedova induista sia "influenzata" a gettarsi sulla pira funebre dove brucia il corpo del marito perché l'ambiente nel quale si è formata l'ha indirizzata a quello; l'infibulazione è praticata dalle donne africane, sulle quali agisce un millennario condizionamento sociale di "maschi che le mogli le vogliono cucite"; nessuno di questi condizionamenti, per fortuna, fa parte del "bagaglio culturale" delle donne occidentali, e infatti le donne europee, alla morte dei marito, non sentono "il bisogno" di gettarsi su un rogo, né le adolescenti sentono "il bisogno" di mutilarsi la vagina per trovare un fidanzato. 

è sotto gli occhi di tutti, però, che molte donne europee, una volta convertitesi all'islam "perché si sono innamorate del musulmano", "assimilano" quel background culturale, fino ad assumere una nuova identità, del tutto in linea con i desideri e i bisogni postulati dagli uomini di quella religione.

Come spiegare questa tendenza all'autodistruttività femminile, o meglio, alla reificazione allo "Sguardo dell'Altro"? "Sono come tu mi vuoi, divento chi tu vuoi che io sia, esisto perché tu mi guardi e mi approvi". Ancora una volta, la mia ipotesi è che a monte manchi del tutto un concetto di autostima femminile vera e profonda. Non basta dare "il diritto di voto anche alle donne" e farle accedere a lavori da sempre considerati maschili (avvocato, ingegnere, dottore...) e credere di aver risolto le cose, se poi nell'ambiente circostante continuano a predominare simboli religiosi, metafisici, culturali esclusivamente maschili. Si veda il simbolismo del Cristo: questo dio maschile redentore "anche per le donne", che "salva anche le donne", "che rappresenta anche le donne" e "che assorbe le donne in lui" perché "non esiste più né maschio né femmina ma siete tutti uno in Gesù Cristo"... che è maschio.


Non è colpa nostra (...) è tutto intorno a noi, che ci ha condizionate e ci condiziona al negativo, che ci fa passive, che ci fa "oggetti". (4) 

E i nostri sforzi per uscirne, per essere attive, per dire ciò che vogliamo sono infinitamente impari all'impresa. Da qualsiasi parte cominciamo a dire, fare, chiedere, ci ritroviamo bloccate, impotenti, ricacciate alla nostra immagine di sempre. Ed è questa immagine che occorre guardare, con occhi diversi, per capire fin dove arrivano le radici delle nostre impossibilità.


(4) Nota di Lunaria: non si può uscire dalla reificazione dello Sguardo dell'Altro se si continua a stare appresso e a stare immerse in una cultura androcentrica; sarebbe come pretendere di svuotare il mare con un cucchiaino. 

La Wicca Dianica in tal senso si configura come un antidoto alla maschilizzazione forzata: laddove nel monoteismo tutti i simboli divini sono virati al maschile e le figure femminili di riferimento ricalcano la colpa e l'inganno o la sottomissione, quindi "qualità" estremamente negative e nefaste che "stigmatizzano" la femminilità reificandola come "peccaminosa o obbediente", nella Wicca Dianica esistono altri simboli e altre visioni prettamente femminili.  (Ginocentrici)

Parafrasando Simone de Beauvoir, 

donna non si nasce, si diventa, ma lo si diventa smettendo di stare appresso a quanto il monoteismo dice sulle donne e valutando se stesse alla luce di quanto dicono filosofe e pensatrici femminili autonome.

L'uomo può in qualsiasi momento soddisfare un desiderio sessuale: se proprio non ha a disposizione una donna, può sempre trovare una prostituta. (5) Ma la donna che conosce i propri desideri ha davanti a sé solo la coscienza della propria fame, (6) in un mondo che le nega qualsiasi nutrimento. Perché è lei la nutrice, da sempre, lei che è destinata a soddisfare la fame dell'uomo. 


(5) Comunque, la frase va anche inquadrata nel contesto storico e culturale in cui è stata scritta. Anna del Bo Boffino scriveva negli anni '50-'60, dove era ancora prematuro parlare di "libero desiderio sessuale femminile"; attualmente da qualche anno è stato sdoganato anche un erotismo femminile sempre più esplicito e disinibito. 

