Gli Specchi Incantati (racconto teen horror)


Un giorno feci una scommessa con mio cugino Ben, che è uno sbruffone.
Io e mamma andiamo a trovarlo ogni anno a Taymouth, un vecchio villaggio sul mare dove ormai nessuno va più a trascorrere le vacanze, eccetto qualche turista di passaggio.
Così, lentamente, tutto è caduto in rovina, compreso il vecchio molo, che in parte è addirittura finito sott'acqua.
è una struttura insolita, quella, simile a un lungo dito scuro, contorto e avvizzito, puntato verso il male aperto.
Un tempo, durante l'estate, pare che vi si svolgesse una fiera, ma ora si dice che sia infestato dagli spettri e c'è chi giura di averci visto delle luci, di notte.
Tempo fa, la mamma e il papà di Ben gestivano un alberghetto a Taymouth, ma la crisi del turismo purtroppo li costrinse a chiudere i battenti, come dice zia Val.
Così lo vendettero e aprirono invece un piccolo supermercato. Io e mamma, comunque, siamo sempre tornate a trovarli.
Quando mamma dice "Bisogna cambiare aria" andiamo dagli zii, anche perché, da quando papà ha preso il largo, lasciandoci da sole, non sempre abbiamo abbastanza soldi per andare in vacanza da qualche parte.
Mio cugino Ben ha un anno più di me e andiamo abbastanza d'accordo: l'unico problema è che cerca sempre di dimostrare di essere il più bravo e il più coraggioso di noi due. Insomma, è uno spaccone.
Così, quando lo stuzzicai dicendo che secondo me non avrebbe mai avuto il coraggio di passare la notte sul molo infestato dagli spettri, replicò che, se solo lo avesse voluto, lo avrebbe fatto. Era caduto dritto nella mia trappola.
La scommessa era fatta.
Così una sera demmo ad intendere ai nostri genitori che saremmo andati alla festa di beneficienza della parrocchia... una di quelle riunioni noiose e interminabili, a base di salsicce bruciate e disgustose zuppe fredde, durante le quali il reverendo suonava la chitarra e la sua moglie cantava.
Dunque, invece di andare alla festa, andammo al porto, scavalcammo le barriere di protezione e ci incamminammo sulle assi marce del vecchio molo. Era agosto, la luna piena rischiarava i nostri passi e l'aria era piacevolmente calda.
All'inizio, né io né Ben avevamo paura... Ero sicura che non fosse spaventato perché capisco sempre che cosa prova, anche se tenta di nasconderlo.
Oltrepassammo pali arrugginiti, un bar in rovina, strane macchine antiquate e lo scrostato dipinto di un treno-fantasma e d'un tratto mi sentii percorrere da un brivido di paura.
Si era levato il vento e sotto di me, fra le fessure del legno, scorsi la spuma luccicante delle onde.
Credo che fu proprio la combinazione di queste due cose a farmi rabbrividere.
Ben, dal canto suo, si era ingobbito come un vecchio.
"Debbie?"
"Sì?"
"Credi sia stata una buona idea venire qui?"
"Sei stato tu a sfidarmi."
"Mmm", brontolò poco convinto.
"Andrà tutto bene", replicai bruscamente. "A meno che tu non voglia andare davvero alla festa di beneficienza."
Ben scrollò la testa, ma sapevo che avrebbe preferito ascoltare tutta la notte le canzoni della moglie del reverendo, piuttosto che stare sul molo un minuto di più.
Però resistette, e io ammirai il suo coraggio.
"Allora, che si fa?", mi domandò, facendo del suo meglio per atteggiarsi a "duro".
"Andiamo in esplorazione."
"Esplorazione?"
Sembrava inorridito.
"Sì, cerchiamo un posto dove dormire."
Attraversammo una deserta sala della tombola e ci dirigemmo verso un vecchio autoscontro.
"Attenta!", strillò Ben, afferrandomi per un braccio e impedendomi così di cadere in un buco fra le assi; sotto, brillavano le perfide onde.
Feci un passo indietro, guardando in giù. Ben tremava come una foglia.
"Questo posto è pericoloso", disse.
"Lo sapevamo", gli ricordai.
In realtà ero molto turbata. Avevo la sensazione che il vento ululasse più forte. Adesso, il risucchio delle onde che si frangevano fra i pali simili a gambe gracili mi sembrava orribile.
"Che roba è?", boccheggiò Ben all'improvviso, facendomi sobbalzare.