Vedi, per esempio, questo libro (ma ne esistono dozzine di cloni e clonacci dell'orrido "50 sfumature") che è scritto con i piedi (esattamente come il "libro" a cui si ispira),

ma ha il pregio di presentare una donna, la protagonista, che vuole divertirsi sessualmente, prende l'iniziativa, apprezza il cunniling*s (e lo richiede espressamente) e soprattutto, "si crea" un harem di maschi di suo proprio gradimento da distribuire nell'arco di un anno (e di quattro volumi...)

E questo è solo uno dei miliardi di titoli presenti sul mercato editoriale del "porn* rosa" specificamente pensato per donne e per i loro desideri (va da sé che la maggior parte degli uomini libri del genere probabilmente li troverebbe soporiferi essendo il concentrato delle aspettative e delle esigenze femminili, anche represse, e non tanto quello che "gli uomini, sessualmente, hanno sempre fatto"; così, se gli uomini bellissimi protagonisti di questi libri scritti in maniera indecente per lo stile grammaticale smozzicato in frasi brevissime - roba che Marinetti in confronto sembra Proust - si eccitano a regalare yacht, anelli, vestiti costosissimi alle donne in questione, e tutto fila alla perfezione fino all'agognato matrimonio, nella realtà le cose non stanno proprio così, e un uomo "che si eccitasse a fare regali" rientrerebbe più nel caso degli "schiavi finanziari" - e non dei dominanti - abusato e spolpato fino all'osso da qualche Mistress. 

Tra l'altro, "mantenere una donna" è proprio pratica patriarcale, perché è nei patriarcati che la donna pesa sul groppone dell'uomo non avendo accesso o diritto ad un lavoro\salario pieno) 


(6) Nota di Lunaria: si faccia caso come molte espressioni gergali abbiano proprio al centro la metafora del cibo: di una bella donna appetibile si dice che "è un bel bocconcino" con riferimento alla sua carne corporea; mentre tale espressione non esiste per definire il cervello femminile; nessuno dirà mai "il cervello di questa donna scienziata è proprio un bel bocconcino" con riferimento di "desiderio libidico".


E il rischio è proprio quello di perdere la testa: di provare tanto piacere a soddisfare la fame dell'uomo da non ritrovarsi più (...) farsi vittime del proprio masochismo (...) Quante donne hanno passato una vita ad amare e servire un uomo, in pura perdita? 

Lo chiamano masochismo femminile. E lo si può considerare una forma di adattamento allo stato di servaggio cui la donna è stata da sempre costretta (...) questo legame, la complicità vittima-carnefice, da dove viene? Perché continuiamo a viverlo, perché il nostro rapporto con l'uomo in più o meno grande misura è tutto e sempre masochista? è un problema che molte donne stanno analizzando, è forse il più dolente e difficile dei problemi della condizione femminile che neanche l'emancipazione ha debellato. 

Quale piacere puoi trarre dal farti penetrare da un uomo che, anche in quel momento, sta affermando l'importanza della sua mascolinità? (7) E per questo le vittime tendono a pensare: "la mia vita è questa, e una volta che ho perso ciò che ho, per gramo che sia, che cosa mi aspetta, che cosa me ne viene in cambio"? [è proprio la mancanza di prospettive - anche di aiuti femminili - che sfocia nel più mortificante e passivo fatalismo]


(7) Nota di Lunaria: qui l'Autrice si avvicina alle analisi fatte da Anne Koedt e da Carla Lonzi sul piacere clitorideo. Oggigiorno la suddetta distinzione acquista sempre meno importanza, perché come ho dimostrato sopra, attualmente esiste un mercato di "gadget erotici" pensati esclusivamente per femmine e per i loro titillamenti sessuali (ma non si deve pensare che lo si sia fatto esclusivamente per una "parità sessuale"; semplicemente lo si è fatto anche per meri motivi di marketing e guadagno e le donne sono una fetta di potenziali clienti e consumatrici), che vanno dai libri ai film, dai gigolò ultracostosi a oggetti stimolanti, per cui appare sempre più labile la distinzione "vaginale VS clitorideo", laddove la suddetta distinzione venne fatta, agli inizi, perché "il sesso penetrativo" era opprimente (la donna doveva riceverlo in matrimoni combinati che non aveva scelto lei\doveva restare incinta), e gli uomini in questione non erano neanche più di tanto interessati a "farla godere stimolandole la clitoride".

Oggigiorno, in libri come questi

dove la donna è la vera protagonista e padrona sessuale (perché i personaggini maschili sono meri "ancelli e bei pupattoli" delle sue voglie, anche nelle scene dove "in apparenza" lei è "dominata") una donna può sentirsi libera e padrona di scegliere quale piacere faccia al caso suo.


Il privato, il personale, è un abisso di ingiustizie per le donne. Abbiamo leggi nuove, che dovrebbero regolamentare il privato: il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, ora l'aborto che si fa nelle strutture pubbliche. Ma quanto, di queste leggi, regola davvero il rapporto fra uomo e donna? Sulla carta ci sono, ma nella realtà anche le leggi che difendono la donna le si rivolgono contro (...) 

A chi si appella la moglie trattata come la serva di casa dal marito: lui non fa niente altro che pretendere ciò che un uomo ha sempre preteso dalla moglie, se questa è stufa, ne trova subito un'altra disposta, in nome dell'amore, a fare i suoi anni di servitù. Eppure, nel nuovo diritto di famiglia sta scritto che uomini e donne sono uguali, godono degli stessi diritti e hanno gli stessi doveri. Sulla carta, ma nella realtà della vita quotidiana in famiglia, quante donne potrebbero affermare di sentirsi, di essere pari?

Ci sono anche quelle che in fabbrica, negli uffici, cambiano profondamente (...) imparano che, di fronte al padrone, si regge solamente se ci si muove nella solidarietà fra colleghi (...) Imparano che quella forza che ognuna di noi si ritrova dentro, e che si chiama aggressività, può essere adoperata per difendersi, e anche per conquistare. Non lo sapevano prima. A casa, la loro aggressività l'avevano sempre vissuta come rabbia impotente o come depressione: un'arma puntata contro se stesse, per salvare l'immagine del marito e dei figli davanti a tutti, perfino ai proprio occhi.

E in questo, le donne che si lamentano della propria solitudine, dimostrano i limiti della propria femminilità: passiva. Vivono nella sensazione che, da qualche parte, nel mondo, c'è la vita, e che è una questione di ambiente, di fortuna, trovarla. L'uomo, educato all'iniziativa, quando si trova in analoghe difficoltà, sa farsi centro di vita, sa porre le proprie innovazioni, sa proporre modelli nuovi (...) Resta da osservare, tuttavia, quanto la sessualità femminile resti inappagata, se si esprime nei termini della sessualità maschile.

Noi della nostra generazione, siamo le prime a ribellarci al sopruso e paghiamo il prezzo più alto. Ma qualcuna doveva pur cominciare. Le altre, che verranno dopo, sapranno che si può sopravvivvere, e come si fa. Siamo noi che dobbiamo cercare soluzioni, equilibri, sicurezze nuove: è difficile, disumano certe volte. Ma lo si fa perché si crede nella possibilità di un mondo migliore, anche per le donne.

Ho capito che aveva ragione, che la sofferenza aveva un senso, e sto ritrovando un rapporto diverso anche con il mio corpo. Poco per volta riesco a vederlo come espressione di me, di una vita, tutto sommato, ben spesa. 


Breve Storia dell'Ingegneria (riassunta da una Donna senza laurea, LOL)

Antefatto: se non fossi stata sminuita su youtube da un tale che sosteneva che "io e altri eravamo invidiosi del suo titolo di laurea" 😂, non mi sarei granché interessata all'Ingegneria. Già qualche anno fa avevo dato un'occhiata alle materie STEM, più per la faccenda del divario di genere, che non perché volessi davvero avere una bibliografia a tema divulgazione scientifica. 