Eravamo dietro un baracchino sgangherato dove, in passato, una maga aveva predetto il futuro. Non riuscii a capire subito che cosa avesse attirato l'attenzione di Ben, e d'istinto abbassai lo sguardo verso il cadaverico pallore delle onde, temendo che avesse scorto un altro buco.
"Là", mi disse spazientito, indicandomi l'altro lato del molo.
Aguzzando la vista, distinsi un'insegna corrosa dalle intemperie.

SPECCHI MAGICI
ENTRATE IN UN MONDO DI TERRORE

Per qualche misterioso motivo, l'insegna era meno sciupata delle altre e la vernice non era sbiadita. Poi vidi una mano spuntare dalla porta. Una mano nodosa, vecchia e avvizzita.
E si muoveva.
Lanciai un urlo. La mano ci faceva segno di entrare. Mi voltai verso Ben.
"Hai visto?", balbettai.
"Che cosa?"
"La mano."
"Quale mano?". Sembrava terrorizzato. "Quale mano?", ripetè più forte.
"Zitto!"
"Non vedo nessuna mano..."
Guardai di nuovo la porta. La mano era scomparsa.
"Era lì, l'ho vista."
"Sicura che non fosse un'allucinazione?"
"Non lo so". Forse era così, pensai.
Forse era stato soltanto un gioco di luci.
"Allora?", domandò Ben, guardandosi attorno sconsolato.
Mio cugino è piuttosto alto e robusto per la sua età, ma in quel momento sembrava indifeso e spaventato.
"Dobbiamo trovare un posto dove dormire, e l'unico che abbia ancora un tetto è quello laggiù", dissi, indicando la sala degli specchi magici. Mentre parlavo, sentii cadere una goccia di pioggia.
Ben mi guardò di sottecchi. Capii a cosa stava pensando.
Alla mano. Anch'io ci pensavo, però ero decisa a non lasciarmi spaventare. Lanciai un'occhiata a mio cugino. E se si fosse trattato di uno scherzo? Dopotutto era stato lui a lanciare la sfida. E se fosse stata una messinscena organizzata dai suoi amici per burlarsi di me? Però sapevo che Ben era un pessimo attore: non sarebbe mai riuscito a fingere così bene di avere paura.
"Andiamo" dissi, dirigendomi verso la baracca.
Ben mi seguì in silenzio, sotto la pioggia che cominciava a cadere fitta.
"Aspetta"
"Perché?"
"C'è qualcuno, là dentro."
Ben si fermò bruscamente, tremando.
"Non ho sentito niente", replicai in tutta sincerità.
"Io sì."
"Senti, se è uno scherzo", iniziai in tono minaccioso "e se c'è qui intorno qualcuno dei tuoi amici, vedi che ti succede."
"No, non è uno scherzo", farfugliò Ben, e il suo sguardo sconvolto mi convinse definitivamente che non fingeva.
"Cos'hai sentito?"
"Un colpo."
"Che tipo di colpo?"
"Come se qualcuno battesse su qualcosa."
E in quel preciso momento lo sentii anch'io: una specie di battito sordo, pesante.
"Io entro", annunciai.
Ben mi afferrò per un braccio, ma mi divincolai e corsi via. Pochi secondi dopo ero nella sala tenebrosa.

Dapprima non riuscii a scorgere niente, poi Ben entrò di corsa e mi urtò, spingendomi in avanti e allora li vidi. Riflettevano la mia immagine in innumerevoli versioni irreali, e anche quella di Ben. Erano specchi... decine di specchi deformanti. In alcuni apparivamo bassi e grassi, come se fossimo stati schiacciati, in altri eravamo alti e magri, come se ci avessero stirati; alcuni specchi ci rendevano tondi, altri quadrati, altri ancora oblunghi e piatti...
"Sono solo specchi deformanti", dissi. "Non c'è niente da temere."
E proprio allora sentii una voce ovattata, indistinta, provenire da dietro un angolo. Mi sentii gelare. Che succedeva? Sul momento non riuscii a capire quello che diceva, ma dopo un po' la udii distintamente.
"Aiutatemi...", scandiva in tono angosciato.
"Qualcuno... mi... faccia... uscire... Vi... prego... fatemi... uscire..."
"Chi è?", bisbigliai.
"E io che ne so?", balbettò Ben battendo i denti.