Avevo visto, preso atto che la percentuale delle donne che si dedica all'Ingegneria è davvero molto bassa, e transitato altrove, come si suol dire.

Almeno fino a che tizio (che, per dovere di cronaca, dopo le mie risposte argomentate, ha corretto il tiro delle sue affermazioni) non mi ha inzigato con questa storia della laurea in ingegneria, e così, io, unicamente per Orgoglio 😁, come direbbe Mirandolina, "mi ci sono messa di picca"  

e in un mese di full immersion ho appreso un bel po' di roba sulla storia dell'Ingegneria. 😀

Insomma, Piccola Emma Strada cresce.


Perché se progettare ponti con i calcoli necessari non è alla portata di tutti (e a me non interessa diventare Costruttrice di Ponti), una storia dell'Ingegneria su ponti e grattacieli, dighe e miniere è alla portata di tutti. 

Perlomeno è alla portata di chi, come me, non tollera assolutamente di essere sminuita  😡 (e lo avevo già dimostrato qui https://intervistemetal.blogspot.com/2024/05/galbraith-recensito-da-una-no-business.html) perciò sì, mi sono fatta una cultura pure su questo.

E infatti sto già preparando diversi scritti sull'argomento (su bibliografia di Sua Maestà Mario Salvadori 😉, eh sì, sturatevi le orecchie, classisti, sono partita proprio da Mario Salvadori... insomma, le fondamenta le edifichiamo fin dal principio in maniera solidissima! Tipo cemento armato lunariale 😁😂) 

dove dimostrerò a tutti che se mi gira il ticchio divento Bibliomane anche in Storia dell'Ingegneria! 😘

i miei primi schemini in Ingegneria 😁


Info tratte da


Pagina 22

"L'Ingegneria è fondamentalmente un'arte democratica, uno strumento di civilizzazione destinato a servire il popolo intero. Analogamente, la sua crescita esige l'appoggio della massa."


CAPITOLI I-II-III-IV-V

Il termine "ingenieius" da cui deriva "ingegnere" nel XIII secolo identificava colui che, operando con ingegno, inventava e costruiva macchine. L'antenato del moderno ingegnere meccanico fu il costruttore di mulini.

Il prototipo degli ingegneri, il maestro costruttore, era già presente nelle civiltà antiche: in Mesopotamia, Hammurabi era re e direttore dei lavori ingegnistici, e il costruttore era detto "Batu"; gli Assiri guidati da re Sennacherib realizzarono l'acquedotto di Jeruan che convogliava acqua limpida e montana dalle colline del monte Tas a Ninive. Babilonia era famosa ovunque per i suoi favolosi giardini pensili. 
In Egitto il nome di Imhotep fu divinizzato: capo dei sacerdoti, medico-mago, direttore di tutti i lavori del faraone, mentre un certo Uni ebbe come compito il sovrintendere alle terre irrigate.
Ineni e Senmut furono due nobili capi dei lavori della XVIII Dinastia e si dedicarono agli obelischi. 
I Greci coniarono il titolo di "Architekton", cioè "super-artefice" delle arti pratiche dette "Tektonia": Crate da Calcide fu molto stimato come perito nello scavare miniere e gallerie.
L'autore romano Vitruvio, il cui "De architectura" pervenne fino a noi, disse che era consuetudine dei Greci affidare i loro lavori a capicostruttori di buona famiglia. Uno dei più antichi Architekton della galleria fu Eupalino di Megara.
Benché vivessero in case semplici, i Greci costruirono alcuni dei più splendidi tempi ed edifici, utilizzando soltanto pilastri, trave o architrave, che ebbero il loro apice nei periti costruttori Mnesicle e Ictino.
Un altro campo dell'ingegneria dove i Greci fornirono il loro contributo fu l'urbanistica: tra i primi a farne pratica fu Ippodamo.
Altri nomi importanti furono Cleone, Archimede ed Erone; ma furono i Romani ad essere considerati i più grandi fra gli ingegneri antichi, per le loro strade, ponti e acquedotti sparsi per il mondo. 
La mentalità romana era pratica: gli Agrimensores erano i geometri dei terreni, i Libratores erano i livellatori, i Mensores i misuratori, l'aquelegus si occupava degli acquedotti, il viarum curator era il sovrintendente delle strade. L'Architectus era il titolo romano riecheggiante l'Architekton greco.
Fu Appio Claudio l'ingegnere che diede il suo nome a due opere storiche romane: la via Appia e l'acquedotto Appio. Fu poi sotto la direzione di Agrippa che vennero costruiti a Roma due nuovi acquedotti: l'Aqua Iulia e l'Aqua Virgo. 
Durante il regno di Nerva, Frontino venne nominato direttore del rifornimento idrico di Roma; purtroppo però non abbiamo il nome di chi progettò l'acquedotto di Segovia.
Con Adriano viene data una notevole spinta al progresso delle costruzioni romane, tanto che in poco più di venti anni del suo splendido regno furono fra i più importanti per l'architettura.
Col termine "ingenium" al tempo di Tertulliano, si indicavano "gli ingegni di guerra", le catapulte.


CAPITOLO VI

Nel Medioevo sorge l'ingegneria militare, con l'invenzione di diversi apparecchi per lanciare pietre, proiettili infuocati come la catapulta, il trabucco e la balista, mentre da parte del movimento religioso viene la spinta per l'erezione delle cattedrali gotiche. 
I mulini ad acqua trovarono nuove applicazioni: nacque il mulino a vento.
Sono pochi i nomi che ci sono giunti dei maestri nell'arte muraria che fabbricarono castelli e fortezze: uno di loro fu Ailnoth, direttore delle costruzioni a Westminster e del castello di Windsor. 
Villars de Honnecourt, in attività intorno al 1230, si dedicò a problemi di misurazione come la valutazione della larghezza di un corso d'acqua senza attraversarlo.


CAPITOLO VII

Durante il Rinascimento la figura dell'ingegnere si identificò con quelle dell'architetto e del meccanico.
Le conoscenze venivano tramandate sotto forma di trattati, in pregiosi manoscritti corredati da apparati iconografici pieni di palazzi e macchine belliche.
Leonardo da Vinci resta il protagonista principale del sapere tecnico rinascimentale  ma vi furono molti altri ingegneri: Mariano di Iacopo, detto il Taccola, che si formò alla bottega di Iacopo della Quercia e scrisse due trattati: il De Ingeneis e il De Machinis, Francesco di Giorgio (che ci lasciò quattro opere), Vannoccio Biringuccio (che si occupò di metallurgia e pirotecnica), Baldassarre Peruzzi (che si occupò di dighe)


ALTRO APPROFONDIMENTO SULL'INGEGNERIA NEL RINASCIMENTO

Tratto da


Pagina X

"Anche se quasi tutti gli scienziati del Seicento hanno studiato all'università, sono pochi i nomi di scienziati la cui carriera si sia svolta per intero o prevalentemente all'interno dell'università. Le università non furono al centro della ricerca scientifica. La scienza moderna nacque al di fuori dell'università, spesso in polemica con esse e si trasformò nel corso del Seicento e più ancora nei due secoli successivi in un'attività sociale organizzata in grado di darsi sue proprie istituzioni."

Pagine 35-36-37

Nel 1580 Bernard Palissy in polemica contro i professori dell'università si domandava: "è possibile che un uomo possa giungere alla conoscenza degli effetti naturali senza aver mai letto libri scritti in latino?" Palissy era un apprendista vetraio che era diventato famose per le sue innovazioni nel campo della ceramica. Progettò anche delle macchine che però non riuscì a costruire e morì alla Bastiglia sul finire del '500. Tempo dopo divenne famoso un testo sul magnetismo scritto da Robert Norman, un marinaio che dopo vent'anni trascorsi sulle navi si era dedicato alla costruzione e commercio delle bussole. Norman descriveva se stesso come "matematico non istruito" e raccolse una gran quantità di osservazioni nel corso della sua vita. Nel "De tradendis disciplinis" (1531) Juan Luis Vives, che pure era un uomo alla corte inglese, invitava a occuparsi di macchine, di tessiture, di agricoltura e navigazione: l'uomo di lettere doveva entrare nelle officine e nelle fattore, imparando dagli artigiani; per Vives la scienza della natura non era monopolio di filosofi e dialettici.