"è dietro l'angolo. Andiamo"
"No, aspetta", protestò Ben, ma io mi ero già messa in moto e lui si sentì in dovere di seguirmi.
Mi fermai davanti all'ultimo specchio: era messo di sbieco, e la sua superficie era opaca, offuscata... anzi, sembrava quasi una porta. All'improvviso sentii una mano invisibile stringere la mia verso quella foschia.
"Non lasciarmi", gridò Ben, ma la mano gelida divenne una morsa d'acciaio che mi sollevò da terra e mi attirò oltre la lastra di cristallo.

Una volta dentro lo specchio, la mano svanì e mi ritrovai a vagare da sola, nella nebbia. Il pavimento era molto duro, come se fosse ghiacciato. Lentamente, le nubi di vapore si diradarono e mi resi conto di trovarmi in una specie di deserto senza fine, costellato di decine di cupole di vetro che mostravano il mio riflesso.
Non erano specchi, però: vidi me stessa neonata, poi bambina, poi col mio aspetto attuale, con quello che avrei avuto fra qualche anno e con quello che avrei avuto da vecchia, finché vidi una donna decrepita: fui certa di essere io.
Passai davanti a tutte le cupole, ma l'ultima era ancora avvolta dalla nebbia: quando infine il vapore si dissolse, mi trovai a fissare sgomenta una bara. Sapevo che era la mia.
"Cosa credi che siano?", disse una voce.
Mi girai, sperando che Ben mi avesse raggiunto, invece vidi un poliziotto. La sua divisa era un po' antiquata, per il resto aveva un aspetto normalissimo. Lì per lì mi sentii sollevata, ma poi notai che aveva uno sguardo molto strano e il mio terrore aumentò.
"Chi è lei?"
"Sono l'agente Rivers."
"Che cosa fa qui?"
"é una storia lunga". La sua voce tremava proprio come quella di Ben. L'uomo guardò le cupole di vetro.
"Che cosa credi che siano?", tornò a chiedere.
"Sembrano cupole."
"No, sono sfere di cristallo."
Lo guardai senza capire e l'agente Rivers mi rivolse un debole sorriso paziente.
"Come sarebbe, sfere di cristallo?"
"Tipo quelle di chi predice la sorte", rispose.
"Cioè... rivelano il futuro?"
"Esatto. Non te ne sei accorta?", il suo sorriso era triste, ora. "Mi dispiace che tu sia finita qui. Era da tanto che lei aspettava, ma il molo è chiuso da molto tempo, ormai..."
"Lei chi?", chiesi spaventata.
"Madame Orion... la chiaroveggente."
"E perché sono finita qui?", balbettai.
"Credo di averla impietosita", mi rispose con voce gentile. "Sa che mi sento molto solo, così avrà voluto procurarmi un'amica. Mi dispiace... Non avrei voluto che succedesse."
Restò in silenzio e io lo fissai smarrita.
"Non capisco. Ma lei che cosa ci fa qui?", chiesi alla fine.
"Resterò qui per sempre", rispose. "Sono intrappolato nello specchio e temo che lo sia anche tu."
"Per sempre?"
"Dev'essere un sogno", pensai. Mi pizzicai forte, ma mi feci male e non mi svegliai.
"Temo di sì."
Sembrava davvero molto triste.
"Ma com'è finito qui?", bisbigliai, rabbrividendo.
Quella specie di deserto era incredibilmente freddo, tanto che sulle cupole di vetro, o sfere di cristallo che fossero, si era formato uno strato di ghiaccioli.
"La arrestai. Sì, misi in prigione Madame Orion. E lei morì in cella."
"E allora?"
"Una notte, mentre ero di servizio, mi avvisarono che erano stati visti dei bambini sul molo. Era appena stato chiuso, capisci... Quando arrivai, vidi una mano che mi faceva cenno di entrare qui."
"Anch'io l'ho vista."
"Poi la mano mi afferrò... era gelida... e mi tirò oltre lo specchio. Era la mano di Madame Orion. La sua vendetta."
"Perché l'aveva arrestata?"
"Perché imbrogliava le vecchie signore, arricchendosi alle loro spalle."
"Le vecchie signore? E come?"
"Guardava in una sfera di cristallo e diceva loro che sarebbero morte il giorno successivo. Ovviamente, loro si spaventavano moltissimo e allora Madame Orion le tranquillizzava promettendo che avrebbe mutato il corso del destino, salvandole... Però dovevano pagare."
"E ne era davvero capace?"
"Macché. Era una truffa. Diceva a quelle poverette che non sarebbero morte soltanto se lei avesse distrutto la sfera di cristallo, e precisava che ogni sfera valeva una fortuna."
"E loro erano così ingenue da crederci?"
"Bhè, se erano state tanto ingenue da consultarla..."
"Come ha fatto a smascherarla?"
"Una vecchietta meno credulona delle altre la denunciò.
Così, mi nascosi nel retro della baracca dove Madame Orion prediceva la sorte e... cippirimerlo!"
Cippirimerlo... Prima di allora, avevo sentito usare questa esclamazione soltanto da mia nonna. Era un modo di dire antiquato, proprio come la divisa dell'agente Rivers.
"Però Madame Orion era davvero una strega", commentò lentamente.
"Non credo che lo fosse quand'era viva, ma di sicuro lo è diventata da morta."
"Quand'è successo tutto questo?"
"Nel 1956, l'anno in cui è stato chiuso il molo. Adesso in che anno siamo?", domandò esitante.
"Nel 1992."
"Oh...", sospirò. "Davvero?"
Per un po' restammo in silenzio.
"Dobbiamo assolutamente fare qualcosa", dissi alla fine.
"Ho già provato a supplicarla."
"Intende dire che Madame Orion è qui?"
"Le sfere di cristallo mostrano la sua vita, oltre che la nostra."
L'idea non mi piacque molto, tremavo ancora al pensiero della mia bara riflessa nello specchio.
"Le ho parlato tante volte... anche nella sfera che la mostra ragazzina... e l'ho implorata di liberarmi, ma non ha voluto saperne. Quando le parlo, si mette a ridere e dice che devo restare qui. Ma forse a te darà la possibilità di andare via. E poi, ormai sono abituato alla solitudine."
Rabbrividii. E se invece mi avesse costretta a restare lì per sempre? Sarebbe stato tremendo. Soltanto io e l'agente Rivers, fino alla fine del mondo... e oltre.
"Che cosa devo fare per vederla?"
"Basterà che pensi a lei... e apparirà nelle sfere di cristallo."
La prima sfera risuonò del pianto di una Madame Orion neonata e, spostandomi, la vidi riflessa in almeno altre venti cupole: bambina, adolescente e così via, finché arrivai a quella dove appariva nelle vesti di maga intenta a leggere il futuro.
"Madame Orion", chiamai, ma lei non mi degnò di un'occhiata. Stava leggendo la mano di una vecchia signora e mi chiesi se stava per estorcerle del denaro.
"Eh sì. Temo proprio che lei morirà domani."
"Morirò?" La signora inorridì. "Ne è sicura? Non si può fare nulla, Madame Orion?"
"Be'..."
"La prego, mi aiuti!"
La donna era agitatissima.
"Potrebbe essere molto costoso", azzardava cauta Madame Orion.
"Non importa, pagherò qualsiasi cifra..."
"Bene..."
L'immagine si offuscò e tremolò. Via via che le clienti andavano e venivano il sorriso di Madame Orion diventava sempre più soddisfatto.
E finalmente, restò sola.
"Madame Orion", la chiamai angosciata. "La prego, mi ascolti!"
Alzò lo sguardo con una smorfia maligna.
"Sento voci nella mia testa? Voci dal futuro?"
"Soltanto una voce. La mia. Sono intrappolata in un posto creato da lei. Insieme all'agente Rivers."
Madame Orion ridacchiò maliziosa.
"Mica posso prevedere il futuro, chiunque tu sia. Mai stata capace."
Ridacchiò di nuovo, poi aprì un cassetto, ne estrasse un fascio di banconote e cominciò a contarle.
"Prova quand'è più vecchia", mi suggerì l'agente Rivers. "Poco prima che muoia."
Corsi fino alla penultima sfera e la chiamai a gran voce. Piano piano, la nebbia si diradò, e vidi Madame Orion seduta in una cella e scossa da violenti colpi di tosse. Battei i pugni sulla cupola e la donna si prese la testa fra le mani, come se le facesse male. Battei ancora, ormai in preda al panico. Mi guardai intorno e non vidi che le cupole e l'agente Rivers: il resto era un deserto sconfinato.
No... quella donna non poteva costringermi a restare lì per sempre. Ripresi a picchiare sul vetro.
Finalmente Madame Orion alzò lo sguardo, sempre stringendo la testa fra le mani.