In quel periodo, diversi testi del '500 che riprendevano testi classici si rivolgevano al pubblico degli artigiani; per esempio Jean Martin tradusse per gli operai (che non comprendevano il latino) in francese i trattati sull'architettura di Vitruvio. Rivius che presenta Vitruvio in tedesco, si rivolge ad artigiani, scalpellini, architetti, tessitori.

Pagina 38

Nel '400 e nel '500 si leggono soprattutto le opere di Euclide, Archimede, Erone, Vitruvio e la letteratura di questo periodo produrrà soprattutto trattati di carattere tecnico: i trattati sulle macchine di guerra  di Konrad Keyser, le opere sull'architettura di Leon Battista Alberti, del Filarete, di Giorgio Martini, il libro sulle macchine militari di Roberto Valturio da Rimini, i trattati di Dürer sulle geometria descrittiva e le fortificazioni, la Pirotechnia di Vannoccio Biringuccio, l'opera sulla balistica di Niccolò Tartaglia (Nota di Lunaria: altro matematico nato povero, con un grave problema alla mandibola causatogli da una sciabolata che gli impediva di parlare correttamente e che fu autodidatta in matematica), i trattati di ingegneria mineraria di Giorgio Agricola ("De Re Metallica", "De ortu et causis subterraneorum"), i libri sulla Meccanica di Stevinus, i trattati di navigazione di Hariot e Hues. Ci si dedica alla progettazione di macchine, strumenti bellici di offesa e difesa, lo studio di fortezze, canali, dighe, estrazioni dei metalli.

Pagina 40

Nel Trecento l'arte era considerata un'attività manuale. Quasi tutti gli artisti del primo '400 erano o erano nati in famiglie di artigiani, contadini: Andrea del Castagno era figlio di un contadino, Paolo Uccello di un barbiere, Filippo Lippi di un macellaio, i Pollaiolo, come dice il nome, di un venditore di polli.

Scultori e architetti erano membri delle corporazioni minore di muratori e carpentieri, mentre i pittori erano classificati nelle corporazioni maggiore di medici e speziali insieme ad imbianchini e macinatori di colori. Era nelle botteghe che si iniziavano i lavori manuali come la macinazione dei colori e la preparazione delle tele.

è nella metà del '500 che i lavori di tipo artigianale non appaiono più adatti "allo status dell'artista". 

Per altri approfondimenti vedi anche:



LE DONNE LAVORAVANO NEI CANTIERI?

Sì. Per approfondimenti suggerisco di leggere "La Donna al Tempo delle Cattedrali". Le donne lavoravano come muratrici nei cantieri per l'edificazione delle cattedrali.


Per quanto riguarda "Storia dell'Ingegneria" a pagina 142 si parla di seicento donne assoldate, insieme a dieci\dodicimila operai, per la costruzione del Canal du Midi (iniziato nel 1666)


 
Le più grandi invenzioni dell'ingegneria sono state acquistate dopo l'esperienza, con tentativi ed innumerevoli errori, piuttosto che come sforzi per trovare applicazioni di una anticipata conoscenza delle leggi naturali; del resto, i primi costruttori medievali delle immense cattedrali gotiche, erano artigiani.