"Che succede? Cos'è questa voce dentro di me?"
"Sono Debbie."
"Chi?"
"Debbie Hardcastle. Sono imprigionata nello specchio insieme all'agente Rivers."
"Lui? Maledetto!"
"Mi lasci uscire!"
"Non so chi tu sia", mormorò, "ma sento di possedere poteri insospettati. Mi ero sempre creduta un'imbrogliona.
"E lo era!", gridai.
"Ma il mio odio per quel poliziotto era così forte che ho pensato e pensato e pensato... e sai che cos'è successo?"
"Sì, so dov'è andato a finire. E io sono qui con lui."
"Sei giovane?"
"Ho dieci anni!"
"è davvero triste, carina", disse lei con voce orribilmente mielosa.
"Triste?"
"Sì. Se sei insieme all'agente Rivers, devi essere morta."
"Morta?"
Ero atterrita.
"Oh, sì. L'agente Rivers non è mai stato ritrovato. Così l'hanno dato per morto. Merito mio. Perciò anche tu devi essere morta. Chi tristezza... così giovane. Ma ora va' via, spiritello. Non ho tempo per te... e nemmeno per lui."
Riprese a tossire. "Sto per morire anch'io. Me lo sento nelle ossa."
Rise. "Ho pensato tanto agli specchi, sai? A quanto sarebbe bello se potessero far scomparire la gente... la gente che non mi piaceva. Si possono fare tante cose con la forza del pensiero, lo sai, spiritello?"
Rise e tossì ancora. Io ripresi a battere i pugni sul vetro, perché avevo capito che erano i miei colpi a causarle il mal di testa.
"Basta!"
"Lei non mi conosce. è stato il suo fantasma a chiudermi qui."
"Allora parlane col mio fantasma", rantolò lei. "Io non sono ancora morta."
"Dov'è?", gridai, continuando a battere sulla sfera.
"Laggiù", disse l'agente Rivers, alle mie spalle. "Guarda nella prossima sfera."
Disperata, corsi verso l'ultima cupola, che sembrava un po' più grande delle altre. Era avvolta da un vapore che si dissolse lentamente, lasciandomi intravedere un cimitero con una tomba. Non c'era una lapide, non una croce e nemmeno una targhetta col nome: soltanto un tumulo di terra, coperto di erbacce e di cardi.
Mentre guardavo quella tomba con grande tristezza, qualcosa emerse dagli sterpi: dapprima mi sembrò una voluta di nebbia, ma poi capii che si trattava di una mano. Era la mano di Madame Orion, che puntò verso di me un indice minaccioso.
"Perché?", domandai a Rivers.
Per tutta risposta, si strinse nelle spalle e allora il dito si puntò verso di lui. Se prima l'agente mi era sembrato a disagio, adesso era estremamente nervoso. Allora capii. C'era qualcosa che non sapevo.
"Come mai?", chiesi.
"Come mai che cosa?", replicò bruscamente.
"Perché quel dito è puntato contro di lei?"
"Non lo so. Per ribadire che si è vendicata, forse."
"No... c'è qualcos'altro, vero?", dissi severa.
Per un momento credetti che l'agente Rivers non mi avrebbe risposto, ma dopo una lunga pausa si decise finalmente a parlare.
"E va bene."
"E va bene che cosa?"
"è evasa."
"Vuol dire che non è morta in prigione?"
"No. Saltò giù dal furgone mentre la trasferivano al carcere di Holloway."
"E sparì?"
"Per un po'. La ritrovammo pochi giorni dopo. Il molo era appena stato chiuso, e lei si era nascosta nella sala degli specchi."
"Così la catturaste di nuovo?"
"No... no", si voltò verso la cupola.
"Guarda pure. Tanto, prima o poi, le sfere te lo mostrerebbero."
La nebbia tornò a diradarsi e nella cupola vidi la sala degli specchi deformanti... e là, rannicchiata pateticamente in un angolo, c'era Madame Orion, scossa da brividi violenti. A un tratto sentì un tonfo, come di un calcio sferrato contro un porta, e l'agente Rivers entrò di corsa nella sala. La donna si alzò e fuggì, e il poliziotto la inseguì fra gli specchi deformanti. Mentre correvano, le loro immagini riflesse continuavano a mutare grottescamente.
A un certo punto, Madame Orion inciampò e cadde, finendo contro uno degli specchi e spaccandolo.
Una scheggia le piombò su un polso.