CAPITOLO X

Hubert Gautier è ricordato per i due libri scritti, di cui uno, "Traité des ponts" (1716) rimase un'opera di riferimento per la costruzione dei ponti.
Il libro (che mette in guardia gli ingegneri dagli imprenditori che spesso non pensano che ad arricchirsi a spese del re) portò allo sviluppo della meccanica strutturale.
Il XVIII segnò il progresso anche nella meccanica e nelle macchine per liquidi: Henri Pitot è ancora onorato come inventore del "Tubo di Pitot" e per i suoi studi verso l'efflusso dell'acqua nei fiumi e nei canali.
Pitot scrisse diversi volumi anche sulla manovra delle navi, delle pompe, e si occupò anche del drenaggio delle paludi.
Pitot fu il primo di una serie di illustri idraulici francesi, come Chézy, Darcy e Bazin; dopo Pitot, menzioniamo Bélidor il cui "Architecture hydraulique" costituisce uno dei più importanti testi ingegneristici dell'epoca, con oltre 200 splendide incisioni.
Per quanto riguarda gli studi di ponti con archi di pietra a distinguersi fu Perronet, che a Neuilly progettò un ponte di cinque arcate con campate di 36,6 metri e frecce di 9,15 (purtroppo rimosso nel 1956); l'altro capolavoro di Perronet fu il Pont de la Concorde che Perronet vide concluso quando era già molto anziano: lo vide finito nel 1791, guardandolo da una casa prospiciente la sua opera.


CAPITOLO XI

Sotto il dominio romano in Inghilterra erano state compiute numerose opere ingegneristiche ma le conoscenze andarono perdute; fu solo dopo la conquista normanna nel 1066 che si affermò il romanico inglese "ad arco tondo".
Fu durante il regno di Elisabetta I che ebbe inizio l'insegnamento dell'ingegneria: nacque la prima scuola inglese per agrimensori-matematici.
Myddelton costruì il suo famoso rifornimento idrico per Londra e fu iniziato il prosciugamento delle paludi.
Alcuni dei primi pionieri dell'ingegneria inglese cominciarono la loro carriera come fabbricanti di mulini: Brindley, per esempio, fu un fabbricante di mulini non istruito proveniente da una famiglia povera, esattamente come Rennie; Telford fu muratore mentre il padre dell'era delle ferrovie, George Stephenson fu un lavoratore carbonaio che imparò a leggere e scrivere dal figlio.


 

John Smeaton progettò il faro di Eddystone intagliando nelle rocce affioranti i letti per le pietre di fondamenta. La "Torre di Smeaton" fu modellata "come il tronco inferiore o fusto di una vecchia quercia" a sezione circolare e di diametro decrescente.
La luce fu accesa per la prima volta nel 1759.
A distinguersi nella progettazione di ponti furono Edwards, Labelye e Mylne.
Fu il vapore la vera rivoluzione del '700: il primo ad utilizzare il vapore fu un semplice operaio, Thomas Savery che si interessò di drenare i pozzi nelle miniere della Cornovaglia: il suo apparecchio fu una pompa a vapore brevettata nel 1698, che consisteva in un cilindro munito di valvole battenti, precedentemente riempito col vapore di una piccola caldaia.
Furono Newcomen, Boulton e soprattutto Watt a migliorare quanto fatto da Savery. Watt sviluppò una motrice a bassa pressione con condensatore che rimase come modello per tutto il XIX secolo (prima di Watt, il consumo di combustile era altissimo: si impiegavano tredici tonnellate di carbone al giorno!)
Abituati alle strade odierne, è difficile, per noi, pensare che due secoli fa le strade erano quasi intransitabili!
Uno dei pionieri nello studio delle strade fu Metcalf, che divenne costruttore di 290 chilometri di prime strade con pedaggio!
John Loudon McAdam inventò un vero e proprio metodo moderno di costruzioni stradali, che prese il suo nome: le strade "macadamizzate" sono composte da strati di pietre frantumate.
A fare concorrenza a McAdam fu Telford, un giovane nato in una capanna di fango e stoppia da una coppia di pastori in Scozia. Nel 1782 partì per Londra per studiare disegno e architettura.
Sotto la direzione di Telford vennero costruiti 1470 chilometri di strada e 1200 ponti!
Telford impiegò pietre piatte disposte sulla costa ed incuneate fra loro, formando una base solida e compatta per una copertura di pietrisco e ghiaia, nota come "Base alla Telford".
Telford fu anche tra i primi ingegneri a costruire ponti in ghisa.