Inorridita, distolsi lo sguardo e, quando tornai a guardare il cristallo, vidi Madame Orion ritta sul parapetto del molo.
La donna si rivolgeva con aria supplichevole all'agente Rivers, che scuoteva la testa. Dove prima c'era la sua mano... be', lasciamo perdere. Udii a stento le loro voci.
"La prego... mi lasci andare."
"Deve venire con me. è in arresto."
L'agente non sembrava affatto impietosito, ma freddo e risoluto.
"La mia mano..."
"Lei ha infranto la legge", disse rigido il poliziotto. "Se si è ferita, è soltanto colpa sua."
"La supplico, mi lasci andare", singhiozzò la donna. "Non ci resistevo, chiusa in cella."
"Venga giù."
"No", urlò lei, e si lanciò in mare. Però l'immagine non svanì; come se fosse una telecamera, lo specchio inquadrò le assi del molo e scivolò indietro, fino alla sala degli specchi. Là, sul pavimento, in mezzo alle schegge, c'era la mano. Aveva l'indice puntato. Dopodiché, una densa nebbia avvolse l'immagine.
"D'accordo, sono stato duro con lei", sussurrò l'agente Rivers. "Era soltanto una vecchia e avrei potuto lasciarla andare. Ma si era comportata male, molto male, e io avevo l'incarico di far rispettare la legge. E comunque, dopo quel terribile incidente, dovevo prenderla in custodia per farla ricoverare."
La sua voce si spense.
"Così è morta", dissi con aria cupa.
"è morta maledicendomi, lo so", replicò lui.
"Un momento", sibilai, "C'è qualcosa che esce dal cristallo."
E qualcosa c'era per davvero. Dalla nebbia uscì la mano mozzata, stringendo fra le dita un foglio e una penna.
Posò il foglio su quel terreno desolato e scrisse
"Vattene. E portatelo via."
Poi sparì. Mi guardai intorno e la rividi nell'ultima sfera, che ci faceva cenno di avvicinarci.
"Da questa parte", mormorai.
"Ma..."
"Non vuole uscire?", guardai sorpresa l'agente.
"Sono rimasto congelato nel tempo... devo essere molto vecchio", ribattè inquieto.
"Nel mondo esterno, avrei 96 anni. O..."
"O che cosa?"
Alzò le spalle.
"Non importa. Seguiamo la mano. Qualunque cosa sarà meglio che restare qui."
"Qualunque cosa? Ne è certo?", replicai, rabbrividendo.
"Sì, ne sono certo", rispose, con aria triste.
Raggiungemmo la cupola e ci fermammo. La mano era ancora lì, che ci chiamava, e d'istinto capii cosa dovevamo fare. Afferrai il poliziotto per una manica e insieme a lui attraversai il cristallo. Non incontrammo resistenza: fu come camminare in uno strato di gelatina.
Eravamo già immersi nella cupola, quando sentìì Rivers indietreggiare.
"Aspetta", disse.
"Che succede?"
"Ho paura."
"Di che cosa?", sbottai, ansiosa di muovermi.
"Di quello che potrei trovare dall'altra parte", fu l'esitante risposta.
Ma ormai quasi non lo ascoltavo. Gli diedi uno strattone.
"Niente può essere peggio che tornare là dentro" dissi spazientita. "Non crede?"
"Non lo so."
Balzammo fuori accompagnati dal fragore dei vetri infranti e, voltandomi, vidi che ero uscita dallo stesso specchio nel quale ero stata attratta. Il vetro si era rotto e le schegge erano sparpagliate sul pavimento.
Ruotai su me stessa: Ben era davanti a me, con gli occhi fuori dalle orbite.
"Grazie al cielo!", esclamò. "Dov'eri? E che cos'è successo a quello specchio? Mi era sembrato che uscissi da là dentro, ma in realtà c'eri nascosta dietro, eh? Ma come hai fatto? è mezz'ora che ti cerco. Guarda che se è uno dei tuoi scherzi..."
"Sono stata via soltanto mezz'ora?"
Ben guardò nervosamente l'orologio.
"Sì, più o meno. Senti, che cosa cavolo..."
"Ben", dissi con aria fiera, "ti presento l'agente Rivers."
"Chi?"
"L'agente Rivers. L'ho appena liberato..."
Mi girai e rimasi di sasso. Il poliziotto era scomparso. Per terra, al suo posto, c'era solo un mucchietto di polvere.
 

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