CAPITOLO XII

A partire dal XIX secolo divenne più chiaro che industria e ingegneria si stavano sviluppando con caratteristiche diverse in Europa e negli Stati Uniti.
L'Inghilterra era il Paese più avanzato, seguito da Francia e Germania che però furono lenti a cambiare, visto che la loro tradizione ingegneristica era stabilizzata da tempo.
L'Inghilterra, inoltre, era una potenza colonizzatrice e i suoi banchieri finanziarono lavori in tutto il mondo, specialmente le ferrovie.
Nessuna opera ingegneristica, però, fu più complessa dello scavare gallerie. Le grandi gallerie terrestri richiedono lunghe lotte contro la pressione dell'acqua e delle rocce, mentre i lavori subacquei devono evitare gli allagamenti.
La prima galleria subacquea sotto il fiume Tamigi  a Londra venne progettata da Brunel, anche se non fu facile (il fiume allagò la galleria) e il progetto fu abbandonato per sei anni.
La tecnica ad aria compressa fu inventata da Cochrane, che la brevettò nel 1830: da tempo si sapeva che l'aria poteva mantenersi sotto una coppa capovolta sommersa o un recipiente a forma di campana; era stato osservato che a mano a mano che la campana veniva affondata, la crescente pressione dell'acqua comprimeva l'aria. L'elemento principale di Cochrane fu la "chiusa pneumatica", una piccola anticamera d'entrata nello scomparto che chiudeva fuori un'area dall'aria operante sotto pressione, con due porte, una per estremità. Dopo che l'uomo era entrato nella chiusa, si serrava la porta esterna e si apriva la mandata d'aria. Quando questa aveva raggiunto la pressione interna, veniva aperto l'altro passaggio verso la zona di lavoro.
Il figlio Stephenson, Robert, ingegnere come il padre, e il figlio di Brunel furono famosi costruttori di ponti. 
Brunel il Giovane progettò il Great Western, un gigante di 2300 tonnellate!

Lindley, Haywood e Bazalgette furono invece i pionieri dei sistemi fognari moderni, in un periodo dove le epidemie dipendevano e si propagandavano anche per mancanza di fogne.

Fowler e Baker si occuparono delle prime metropolitane (1860).

In Francia, Eiffel fu pioniere dell'introduzione delle strutture di acciaio in Francia. La celebre Torre, eretta per l'Esposizione del 1889 fu la sua opera più conosciuta.


CAPITOLO XIII

In America, gli ingegneri minerari americani furoni pionieri nell'Ovest. La dinamo e la luce elettrica seguivano il telegrafo nel contrassegnare la nascita dell'ingegneria elettrotecnica, ma i trasporti rimasero il principale problema.
I primi ponti vennero costruiti in legno, in una combinazione di archi e travature: il Permanent Bridge di Palmer (1805), il Colossus di Wernwag (1812) e il Waterford di Burr (1804), tre ingegneri-artigiani, molto simili agli artigiani europei del Medioevo.


SCHEMI DI PRIMI PONTI A TRAVATURE 
(disegnate da me con paint, LOL 😂)





Se si dovesse fare il nome dell'ingegnere che meglio incarnò l'ingegneria americana, dovrebbe essere quello di John Bloomfield Jervis che si dedicò a canali, ferrovie, rifornimenti idrici; introdusse anche cambiamenti nelle prime locomotive.
James Finley fu invece il pioniere dei ponti sospesi, adoperando catenarie irrigidite, "cavi di tavole" che distribuivano qualunque carico riducendo così le inflessioni locali in una struttura flessibile ma provvedevano anche alla rigidezza contro l'azione del vento.
(Nota di Lunaria: Mario Salvadori nella sua intrigante introduzione all'Ingegneria "Perché gli edifici stanno in piedi" spiega molto bene l'azione del vento sulle strutture e come si contrasta)

Infine, ricordiamo il grande sviluppo dell'industria mineraria americana, che raggiunse il suo apice con la scoperta dell'oro in California nel 1848.